Giacometti, la scultura alla ricerca del vuoto

Giacometti, la scultura alla ricerca del vuoto Giacometti, la scultura alla ricerca del vuoto Lea Mattarella T 'UTTO comincia da una pietra: una roccia scavata nel paesaggio alpino in cui l'artista svizzero Alberto Giacometti si rifu-già da bambmo. «Ero al colmo deba gioia - confessa anni dopo quando potevo accoccolarmi neba piccola caverna che si trovava sul fondo; potevo entrarvi a fatica; in quel momento ogni mio desiderio era esaudito». Forse, se non si fosse innamorato così precocemente deba ruvidità deba materia, Giacometti sarebbe stato soltanto pittore, come b padre, Giovanni o come lo zio Augusto. La sua vocazione di scultore magari è nata proprio b, nebe giornate trascorse rannicchiato in quebo che lo storico deb'arte Pietro Bebasi ha definito «l'utero di pietra» deba montagna. Nato nel 1901 a Borgonovo, vicino a Stampa, in Val Bregagba e scomparso nel 1966, Alberto Giacometti è uno dei giganti deba scultura del XX secolo. Tanto grande, quanto esib, filiformi, scabre sono le sue figure; abucinate apparizioni, frutto di una corrosione, di un ossessivo lavoro di sottrazione. Questa bellissima mostra, curata da Claudio Spadoni e Jean-Louis Prat (catalogo Mazzetta) presenta Giacometti neba sua completezza. Raccogbe infatti, insieme abe sue statue abampanate, abarmanti e fragili, anche le opere del periodo surrealista e un nutrito gruppo di disegni e dipinti, per un totale di più di cento lavori. Le immagini che popolano le sue tele e le sue carte emeigono da un grovigbo di segni in cui la potenza espressiva non è mai costruita attraverso b volume, il peso. Anche da pittore, Giacometti inteipreta b vuoto. Afferra l'essere per rivelame b nuba, e non meravigba che sia stato tanto amato da Sartre. Le sue figure sono sperdute, attonite, incapaci di dialogare con l'esterno, sobtarie anche le rare volte che appaiono in gruppo. L'Homme qui marche, uno dei pezzi forti di questa mostra, non si sa da dove venga né quale sia la sua meta. E quando te lo trovi davanti, molto più alto di te eppure inerme e con questo tembbe destino di andare avanti nonostante tutto, ti sembra davvero la metafora deb'uomo gettato neb' esistenza. Più sartriano di così... Pare che quando seguiva i corsi di Antoine Bourdebe aLTAccademia deba Grande Chaumière a Parigi (dove si era trasferito nel 1922), invece di interessarsi al modebo in posa, passava le giornate a tentare di ritrarre un teschio, a cercare di afferrare queb'esistenza che un tempo ne aveva animato lo sguardo. Nebe opere mature fa b contrario: ossessionato dal ritratto, daba ricerca deb'identità di chi gb sta di fronte (spesso familiari, amici, gente con cui ha, comunque, un legame) ne cogbe ogni volta b disfacimento, come se l'unica verità racchiusa in un volto, in un corpo vivo, vibrante sia b senso deba morte. Ecco perché a forza di guardare, Giacometti tra¬ sforma b fratebo Diego, la mogbe Annette, b nipote Sbvio, le Femmes de Venise, modebe, gatti e cani in spettri, in un popolo di ombre. Eppure Giacometti cerca la vita. A Padova si incanta su un gruppo di ragazze che gesticolano , animatamente e pensa che è quello ciò che vuole catturare con la sua arte. E anche quando abbandona b Surreabsmo, a cui pure aveva aderito con opere magiche ed enigmatiche come la Femme-cuillère, la Femme couchée, lo straordinario Object invisible (tutte in mostra), è per un bisogno di realtà molto più forte di quanto non sia quebo di esplorare b sogno. Solo che nel tentativo di «rivelare a me stesso ciò che vedo», l'artista continua a levare: le figure sono sempre più piccole. Quando, nel dopoguerra, rientra a Parigi daba Svizzera, per trasportare tutte le sue opere gb è sufficiente una piccola scatola. E non appena recupera la grande dimensione, la sua scultura non è più né retorica né monumentale: i corpi modebati sono campi di battagba deb'esistenza, fatti di grumi, materia pulsante, ferita, colante. Giacometti è sempre insoddisfatto, afferma che quebo che riesce a fare è «soltanto una pallida immagine», si sente uno «scultore mancato». Ma quando Simone de Beauvoir, in crisi creativa, vede bRitratto di Annette a cui Alberto ha lavorato per 10 anni scrive: «per un attimo, mi sembra di nuovo importante creare qualcosa col gesso o con le parole». Tra i tanti capolavori in mostra c'è anche la serie completa debe biografie di Paris sans fin. 250 immagini deba sua città d'adozione: un'animazione disegnata (viene in mente Wilbam Kentridge) di angob di strada, caffè, gente, b suo ateber. Ancora una volta, e nonostante tutto, la vita. Alla Loggetta Lombardesca di Ravenna una retrospettiva ripropone le sue figure esili, filiformi, scabre quasi allucinate apparizioni frutto di un ossessivo lavoro di sottrazione Giacometti: VHomme qui marche :S.s,.o Alberto Giacometti Ravenna, Museo d'arte della città. Loggetta Lombardesca Or.: 9-13/14-18 ven. 20, sab. dom. 10-19 Lun. chiuso. Fino al20/2

Luoghi citati: Padova, Parigi, Ravenna