Scelli, il mediatore «in panchina» che tirava le fila di Guido Ruotolo

Scelli, il mediatore «in panchina» che tirava le fila Scelli, il mediatore «in panchina» che tirava le fila «Adesso posso respirare». I suoi contatti gli avevano detto che le ragazze erano in mano a «banditi» sunniti pronti a trattare. E lui ha avuto fiducia Guido Ruotolo ROMA Maurizio Scelli masticava amaro nei giorni della «solitudine». Sembrava un «appestato». Simona Pari e Simona Torretta erano da pochi giorni in mano ai sequestratori e il ministro degli Esteri Franco Frattini, intervenendo in Parlamento, chiedeva a tutti di farsi da parte, annunciando che il governo avrebbe gestito in prima persona il sequestro (consultandosi con l'opposizione). Non citava Scelli, Frattini, ma era evidente che quell'invito a farsi da parte era rivolto soprattutto a lui, al commissario straordinario della Croce Rossa. Maurizio Scelli in quei giorni incassò il colpo, anzi, rassicurò tutti che «sarebbe rimasto in panchina». Non era vero, perché Maurizio Scelli continuava a parlare con Baghdad, anzi dall'Iraq lo tempestavano di telefonate il cui contenuto lui, puntualmente, girava al sottosegretario Gianni Letta, il suo unico interlocutore. E il primo «contatto giusto» si materializzò cinque giorni dopo il sequestro, il 12 settembre. Quella telefonata Scelli la riferì a Letta eppoi a Luca Alberti, il vertice di «Un Ponte per...», l'organizzazione umanitaria delle due volontarie italiane. Che amarezza deve aver provato Maurizio Scelli, quando Alberti disse a lui eppoi al sottosegretario Letta che la Croce Rossa doveva «rimanere in panchina»! Ma la freccia avvelenata del ministro Franco Frattini, quell'invito a farsi da parte, Maurizio Scelli non l'ha mai digerita. «L'unico posto dove da ministro degli Esteri non sarei andato - commentava sarcastico con gli amici - è Kuwait City. Se volevo aprire un canale di trattativa con i sequestratori, dovevo andare in Iraq». Nei giorni del silenzio dei sequestratori Maurizio Scelli lavorava sotto traccia. Quando, ormai due domeniche fa, scattò l'allarme a Baghdad per un possibile ra¬ pimento di un medico della Croce Rossa italiana, sudò sette camicie per convincere il sottosegreteraio Letta a non far ritirare la pattuglia dei 24 medici e infermieri volontari che operavano a Baghdad. Fece di più: chiamò l'Ufficio di Al Sadr a Baghdad, che gli mandò un gruppo di suoi uomini a proteggere ^ospedale italiano». Quella domenica, Maurizio Scelli si lasciò andare sibillino: «Non possiamo tornarcene, dobbiamo finire il lavoro». Pensava, in quelle ore, che prima di mettere in discussione la permanenza a Baghdad, la Croce Rossa doveva recuperare i resti di Enzo Baldoni. C'è da scommettere, Maurizio Scelli è immensamente felice di aver riportato a casa sane e salve le due ragazze ma un cruccio ce l'ha ancora, lo doveva avere anche ieri notte. E l'impegno che Maurizio Scelli continua a voler onorare è questo: riportare in Italia i resti del povero Enzo Baldoni, così come ha promes- so ai suoi famigliari. E' proprio pensando a Enzo Baldoni, proprio pensando a recuperare i suoi resti, che Maurizio Scelli in queste settimana aveva accettato «il silenzio». «Verrà il giorno confidava agli amici - in cui mi prenderò la rivincita». Quel giorno è arrivato ieri. All'improvviso. Ma fino ad un certo punto, all'improvviso. Gli ultimi due messaggi - tra il 20 e il 21 settembre - dei sostenitori del gruppo islamico «Al Zawahari», con l'annuncio dell'avvenuto sgozzamento delle due ragazze prima, eppoi del video che lo comprova¬ va, aveva fatto sprofondare l'Italia nell'angoscia. Maurizio Scelli continuava invece a dichiararsi fiducioso. Da Baghdad gli avevano detto, già nei primi giorni del sequestro, che le due Simone erano in mano a «banditi», tutti sunniti, e che si poteva trattare, che si stava trattando. Gli occhi, negli ultimi giorni, erano puntati altrove, sulle dichiarazioni-rivelazioni del giornale del Kuwait, sulle dichiarazioni che le due ragazze sarebbero state liberate venerdì. E invece sabato scorso la prova che le due Simone erano ancora in vita è arrivata a lui, a Maurizio Scelli. L'uomo della Croce Rossa a Baghdad, un iracheno, l'ha chiamato e gli ha fatto ascoltare una cassetta. Le due volontarie italiane dicono in inglese: «Le notizie apparse sulla nostra morte non sono vere. Oggi è sabato 26 settembre». Sbagliavano le due Simone, perché in realtà era il 25 settembre. Scelli chiama subito il sottosegretario Letta che gli dice di andare avanti. Alle tre di lunedì notte, Maurizio Scelli sale sull'aereo diretto a Baghdad, fiducioso nel fatto che l'informazione fosse esatta, che sarebbe riuscito riportato a casa sane e salve le due ragazze. Ieri notte, atterrato a Ciampino, ha detto solo: «Finalmente adesso posso respirare». II commissario straordinario della Croce Rossa, Maurizio Scelli, con Simona Torretta subito dopo l'atterraggio a Ciampino