«L' Europa Investa di più sul suo futuro»

«L' Europa Investa di più sul suo futuro» BILANCIO DI FINE MANDATO DEL COMMISSARIO EUROPEO AL COMMERCIO ESTERO: CON GLI USA SCONTRI MOLTO DURI «L' Europa Investa di più sul suo futuro» -amy: qualità e nuove regole per reggere alla globalizzazione intervista Maria Maggiore BRUXELLES A fine settimana lascia l'ufficio di rue de la Loi, compreso l'olio di Van Hoof, ricevuto dall'ex presidente della Commissione Jean Rey e finora sempre tramandato da commissario in commissario («devo ancora decidere a chi lasciarlo...»). Passa il testimone del Commercio estero al britannico Peter Mandelson, amico personale di Tony Blair. Negli ultimi cinque anni Pascal Lamy ha fatto il giro del mondo come negoziatore unico per l'Europa nelle relazioni commerciali. Si è battuto come un leone a Seattle, a Doha e infine a Cancun. Ma prima, sempre a Bruxelles, ha affilato le armi come capogabinetto del presidente Jacques Delors per 10 anni. Un tecnico, ma anche un socialista che i francesi definiscono molto british per le sue scelte liberali in materia economica. Sicuramente un europeo, che pensa alla govemance multilaterale del mondo, passando per la Costituzione dell'Unione e l'adesione della Turchia. E con un rapporto privilegiato, ma spesso teso, con gli Stati Uniti. Dall'acciaio, alle sovvenzioni all' export Usa, agli ogm, fino a Boeing-Airbus; durante il suo mandato abbiamo assistito a feroci guerre commerciali con l'amministrazione Bush. Ma il candidato democratico Kerry non sembra meno protezionista, quando promette la lotta alle delocalizzazioni per frenare la fuga delle industrie americane. Che opinione si è fatto dei due schieramenti in campo? «I contenziosi economici non sono mancati con Bush, ma rappresentano solo l-20Zo degli scambi economici tra le due sponde dell'Atlantico su un totale quotidiano di 2 mihardi di dollari. Le dispute degli ultimi anni, per quanto molto mediatiche, non sono state più numerose delle amministrazioni precedenti. Certo, ci sono state delle punte di protezionismo, legate sempre a dei fenomeni pohtici, perchè negh Stati Uniti si tengono le elezioni ogni due anni e mezzo. Ogni volta vengono scelti dei temi sensibili e portati avanti come temi di campagna. La volta scorsa è stato l'acciaio, oggi è la difesa di Boeing - la cui sede è nello stato di Washington contro l'europea Airbus». Quindi il mito europeo di un' America protezionista è fuorvìante? «In parte sì. In generale gh americani non sono protezionisti, altrimenti non avrebbero un deficit commerciale tra i 500 e i 600 mihardi di dollari. Proprio questo deficit provoca deUe "febbri protezioniste" qua e là, in prossimità delle elezioni. E' normale. E' come se in Europa si spostassero 500 miliardi di produzione all'esterno. Ci sarebbero sicuramente deUe conseguenze pohtiche». Dunque Kerry non sarà me¬ glio di Bush? «In materia commerciale un presidente vale quasi quanto l'altro, perchè le scelte pohtiche sono legate all'andamento dell'economìa. La Casa Bianca può fare pressioni peròhè una decisione passi prima di un'altra. Ma è il Congresso a decidere, quindi diventa fondamentale l'equilibrio di forze che si viene a creare tra chi è più "pro-trade" e chi lo è meno. AU'intemo di ogni partito ci sono liberali e protezionisti, anche se tradizionalmente i repubblicani sono più liberali e i democratici più protezionisti». Kerry vuol frenare la fuga delle imprese americane nei mercati asiatici, chiudendo, appunto, il mercato alle importazioni. Lei che ne pensa delle delocalizzazioni: male necessario in un' economia globalizzata? «No, le delocalizzazioni non sono una fatalità. Il capitalismo di mercato deve essere corretto, ma non con dei "mezzucci" fiscali come l'innalzamento delle aliquote per le imprese (proposta del ministro francese Sarkozy, per obbligare i paesi dell'est ad adeguarsi al regime fiscale dei paesi ricchi, ndr). Sono mezze misure, perchè poi il giorno dopo il vicino diminuisce del 1007o i costi di un altro settore e siamo al punto d'origine». Allora, qual è la sua ricetta? «Il problema deve essere affrontato a vari livelli. In primo luogo occorre una regolamentazione mondiale, perchè le delocalizzazioni sono dappertutto. I francesi temono i polacchi, che loro volta hanno paura dei maghrebini, che sono angosciati dagh indiani, i quah temono i cinesi. A livello mondiale dobbiamo proteggere alcuni valori fondamentah, come il lavoro dei minori, le norme sociah e il rispetto dell'ambiente. Dobbiamo riuscire a sottrarre questi principi al gioco della concorrenza». l'ui Europa? «LUnione deve concentrarsi suUa ricerca, per aumentare il valore aggiunto dell'industria europea. E non mi dite che il rischio sono i paesi dell'Est, perchè non sarà certo l'Estonia a stravolgere la carta geografica della nostra industria. Da noi il lavoro è caro, dunque bisogna che sia di qualità. Per riuscirci bisogna investire nell'innovazione. Il pericolo in agguato è lo spostamento di manodopera dajl'industria ai servizi, proprio per una diminuzione di produttività. Negh ultimi 20 anni l'industria europea ha aumentato il 40l!6 di produttività: si sono perduti 7 mihoni di posti di lavoro, ma ne abbiamo guadagnati 30 nei servizi». Esiste anche un livello nazionale? «E' quello più importante. Prendo sempre l'esempio degh scandinavi in un settore tradizionale come il tessile. Guardate cosa hanno fatto gli svedesi e i finlandesi. Sono riusciti a mettere insieme sindacati, imprenditori, università, centri di formazione e sono diventati i primi nei tessuti d'arredamento. Anche in alcune zone della Catalogna il lavoro si è conservato e il telaio pure, ma molti operai ora sono impegnati nel design e nella gestione delle ordinazioni». E l'Italia? «Ci sono dei problemi, perchè il "team locale" - ovvero sindacati, centri di formazione, imprese, ecc. non si è messo in moto, aha maniera scandinava, attivando tutte quelle sinergie che consentono di mighorare il prodotto». In questa logica vale la pena aiutare i paesi che investono in innovazione, con una «golden rude» che scorpori queste spese dal calcolo del deficit? «No, per me esiste già una golden mie con il 307o di deficit consentito. E' una questione di scelte e di qualità della spesa. Bisogna investire nell'avvennire. A livello europeo per esempio bisogna mettere in comune più fondi. Si spende già poco nella ricerca a livello nazionale, diventa poi completamente assurdo che ci siamo 25 bilanci diversi per la ricerca». Aumentare l'orario di lavoro, a stipendio invariato, può servire a far crescere la nostra produttività? ((Neanche. Questa è la punta della disperazione pohtica e sociale. Dopo millenni in cui le persone hanno tentano di lavorare sempre meno e guadagnare di più, se cambia il messaggio, è la fine. I lavoratori europei devono continuare invece a far crescere il loro valore aggiunto, imparare a fare megho, non di più. In fondo è anche più interessante costruire Airbus che non prodiure t-shirt». A proposito di maghette, da gennaio scompaiono le quote sul tessile. Saremo invasi dai prodotti cinesi, soprattutto se gh Usa chiuderanno, come hanno promesso, i loro mercati? «C'è un rischio, ma non siamo impreparati. Da 10 anni riflettiamo sugli strumenti per limitare un'impennata sleale delle importazioni. Come è stato per l'acciaio, se gh Usa adotteranno una pohtica protezionista, noi potremo difenderci con una clausola di salvaguardia speciale che i cinesi hanno accettato». A Cancun Ut alia si era battuta per far riconoscere le denominazioni d'origine controllata a livello mondiale. Adesso la lotta sembra abbandonata più: di riaprire i negoziati per un nuovo round. ((Non è finita. Ma per poter vincere dobbiamo costruire un mighor rapporto di forza con i paesi in via di sviluppo. Accanto agh europei devono intervenire altri attori interessati a proteggere loro prodotti (come gh indiani con il thè Darjeliing). Altrimenti sembrerà una nuova invasione: i vecchi colonizzatori che temano a riprendersi i nomi che hanno abbandonato qualche secolo prima». Al suo successore Peter Mandelson lascia una nuova guerra con gh Usa, appena cominciata, dopo la doppia denuncia di Boeing contro Airbus per aiuti di Stato e viceversa. Sarà ancora una lunga lotta? «Le vie diplomatiche possono ancora funzionare. E'risaputo che costmire aerei così costosi come i 7E7, con una durata di vita di solo 30 anni, necessita di fondi pubbhci, perchè per i mercati finanziari sono investimenti troppo rischiosi. A nostro avviso il sistema finora ha ben funzionato. Ma se gh americani voghono la guerra Airbus è pronta a combatterla». ^feé Puntiamo "w sulla ricerca e sull'innovazione Le delocalizzazioni non sono una fatalità Il mercato va corretto proteggendo alcuni valori fondamentali, non certo con A A mezzucci fiscali 77 Il commissario europeo al Commercio estero Pascal Lamy CINQUE ANNI DI DISPUTE COMMERCIALI CON GU USA Acciaio Nel marzo 2002 il governo Bush instaura nuove lampa mmaccrr® ^altrettanti dazi su prodotti largamente consumati ned'Ue. Il Wto dichiara illegali ie misure americane nel luglio 2003 e a fine 2003,1! governo Usa mette fine ai dazi sull'acciaio. Foreign SaSes Corporation Nel maggio 2003 il Wto autorizza l'Ue a imporre fino a 4 miliardi di multa agli Usa per la legge sulle agevoiazioni alle esportazioni delle grosse imprese americane (Boeing, General ' Electric, Microsoft); Dieci giorni fa l'abrogazione della legge da parte de! Senato americano (il sistema esìsteva di fatto da 30 anni). FarntBiil Nel maggio 2002, méntre l'Europacerca di abbassare le-prq|^Éì sovvenzioni all'agricoltura e calmare le ire dei Paesi in via di svilìjppOj l'amministrazione Bush, aumenta df 60 miliardi} sussìdi agli agricoltori. Ogm Dopo lunghe pressioni sulla Commissione e i governi per jpire ì mercati rbpeialojais erìcano, nei maggio 2003 gli Usa sì appellano al Wto contro la moratoria dei governi che impedisce nuove autorizzazioni. Boeing-Airbus Dopo una prima crisi nei'99, rientrata per le vie diplomatiche, in settembre l'amministrazione Bush fa ricorso il Wto contro e sovvenzioni pubbliche accordate all'europea Airbus, nocive perHcolosso americano Boeing. Lamy spera ancora di sedare la crisi prima della sua partenza. Altrimenti sarà una nuova guerra commerciale per if successore Mandelson.