SE IL PAPA BENEDICE I COSACCHI A SAN PIETRO di Enzo Bettiza

SE IL PAPA BENEDICE I COSACCHI A SAN PIETRO VENTISEI ANNI, ECCEZIONALE PARABOLA STORICA SE IL PAPA BENEDICE I COSACCHI A SAN PIETRO Enzo Bettiza COSA avrebbero detto Stalin e Togliatti, Pio XH e De Gasperi se, per ipotesi, fossero stati anch'essi spettatori dello straordinario e pressoché surreale spettacolo trasmesso per mondovisione venerdì sera 15 ottobre 2004 dal centro del Vaticano? Papa Pacelli, vedendo un suo successore slavo che in ottimo russo risponde agli «urrà» lanciatigli da un battaghone di canori militari russi, molto simili nelle loro divise verde oliva a quelli dell'Armata Rossa, avrebbe certamente pensato di assistere a una farsa sacrilega messa in scena da qualche regista della Rai impazzito o assoldato dal Cremlino. De Gasperi e Togliatti probabilmente avrebbero pensato che alfine, sotto i loro occhi increduli, si stava inverando in chiave morbida e burlesca la minaccia dei «cosacchi in Piazza San Pietro» agitata dai comitati civici nell'aprile 1948. Più difficile immaginare la reazione di Stalin. Forse, lui che amava far rivivere nell'armata bolscevica simboli e miti zaristi, non si sarebbe scandalizzato del tutto nel vedere un pontefice polacco che benedice un coro di soldati russi mentre intonavano l'inno imperiale di Glinka «Una vita per lo zar». L'eccezionale parabola storica oltreché religiosa del prete polacco Karol Wojtyla, vittima di un oscuro attentato all'epoca del contagioso sfaldamento del regime comunista polacco, celebrato per il 26''anmversario del suo pontificato nel cuore del Vaticano dagli eredi dell'impero di Stalin e di Andropov, sfugge alle logiche anche più imprevedibili della storia e della vita umane. Basterà ricordare che, prima delle amichevoli visite romane di Gorbaciov e di Putin, ci fu nel 1979 una seduta del politburo sovietico dedicata al contenimento dell'attività politica di Wojtyla eletto nel 1978. Eravamo all'apice della guerra fredda. Sotto l'impulso di Jury Andropov, varò una risoluzione con l'obiettivo di screditarlo: «Se lo scopo non venisse raggiunto con la disinformazione si dovrà ricorrere ad altri metodi più decisi». Dopo l'attentato, Giovanni Paolo n non volle dire e non dirà mai quello che gli confidò in carcere l'attentatore turco. Ma, nonostante tutto, nessuno potrà mai definire Wojtyla, pontefice di lotta e di perdono, come un anticomunista viscerale. Per lui il comunismo era perfino un «male necessario», dove la necessità del male si giustificava nella visione biblica della caduta, la mela avvelenata, quale intermezzo di dolore fra l'atto della creazione e il momento della redenzione in Cristo. Comprendere la crudele funzione redentrice del male in termini rehgiosi non significava però accettarlo in termini di compromesso politico. In questo la Ostpolitik del Papa, che veniva dalle plaghe del male, doveva essere molto diversa dalla Ostpolitik conciliare, diciamo pure concordataria, che aveva avuto promotori Giovanni XXm e Paolo VI ed esecutore il cardinale Casaroli. Un altro protagonista della diplomazia vaticana. Achille Silvestrim, aveva visto bene nella Ostpolitik più slava che latina di Giovanni Paolo n «fattori di sfida e di totale confronto». Gli stessi «fattori» erano stati percepiti anche da Andropov, che nel ribelle sindacalismo cattoheo di Solidamosc, sostenuto dal Papa polacco, aveva intravisto il principio della fine imperiale dellUrss. Uomo di pace interventista, patrocinatore della «guerra giusta» secondo Agostino, Karol Wojtyla si schiererà poi apertamente dalla parte degli sloveni e dei croati cattolici e dei musulmani'bosniaci, aggrediti dall' espansionismo serbo nell'epoca del virulento postcomunismo balcanico. Non darà invece il suo assenso né all'intervento Nato nel Kosovo, né alle due guerre dei Bush padre e figlio in Iraq. Ma l'apoteosi finale del suo pontificato, al di là della resistenza dinamica al comunismo e della critica spesso radicale al materialismo capitalistico, l'anziano e sofferente pontefice Iha sempre perseguita nell'ambito delle slavità cristiane divise da un millennio d'ostilità tra ortodossia e cattolicesimo. Finora il maggiore interlocutore ortodosso, il patriarca moscovita Alessio n, circondato come gli zar da una guardia del corpo cosacca, si è dimostrato un osso non meno duro dei comunisti nei confronti del Vaticano polonizzato. Non sembra averlo addolcito nemmeno l'icona della Madonna di Kazan restituitagli in omaggio da Wojtyla. Gli ultimi pellegrinaggi del pontefice cattoheo in Georgia e in Ucraina sembrano averlo soltanto irritato. Perciò non sappiamo se Giovanni Paolo riuscirà mai, dati gh anni e la salute, a coronare il suo sogno di conciliatore cristiano officiando la messa al fianco di Alessio nella Cattedrale di San Basilio. Sappiamo però che, grazie alla trasmissione Rai, il Papa ha compiuto il suo viaggio catodico per undici fusi orari da Mosca e San Pietroburgo fino a Vladivostok sul Pacifico. Milioni di cristiani russi lo hanno visto entrare nelle loro case, celebrato dai balli e dai più antichi canti popolari slavi, mentre diceva loro in russo: «Spasibo, daragije druzjà». Grazie, amici cari. La riconciliazione, se non personale con Alessio, è di fatto già avvenuta quasi fisicamente per video con le masse cristiane di tutte le Russie.

Luoghi citati: Georgia, Iraq, Kosovo, Mosca, San Basilio, San Pietroburgo, Ucraina