Mubarak costretto a fare i conti con l'islamismo di Fiamma Nirenstein

Mubarak costretto a fare i conti con l'islamismo E' STATO DURISSIMO SIN DAI TEMPI DEI FRATELLI MUSULMANI MA LA SUA POLITICA HA AVUTO ZONE GRIGIE Mubarak costretto a fare i conti con l'islamismo Fiamma Nirenstein GERUSALEMME LA conversazione telefonica di ieri fra Hosni Mubarak e Ariel Sharon potrebbe veramente aprire una fase di collaborazione antiterrorista fra l'Egitto e Israele. Per Israele quello del Sinai non è semplicemente un altro attentato, è un terremoto, è la perdita dell'unico rifugio fra cielo e mare, è la minaccia sulla porta di casa del terrorismo intemazionale che si va ad aggiungere a quello palestinese. E' l'attacco agli ebrei che si spande nel mondo: ormai sono sei gli attacchi a obiettivi ebraici all'estero con risultati devastanti. Mombasa, Garba, Casablanca, Istanbul, Tashkent, e adesso Taba. Per Mubarak è una minaccia esistenziale, dopo il complicato rimpasto di governo di giugno, teso ad assicurare a suo figlio la successione. E' l'attacco frontale del terrorismo al Paese che ha fatto per primo la pace con Israele, per quanto gelida questa pace sia, e che adesso media la tregua per il passaggio di potere ai palestinesi quando Sharon se ne sarà andato da Gaza. L'attacco è stato enorme, devastante. Ha spaziato su un centinaio di chilometri, dimostrando una sorta di «geometrica potenza» di AI Qaeda, appoggiata certamente da organizzazioni locali e forse (ma questa ipotesi è in calo) da quelle palestinesi. L'attacco ha gridato «il re è nudo» di fronte alla platea dell'islamismo montante del mondo arabo circostante, in cui la marea del fanatismo minaccia i regimi modera¬ ti, in particolare Egitto e Giordania: i veri esempi - agli occhi di Bin Laden - dell'apostasia, come la chiamò nel suo proclama di guerra del 1998. Di sicuro adesso ci si può aspettare una decisa risposta da parte del regime egiziano. Risposte dure non sono mai mancate, nella storia dell'Egitto. Come quella per distruggere sul nascere i Fratelli Musulmani - l'organizzazione madre di tutto il terrorismo islamista che, il 6 ottobre '81, dopo là pace con Menachem Begin, assassinarono il presidente egiziano Anwar Sadat. L'Egitto non è mai stato tranquillo rispetto agli islamisti e alle loro organizzazioni omicide. Le ha inseguite, spezzate, affrontate con tutti i mezzi di un regime durissimo - 800 mila uomini addetti alla sicurezza - anche se non è mai riuscito a distruggerle completamente. L'Egitto ha mostrato un ventre più molle rispetto ai giordani, il cui atteggiamento verso il terrorismo intemazionale - anche per la pericolosa contiguità con l'Iraq e la brutta esperienza con la rivolta palestinese al tempo del Settembre Nero - è stato più deciso. I giordani, consci del rischio che le organizzazioni estremistiche rappresentano per il regime, non mancano di affrontarle al loro intemo. Come l'Arabia Saudita, che anche recentemente ha annientato i terroristi responsabili di attentati dentro i suoi confini, anche se il tema del terrore intemazionale, quando mirato a «crociati ed ebrei» come dice Bin Laden, resta un tabù. Verso il terrorismo l'Egitto ha una politica che si può definire complessa, o indecisa: anche se i membri delle organizzazioni jihadiste sono stati uccisi e imprigionati, Mubarak ha però lasciato che il Sinai diventasse un'autostrada per il contrabbando delle armi leggere e pesanti verso Gaza e il terrorismo palestinese, tramite le gallerie che partono dal suo territorio nazionale ed entrano in Gaza. Il traffico terroristico è molto intenso nel Sinai, dato il rifiuto dell'Egitto a occuparsene quando concerne la causa palestinese, compresa Hamas, che Mubarak teme e cerca di neutralizzare politicamente senza però criticarlo. Adesso Mubarak ha la prova che questa politica non paga, che ancora una volta, il terrorismo è molto più deciso a distruggere gli «apostati» insieme agli «ebrei» di quanto lui non pensasse. A costo di affamare, come avverrà adesso che il Sinai si svuoterà di turisti e di imprese israeliane, il popolo egiziano.