NON TOCCARE LA DONNA BIANCA

NON TOCCARE LA DONNA BIANCA FONDAZIONE SANDRETTO.RE REBAUDENGO NON TOCCARE LA DONNA BIANCA «Ni ON toccare donna bianca. Arte contemporanea fra diversità e liberazione» è il titolo della mostra aperta alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo e curata dal direttore' della fondazione, Francesco Bonami. Il titolo dell' esposizione è ispirato al famoso film di Marco Ferreri del 1974 e riunisce in una collettiva 19 artiste intemazionali per la maggior parte originarie di paesi caratterizzati da complesse situazioni politiche e sociali: Micol Assael, Maja Bajevic, Berlinde De Bruyckere, Marlene Dumas, Ellen Gallagher, Carmit Gii, Fernanda Gomes, Lyudmila Gorlova, Mona Hatoum, Michal Helfman, Emily Jacir, Koo Jeung-a, Daniela Kostova, Senga Nengudi, Shirin Neshat, Shirana Shabazi, Valeska Soares, Nobuko Tsuchiya e Shen Yuan. «Il provocatorio titolo "Non toccare donna bianca" - racconta il curatore - vuole essere una riflessione su come la donna come soggetto storico rappresenti il simbolo della diversità e della Iterazione della nostra società contemporanea. Se Ferreri identificava la "donna bianca" con l'Occidente e i suoi folli genocidi di minoranze e popolazioni conquistate, questa mostra preferisce riflettere sul "non toccare", ovvero l'ordine della società occidentale imposto al resto del mondo attraverso la propria potenza economica». Immersi in ciò che le donne vedono, vivono e raccontano attraverso l'arte, la mostra è un'insieme di sguardi, aperti e critici, sugli urgenti inteirogativi sollevati dai tempi bui della contemporaneità: cos'è oggil'arte rispetto alla storia?. Quale ruolo può e deve avere in questo complesso momento storico? Quella delle artiste invitate è «un'arte politica - racconta ancora il curatore - non perché affronta esplicitamente temi politici ma perché infrange continuamente con il proprio linguaggio artistico i divieti dell'ordine prestabilito dall'egemonia occidentale con la natura del proprio linguaggio artistico». Dalla pittura al video, all'installazione alla fotografia, l'in- tendo è quello di proporre al pubblico non risposte ma interrogativi; scardinare i modelli egemoni e gli antichi stereotipi legati alla cultura, un invito quanto mai urgente ad abbandonare le certezze ereditate e misurarsi invece con una terra di frontiera, imo spazio di mezzo. E' forse lo spazio della laicità quello che le donne ci raccontano? Non certo un territorio pacificato e neutro, ma un campo più libero dove poter tornare a relazionarsi, una di fonte all'altra, allontanando per un attimo il senso di impotenza che ci regala la storia e ì continui «allarmi» nei quali i media ci costringono a vivere. In tempi di orrore come questi, il lavoro di queste donne, come molte altre, ci immerge nelle contraddizioni e negli stereotipi che accompagnano la storia dei «generi» e che traversano tutte le pohtiche, le economie e le religioni. Marlene Dumas è nata in Sud Africa, Mona Hatoum in Palestina, Shirin Neshat in Iran, la loro arte le ha portate lontano, spesso in America ed Europa. Le immagini dure e sofferenti che i loro sguardi portavano da un mondo lontano, si sono mischiate e confuse con altrettante contrad- LA MOSINVIAMRIUNISCDICIANNARTISTEDI TUTTIL MONCON LAQUASI TINEDITI RA DANE OVE O ORI TTI dizioni ed ombre di una democrazia altrettanto ingnorante, cieca ed ottusa. Accanto a queste opere, che sono «diari» che raccontano di un mondo in pericolo, anche i lavori di Senga Nengudi, artista e performer afroamericana che realizza complessi lavori scultorei utilizzando capi d'abbigliamento d'uso prevalentemente femminile o Valeska Soares, brasiliana che attraverso le sue sensuali installazioni indaga il rapporto tra spazio reale e percezione personale. Ad emergere è il confronto tra le differenti e meticcie visioni di un gruppo folto di artiste che riflettono sulla società di oggi ed il complesso panorama rappresentativo delle radicab trasformazioni della società all'inizio del XXI secolo. «Il lavoro delle artiste invitate non si focalizza sull'identità femminile in contrapposizione a quella maschile: ognuna, operando su territori diversi e contradditori come l'Asia, il Medio Oriente, l'Europa e gh Stati Uniti, vuole definire la propria diversità come strumento di liberazione, sia del proprio linguaggio che degli stereotipi che hanno spesso limitato la comunicazione della donna nella cultura e nell'arte con¬ temporanea». Nel tentativo, non semplice, di tenere lontana la retorica che accompagna da sempre la cultura e la storia delle donne, i lavori di queste artiste, i loro viaggi e il loro pensiero sono un invito ad infrangere l'ordine di «non toccare» e andare oltre la storia - più a fondo, più giù-, non permettere a niente e nessuno ci affogarci in quel «vuoto» che ci rende oggi tutti uguali. Il progetto espositivo, ideato dal gruppo di architetti Cliostraat, è composto dalle oltre 20 opere presentate dalle artiste e ideate appositamente per lo spazio torinese. La mostra è corredata da un catalogo edito da Hopefiilmonster con testi di Francesco Bonami e schede tecniche delle opere in mostra. Durante il periodo di mostra verranno realizzati una serie di incontri e laboratori. In particolare, giovedì 23 alle 21, con il film cU Marguerite Duras «Les mains negatives», ritornerà il ciclo di proiezioni a cura di Emanuela De Cecco, che proseguirà fino al 4 novembre. Usa Parola Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, via Modane 16, Infotel. 011.19831610, www.fondsrr.org, or.: martedì-domenica: 12/20, giovedì 12/23, lunedì: chiuso. Aperto per le scuole 9/19. Ingressi: intero 5 euro, rid. 3, gratuito per minori di 12 anni, gratuito il giovedì dalle 20 alle 23. Fino all'8 gennaio 2005. LA MOSTRA INVIAMODANE RIUNISCE DICIANNOVE ARTISTE DI TUTTO IL MONDO CON LAVORI QUASI TUTTI INEDITI E' di Marlene Dumas questo olio del 2000 Intitolato «The Guard» Senga Nengudi «The Pantyhose Pieces» . * ' 1. ■..•..■■■-^ri Beriynde De Bruyckere nei suo studio di Gent al lavoro sulla «Femme sans tète»

Luoghi citati: America, Asia, Europa, Iran, Medio Oriente, Palestina, Stati Uniti, Sud Africa, Usa