La città-scheletro in minigonna

La città-scheletro in minigonna La città-scheletro in minigonna PASSATO il confine riappaiono le foreste. Al posto di frontiera tra Polonia e Ucraina, una lunga fila di veicoli attende di entrare nell'Unione Europea mentre verso l'Ucraina la sosta è molto più breve. L'impatto con la temuta burocrazia ex-sovietica che Levi definisce «sospettosa, negligente, insipiente, contraddittoria, e negli effetti cieca come una forza di natura», è meno duro del previsto. Ecco Leopoli, Liviv per gli ucraini, L'vov per i russi, Lemberg per i tedeschi. Siamo in Galizia, zona di frontiera, contesa a lungo da polacchi e russi. Leopoli, città lastricata di pietra e dai bei palazzi liberty, è stata prima polacca, poi svedese, quindi austriaca. Durante la prima guerra mondiale si è combattuto aspramente; la successiva guerra russo-polacca del 1920 ha assegnato Leopoli alla Polonia e con la pace di Potsdam, nel 1945, è entrata a far parte dell'Urss. La Galizia era la regione ebraica per eccellenza. Prima dei pogrom e dello sterminio nazista, di ebrei ce n'erano migliaia. Oggi la comunità è ridotta a poche centinaia. Primo Levi ci è passato col treno, proveniente da Katowice. La descrive come una «città-scheletro, sconvolta dai bombardamenti e dalla guerra». Qui lo colse una pioggia torrenziale durante la notte: scese dal vagone e cercò rifugio febbricitante in un sottopassaggio invaso dal fango e pieno di correnti d'aria. Ci fermiamo a dormire a Leopoli. Arrivando alla sera, la città è buia, senza illuminazione - ci abitano 800 mila persone - e anche la distribuzione dell'acqua limitata. Ma noi fortunati stiamo in un grande albergo ex-sovietico trasformato in hotel di lusso quasi americano. Lunedì mattina andiamo in giro per la città. Leopoli è bella quanto Cracovia, se non di più, per via delle chiese, delle piazze, degli edifici che appaiono a volte un po' sgretolati e decrepiti. Ha un'aria fané. Passiamo davanti all'uni¬ versità. I giovani stazionano a gruppi e c'è un gran viavai. Le ragazze indossano vertiginose minigonne e i ragazzi giacche scure. Anni Cinquanta. Claudia, la lettrice di italiano, la sera a cena ci ha parlato del cimitero. Ci andiamo. E' immenso. Una città nella città, il suo doppio, la sua memoria. Tombe polacche, russe, ucraine. Ci sono scolpite nel marmo grandi teste di eroi socialisti, notabili, atleti, scienziati, militari, poeti, scrittori. Si sale lungo una collina. Una parte sembra abbandonata, invasa da felci ed erbacce. Al pomeriggio riprendiamo il viaggio. Siamo dentro l'immensa pianura ucraina, in direzione della Bielorussia, la Russia Bianca di Levi. A lui questo immenso spazio dava una doppia sensazione: di libertà, assenza di limiti, ma anche di un deserto, gelido, senza ripari. La chiama «spietata pianura deserta», per definirla usa un aggettivo: noiosa. E' cosi. Confrontata con la nostra Pianura padana, appare molto diversa. In Italia, osserva Levi, da ogni punto si guardi lo spazio è sempre chiuso da montagne o colline. E' un paesaggio rassicurante, con le quinte, come si vede in tutta la nostra pittura, naturalmente teatrale. Qui si ha l'impressione di essere immersi in un oceano d'aria, come scrive a un certo punto del suo viaggio Levi. Abbiamo cercato sulla carta Proskurov, la stazione dove l'ex deportato incontra due ragazze ebree di Minsk, che si stupiscono profondamente che non parli yddish: Non siete ebrei!, dicono a Primo e a Cesare. Anche la cartina ucraina, comprata in una delle rare stazioni di servizio, non reca traccia del toponimo. Qui ci sono città che quando Levi passò, quasi cinquant'anni fa, non esistevano. Temopol, ad esempio, è un'immensa e brutta città di casermoni. Forse Proskurov è solo una vecchia stazione inglobata dentro una delle nuove città ex sovietiche, ora ucraine, pt-obabilmente Hmelnytskij, come Greco dentro Milano o Lingotto dentro Torino. Peccato non trovarla, avremmo rivisto il luogo dove, dopo una buona bevuta di vodka, consigliato da Gottlieb, il medico istriano, la perniciosa febbre abbandonava Levi per sempre. Sulle tracce della Tregua MARCO BELPOUTI

Persone citate: Galizia, Gottlieb, Greco, Primo Levi