E' scontro sull'iraq tra Bush e Kerry di Maurizio Molinari

E' scontro sull'iraq tra Bush e Kerry QUESTA NOTTE IN MISSOURI IL NUOVO CONFRONTO TRA GLI SFIDANTI PER LA CASA BIANCA E' scontro sull'iraq tra Bush e Kerry Alla vigilia del secondo match tv Maurizio Molinari inviato a ST.LOUIS (Missouri) Alta tensione sull'Iraq fra George W. Bush e John F. Keny alla vigiha del dibattito che si celebra questa sera alla Washington University di St. Louis. Il tono dello scontro fra presidente uscente e sfidante democratico si è impennato ieri con un botta e risposta a distanza sulle ragioni dell'attacco a Saddam Hussein. H primo a parlare, da Washington, è stato Bush affermando che il rapporto della Cià sull'inesistenza delle armi di distruzione di Saddam Hussein «non fa venir meno il fatto che la decisione di attaccare fu giusta» perché il Raiss era «un nemico dell'America, alleato dei terroristi e si faceva gioco delle Nazioni Unite». Bush ha confermato che oggi prenderebbe ancora la decisione di attaccare e di fronte agli errori dell'intelligence «commessi da noi e numerosi altri Paesi» ha osservato che serve «capire perché sono stati commessi». Il vicepresidente Dick Cheney ha dato manforte a Bush commentato le pagine del rapporto della Cia dalle quali emerge come Saddam aggirò le sanzioni versando 11 miliardi di dollari in buoni d'acquisto petroliferi a leader politici e aziende di 44 Paesi, con Russia, Francia e Cina che ne ricevettero le quote maggiori. «Quanto scoperto dimostra che le sanzioni erano un phjgiwuna che Saddam aveva corrotto e che non fare nulla con quel dittatore non era certo una soluzione possibile» ha sottolineato Dick Cheney. Neanche due ore dopo l'intervento di Bush, Kerry ha repheato da Englewood, in Colorado, affermando che «quanto avvenuto in questa settimana dimostra perché il presidente non sarà rieletto». «Di fronte a una rapporto della Cia che afferma che. le sanzioni funzionavano perché impedirono a Saddam di ottenere le armi che voleva procurarsi, Bush continua a dire che ripeterebbe ciò che ha fatto - ha detto il senatore del Massachusetts probabilmente lui e il suo vice sono rimaste le ultime persone sulla Terra a non ammettere la verità, le ragioni per cui decisero di andare in guerra erano completamente false». Kerry ha ricordato anche le critiche che Paul Bremer, ex governatore militare dell'Iraq, ha rivolto a Bush per aver inviato poche truppe in campo. «La risposta data a Bremer dal consìghere per la sicurezza nazionale Condoleezza Rice - ha sottolineato Kerry - è stata di dire che la decisione sull'entità delle truppe era stata presa dai comandi militari, come è possìbile che il comandante in capo delle forze armate non sia mai responsabile di nulla?». Lo scontro sull'Iraq è probabilmente destinato a continuare oggi nel secondo dibattito di St. Louis, nel quale i due sfidanti risponderanno a 15 domande rivolte da un pubblico diviso in tre settori, filorepubblicani, filo-democratici ed indipendenti. Le domande sono state tutte approvate dalla commissione elettorale saranno equamente distribuite fra temi di politica estera e interna. La formula della «Town Hall» consentirà a Bush e Kerry di stare seduti e prendere appunti, ma anche di alzarsi e parlare camminando con il microfono in mano. Entrambi i candidati hanno più volte fatto ricorso durante la campagna a questa formula di incontro elettorale, che trae le proprie origini dalle prime assemblee con cui i coloni gestivano i loro problemi ed eleggevano i loro leader. Sulla carta Bush gode ancora del favore dei sondaggi - Zogby gli dà due punti di vantaggio, inferiori al margine di errore - e spera oggi di poter contare su un dato favorevole sulla creazione di posti di lavoro in settembre, come anche tenterà di presentare le elezioni afghane di domani come un successo della propria amministrazione. Ma dal team democratico trapela la convinzione che se Kerry prevarrà a St. Louis come avvenuto a Miami questa notte potrebbe essere il momento della «svolta» della campagna. Hanno intanto iniziato a lavo¬ rare i primi gruppi di osservatori intemazionali chiamati a monitorare le elezioni americane per evitare il ripetersi di quanto avvenuto in Florida quattro anni fa. Alcuni di loro, provenienti da Paesi come Etiopia e Tagikistan, hanno sollevato un primo dubbio suir«affidabilità del sistema di voto» per via del fatto che nei singoli Stati il massimo responsabile delle operazioni di voto è il Segretario di Stato, ovvero un alto funzionario di nomina politica. Il Presidente: «Il rapporto della Cia su Baghdad conferma che l'intervento fu giusto perché Saddam era il nemico numero uno degli Stati Uniti» Il senatore: «Veniamo a sapere che le sanzioni funzionavano e lui mente ancora» Gli ultimi ritocchi all'arena del match presidenziale, nella sala dibattiti della Washington University di Saint Louis