Il partigiano della Costituzione di Alessandro Galante Garrone

Il partigiano della Costituzione IL 30 OTTOBRE 2003 MORIVA ALESSANDRO GALANTE GARRONE. LE SUE CONSIDERAZIONI ATTUALI Il partigiano della Costituzione Giovanni De Luna ESTATE del 1996. Nella lunga transizione italiana innescata da Tangentopoli, tocca ora alla Costituzione entrare nel mirino della polemica politica. Proposte più radicali (varare una nuova Assemblea Costituente o avviare un referendum particolare ad hoc) si intrecciano con quelle gradualiste (e pasticciate) di cM intende delegare la revisione del testo costituzionale a una Commissione interparlamentare fornita di poteri speciali (la Bicamerale). Quelle discussionisf^jmo da sfondo a un interveÈitó di Alessandro Galante Garroneudata-f to «Coassolo Torinese, luglio 1996» e presentato sotto la forma di una lettera indirizzata a Silvia Calamandrei «da un amico del suo nonno e del suo babbo». Il tono familiare della dedica, il riferimento a Coassolo e alla sua casa di vacanza tendono a presentare quello scritto quasi con timidezza; in realtà si trattò di un intervento forte e autorevole, ripubblicato ora in appendice a una nuova edizione della raccolta di scritti e discorsi politici di Piero Calamandrei (Costituzione e leggi di Antigone, introduzione di Corrado Stajano, Sansoni, pp. 330, ^21), che riprende quella prestigiosa curata da Norberto Bobbio nel 1966. Rileggendolo quasi dieci anni dopo, colpisce ancora per l'attualità delle sue argomentazioni, soprattutto dopo il fallimento della Bicamerale e quando entrambe le coalizioni, il centrosinistra come il centrodestra, hanno messo mano a modifiche della Costituzione con maggioranze risicate o che riecheggiano più l'effimera immediatezza degli slogan elettorali che l'autorevolezza delle norme costituzionah. Attraverso un meccanismo di identificazione con Calamandrei neanche troppo dissimulato. Galante Garrone indi- ca nei «diritti di libertà» il cuore strategico e il nucleo intimamente liberale dell'ordinamento giuridico costituzionale. Che il carattere «sovietico» della nostra Costituzione sia solo uno sciagurato luogo comune emerge dalla sua puntuale ricostruzione della genealogia di quei diritti, riconducibili all'asse Omodeo-Francesco Ruffini più che a Benedetto Croce: «molti giovani come me sentirono nel fondo della loro coscienza questo trapasso dalla crociana religione della libertà alla libertà liberatrice di Omodeo». La forza di questa impronta liberale è tale che Piero/Sandro consideravano le nonne consacranti i diritti di libertà immodificabih al pari di quelle riguardanti la forma repubblicana dello Stato. Su queste basi si sviluppava quindi ima difesa della Costituzione che ne sottolineava soprattutto la capacità di guarda-. re lontano, di sottrarsi all'immediatezza della congiuntura politica da cui scaturiva, di porsi come un vero e proprio programma di trasformazione della società (diritto al lavoro, a un equo salario, all'istruzione, alla sanità, ad aver giustizia eco....), fino a una conclusione di chiarezza estrema, perentoria, sottoscritta da Sandro che parla per bocca di Piero: «un governo che volesse sottrarsi al programma di riforme sociali andrebbe contro la Costituzione, che è garanzia non solo che non si tornerà indietro, ma che si andrà avanti». Sandro/Piero ritenevano che la «lealtà costituzionale» dovesse essere il «sangue alimentatore del governo e della maggioranza parlamentare». Sarà questo l'impaccio da cui ci si vuol sciogliere, modificando la Costituzione? O forse ce n'è un altro, racchiuso nel carattere pedagogico delle sue nonne? C'è un diffuso senso di legalità in quella Carta, e la sacralità della legge («ima delle istanze che più assediavano la sua coscienza») era per Piero/ Sandro un punto ininunciabile della rivoluzione democratica necessaria all'Italia, l'obiettivo dichiarato dell'antifascismo e del suo progetto politico di «rifare gli italiani». Il rischio dell'assuefazione all'illegalità angustiava Sandro nel 1996 e Piero già nel 1944: «purtroppo», scriveva il secondo, «questa devastazione non potrà non lasciar durevoli tracce nelle coscienze; fra le tante distruzioni di cui il passaggio della pestilenza fascista è responsabile, si dovrà annoverare anche quella non riparabile del senso della legalità... Unico rimedio, sicuro ma lento, sarà il ritomo alla libertà». «Si illudeva per troppo ottimismo?», scriveva Sandro nel 1996. «Dovremmo dire di sì, se pensiamo alla sempre più diffusa ignoranza e, più ancora, noncuranza di tanti italiani per le leggi e specialmente per le norme costituzionah, che pure dovrebbero essere le prime a essere rispettate». Per Galante Garrone la crisi innescata da Tangentopoli era politica e non costituzionale e derivava dal pessimo uso che della Costituzione del 1948 avevano fatto i partiti politici. Il carattere parlamentare della nostra Repùbblica, ad esempio, era stato come svuotato dall'interno dall'invasività dell' esecutivo e delle segreterie dei partiti così che, tra i compiti normalmente assegnati alle due Camere, restavano solo quelli legati al significato etimologico della democrazia rappresentativa, quelli cioè della «rappresentazione» della politica che di volta in volta trasformavano le aule in arene da combattimento, set televisivi, scene teatrah allora affollate da cappi penzolanti e nodi scorsoi. Lo stesso «straripamento» del potere giudiziario derivava più dalla concretezza della vicenda storica dell' Italia repubblicana che dall'insufficienza delle regole dettate dalla Costituzione. Di fatto. nelle tre grandi emergenze affrontate dal nostro paese, la mafia, il tenorismo e la corruzione, era stata infatti la magistratura a legittimarsi direttamente sul campo, mentre un'intera classe politica naufragava rovinosamente. Il problema, quindi, era più storico-politico che di ingegneria costituzionale. La Prima Repubblica, per Sandro Galante Garrone, era morta soffocata dal tradimento dei principi della Costituzione; la seconda poteva nascere riaffermandone la vitalità e la forza. La crisi innescata da Tangentopoli, sosteneva, era solo politica. Derivava dal cattivo uso che delia Carta del'48 avevano fattoi partiti La Prima Repubblica era stata soffocata dal tradimento el suoi principi ONSIDERAZIONI ATTUALI o ne . Alessandro Galante Garrone in un disegno dì Ettore Viola La crisi innescata da Tangentopoli, sosteneva, era solo politica. Derivava dal cattivo uso che delia Carta del'48 avevano fattoi partiti La Prima Repubblica era stata soffocata dal tradimento el suoi principi è responsabile, si dovrà annoverare anche quella non riparabile del senso della legalità... Unico rimedio, sicuro ma lento, sarà il ritomo alla libertà». «Si illudeva per troppo ottimismo?», scriveva Sandro nel 1996. «Dovremmo dire di sì, se pensiamo alla sempre più diffusa ignoranza e, più ancora, noncuranza di tanti italiani per le leggi e specialmente per le norme costituzionah, che pure dovrebbero essere le prime a essere rispettate». Per Galante Garrone la crisi innescata da Tangentopoli era litio costitilpartiti così che, tra i compiti normalmente asti ll d Ctnelle tre grandi emergenze affrontate dal nostro paese, la mafia, il tenorismo e la corruzione, era stata infatti la magistratura a legittimarsi direttamente sul campo, mentre un'intera classe politica naufragava rovinosamente. Il problema, quindi, era più trilitih Alessandro Galante Garrone in un disegno dì Ettore Viola

Luoghi citati: Coassolo Torinese, Italia