Carroll, la macchina che finalmente sveglierà Dio di Ruggero Bianchi

Carroll, la macchina che finalmente sveglierà Dio Carroll, la macchina che finalmente sveglierà Dio Ruggero Bianchi SECONDO la Genesi Dio, dopo aver dedicato sei giorni alla creazione del mondo, il settimo si riposò. Cioè, secondo Jonathan Carroll, si addormentò. Non prima tuttavia di aver programmato a puntino i modi e i tempi del proprio risveglio. Un disegno incomprensibile e inconcepibile che però assegna al cosmo un fine preciso: «L'intero universo lavora di comune accordo per produrre una macchina che sveglierà Dio». A informarne pochi eletti abitatori del minuscolo orticello terrestre, in II mare di legno, sono alcuni iperattivi e reticenti alieni di una remota galassia il cui esotico nome, Hratz-Patayo, suona un po' nel linguaggio degh umani come Ratto Patata. Superevoluti e superpotenti, ma alquanto confusionari e pasticcioni, compaiono in un giorno qualunque, rigorosamente in incognito, a Francis McCabe, il capo della polizia di Crane's View, una placida cittadina dell'America rurale, cacciandolo dapprima in inquietanti e bizzarri imbrogli e complicandogli successivamente le cose nel tentativo di aiutarlo e di renderlo parte attiva del progetto divino. Sempre, naturalmente, sotto mentite, pur se assai variegate, spoglie. Tutto comincia quando a Francis (Frannie per la moghe, la figliastra adolescente e gli amici di tutta una vita) viene affidato un cane centenario che si chiama Antica Virtute e che subito gh muore placidamente ai piedi. Lui, che ama gh animali, si fa in quattro per seppellirlo, ma la bestia non ne vuol sapere e, a volte vivo e a volte morto, toma a scodinzolargli attomo nelle occasioni meno opportune. Come se non bastasse, di tanto m tanto il protagonista si vede proiettare nel suo futuro o nel suo passato o in qualche sua vita parallela o potenziale, magri in compagnia di (Vecchi compari che non ha mai conosciuto o di mogli che non ha mai sposato, o addirittura di bambini che sono lui da bambino, di giovanotti che sono lui da giovanotto (e in questi casi, almeno, qualche ricordo gh riaffiora in mente) e di vecchi che sono lui da vecchio (e qui proprio non riesce più a orientarsi). Il fatto è, gh spiegano pignoli i visitatori galattici, che la nostra esistenza è qualcosa di fluido. E' come una manciata di bighe gettate in aria che, a ogni lancio, possono disporsi in combinazioni diverse, ciascuna delle quali può essere la vita reale: predeterminata e indeterminata al tempo stesso, sempre prevedibile da Dio ma mai dall'uomo. Date le premesse, Il mare di legno, vorticoso e fascinoso romanzo, può muoversi a proprio agio tra il serio e il faceto, tra il metafisico e il surreale, tra il sacro e il profano, senza che il lettore, una volta entrato nel gioco, ne resti scandalizzato. Preso atto che Jonathan Carroll, americano visionario resi¬ dente a Vienna, spazia con un gusto tutto suo per gh sberleffi tra il Vonnegut di Mattatoio n. 5 e lo Scheckley di L'uomo stocastico, tutto appare anzi semplice e coerentissimo. C'è infatti qualcosa che la scienza e la tecnologia del futuro o gh extraterrestri della SF o Dio stesso non possono fare? Clonazione, caschi con microchip contenenti la memoria di ciascun individuo, universi alternativi, resurrezioni e reincarnazioni rientrano ormai nel nostro immaginario, pur se non ancora nel nostro quotidiano. Se poi questi ingredienti vengono miscelati con humour garbato e commosso in un intreccio avvincente come un thriller, non c'è nemmeno il rischio di ritrovarsi, a chiusura di libro, disorientati o delusi. Jonathan Carroll Jonathan Carroll Il mare di legno trad. di Lucìa Olivieri Laln/Fazl, pp. 315.672,50 ROMANZO

Persone citate: Francis Mccabe, Jonathan Carroll, Olivieri, Ratto Patata, Vonnegut

Luoghi citati: America, Vienna