La notte in cui uccisero Taba

La notte in cui uccisero Taba TRA LE ROVINE DEL GRANDE ALBERGO La notte in cui uccisero Taba Nel paradiso del Mar Rosso tra rabbia e paura testimonianze ibrahim Refat NUWIBAA UNA forte esplosione squarcia il silenzio della notte, scuote le fondamenta delle case e fa tremare i vetri delle finestre. Segue un'altra dopo tre minuti. Gli abitanti di questa cittadina situata sul litorale del Mar Rosso scendono per strada increduli. Da lontano arriva il suono delle ambulanze che risalgano la collina diretti a Taba. Una donna urla: «Gli israeliani hanno invaso l'Egitto!». Sono circa le 21.30. Il ricordo subito toma alla tante guerre combattute negli ultimi cinquantasei anni fra egiziani e israeliani su questo lembo di terra brulla, eppure affascinante e misteriosa. No, questa volta non erano gli israeliani ad attaccare. Erano loro a essere attaccati. Le vittime predestinate non erano il nemico con il mitra, ma turisti israeliani che si stavano godendo le festività ebraiche nelle località turistiche a Taba e a Nuwibaa, che distano sessanta chilometri l'ima dell'altra. Quando a Taba avviene la prima deflagrazione, a Nuwibaa nessuno se ne accorge. Ma le due esplosioni successive che provengono mezz'ora dopo dal parcheggio di Ras Shitan - dieci chilometri più in là - quelle sì che le sentono tutti, tanta è la potenza degli ordigni impiegati dai terroristi per radere al suolo il campeggio «Moon Island» a Ras Shitan, affollato a quell'ora da circa 150 turisti israeliani. L'esplosione sventra il campeggio dandogli la forma di un fungo. Sbriciola i muri del ristorante e della cucina, incendia le capanne di stuoia che arrivano fino al mare. Fa volare il motore di un'automobile fin sulla spiaggia, che dista 200 metri. Nel buio totale non si vede quasi nulla. In compenso si odono le imprecazioni in ebraico e inglese, il lamento dei feriti fatti adagiare sulla battigia. Il corpo di un giovanotto robusto, colpito probabilmente da una scheggia, è esanime su un fianco, per terra, fra le macerie. Il corpo di una ragazza minuta, coperto con un lenzuolo, giace tra i detriti di quello che era il suo bungalow, pagato cinque euro a notte. Un lavorante egiziano viene portato pompieri cerca via con un ambulanza, ma spira poco dopo: lavorava per un salario mensile pari a 35 euro. I feriti sono dieci in tutto, riferisce al cellulare un ufficiale della polizia al suo comandante. Una squadra di di spegnere le fiamme che si sono sviluppate in un capannone vicino. E' una scena surreale, con il mare placido e uno spicchio di luna sospesa in cielo. «Venivo qui da dieci anni perché adoro i beduini, la loro gentilezza e la loro ospitalità. Non ci tornerò più. Ho una moglie e tre figli», dice con rabbia Etan Casabian, di Tel Aviv. Anche un altro giovane con moglie e figlioletto giura che questa è la loro ultima gita in Egitto. Chi può raccoglie le sue cose e si avvia verso la statale che porta a Israele. Ad aspettarli ci sono taxi sbucati da chissà dove. Qualche ragazza sta parlando al cellulare in ebraico, forse cerca di tranquillizzare parenti e amici. Da lontano la sagoma dell'Hilton appare spettrale, non tanto per gli effetti devastanti dell'autobomba quanto per il buio in cui è immerso. Superato il bivacco dei tanti turisti russi accasciati nell' aiuola circolare prima della salita, ci si accorge però subito delle devastazioni provocate dall'autobomba scagliata contro l'ingresso due ore prima. Un'ala, quella che dà a Ovest, è praticamente crolla¬ ta: dieci pieni di macerie. La facciata del lato Est è distrutta. Nella lobby c'è uno squarcio tanto ampio che si vede l'intero piano messo a soqquadro. I detriti sono sparsi dappertutto, impregnati dell'acqua degli idranti. I pompieri egiziani adesso sono indaffarati, insieme ai necrofori israeliani della compagnia Zaka, a portar via i corpi dei turisti ebrei morti. Scenario spettrale, illuminato dalla scarsa luce di qualche lampione ancora intatto nel parcheggio. Attorno, scheletri di automobili incenerite. «Mio marito e io stavamo scendendo le scale per andare alla caffeteria quando abbiamo sentito un boato forte e l'onda d'urto ci ha spostato indietro. Lui è rimasto ferito al volto, il sangue schizzava a fiotti. I dipendenti dell'albergo ci ordinavano di cor¬ rere verso il mare. Mentre correvamo sentivo altre deflagrazioni provenienti dalla cucina. Una volta fuori ho visto l'intera facciata dell'albergo avviluppata dalle fiamme. Persino le palme avevano preso fuoco». Così racconta la signora Asmaa Omar, mentre il marito - un ingegnere egiziano - è seduto nella loro macchina distrutta, con un cerotto al viso. Anche loro da anni frequentano questo albergo di lusso perchè adorano la vista della baia di Aqaba. Intanto le ambulanze con la stella di David continuano a sbucare dal viale che conduce al posto di confine con Israele, a pochi metri dall'albergo. Dalla direzione opposta arriva una fila di israeliani che procede verso la frontiera a piedi, il capo chino, lo sguardo perso. Un esodo ordinato ma mesto. L'enorme sagoma dell'albergo è avvolta dal buio, una lunga fila di israeliani è in fuga a piedi verso il confine I LUOGHI fl km 160

Persone citate: Asmaa Omar, Del Grande, Moon Island

Luoghi citati: Egitto, Israele, Tel Aviv