Il «santone» italiano che fa correre il Kenya

Il «santone» italiano che fa correre il Kenya UN SUO ALLIEVO HA APPENA BATTUTO UN RECORD DEL MONDO Il «santone» italiano che fa correre il Kenya In Africa lo chiamano «Muse», che in swahili significa «il saggio» Gira di villaggio in villaggio, gli anziani gli portano i giovani da seguire personaggio Giulia Zonca SCOPRIRE talenti dovrebbe essere un lavoro faticoso, soprattutto se cerchi mezzofondisti e li devi stanare, testare, aspettare, soprattutto se vivi a Torino e scegli di trasferirti in Kenya. Perché è lì che si corre. Renato Canova fa questo nella vita, crea campioni, ma in realtà individuarli non è complicato: si presentano da soli, lo inseguono. Si è mosso così anche il ragazzo dei record, Saif Saaeed Shaheen, che in una prima vita, quando era keniano si chiamava Stephen Gherone e ora che è del Qatar gira i 3000 siepi in 7'53"63. Oggi, al Grand Prix di Monaco, vuole andare sotto, limare secondi al miglior tempo del mondo. Il suo. Canova se lo è trovato davanti anni fa, un ragazzone dalle lunghe leve e il broncio facile che gli ha picchiettato le dita sottili sulle spalle: «Ho provato le tue tabelle, quelle che hai preparato per mio fratello. Funzionano. Vorresti allenarmi?». Il fratello è Stephen Kosgei, il primo atleta che questo tattico della corsa ha rimesso in piedi. «Nel 1999 era uno sportivo alla frutta, l'ho fatto rinascere. Stavo in Africa da un anno, avevo capito abbastanza di quel posto da poter essere utile. Ai primi scatti era impiantato e qualche mese dopo ha vinto la medaglia d'oro (anche lui 3000 siepi) ai Mondiali di Siviglia». Canova è partito per il Kenya perché era stufo, stanco di spremere metodi per tirar su italiani stracchi che non andavano da nessuna parte, nervoso perché le stesse tecniche applicate agli africani davano risultati pazzeschi. «Sono andato là nel '98, ufficialmente per aggiornarmi, ma quello all'avanguardia ero io. Solo che qui esaurita la generazione dei Cova, Antibo e Lambruschini era terra bruciata. In Africa arrivano da te i più dotati, qui i più sfigati. Gli altri giocano a golf o fanno i designer, che gli frega di correre. Partiamo da un bacino così piccolo che pescarne uno buono è più un caso che un'im¬ presa. Sì succede, ma non potevo stare inchiodato ad aspettare l'eccezione». E' partito, allora lo chiamavano «lecturer», formatore in inglese, oggi il suo soprannome è «Muse», Mosè in swahili e sta per saggio. Adesso è il guru della maratona, e recluta come un santone: gira per i villaggi di montagna si mette seduto e riceve. Ormai lo conoscono ovunque, i più grandi accompagnano cugini e fratelli più giovani e li propagandano: «E' bravo. Quando va a scuola li semina tutti». La selezione si fa così, siccome lì correre è l'unico modo per spostarsi, i keniani hanno presente la classifica dei più veloci fin dalla prima elementare. Lo sanno da soli chi è il più forte e la cosa li lascia indifferenti, trottano fino a Canova perché lui può aiutarli a riempire la pancia. «Nelle città non è più così, Nairobi, Eldoret, lì non c'è più nessuno che corre. Alla prima comodità e al secondo autobus smettono. E' sulle montagne che resiste il bisogno di affidarsi alle proprie gambe. A sei anni fanno dieci chilometri due volte al giorno». E allora il torinese anomalo si inerpica, ascolta i questuanti e li raggruppa. Non li prova, sa che lo stupirebbero perché succede ogni volta, così li porta dritti nei campus e li allena. «Metà Kenya mi è venuto dietro» dice lui in un marasma di parole divertite, con la voce furba di chi sa di aver messo le mani su un tesoro che stava lì ad aspettare. Sfrutta l'effetto «Forrest Gump». Prende quattro o cinque dei suoi, li mette a correre per le strade sterrate, a nord, vicino al confine con l'Uganda e ogni scuola che passa il gruppo si infoltisce. Bambini in divisa, scalzi, escono dai cancelli trenta alla volta e subito vanno veloci, sembrano nuvole di polvere. Il tempo fa la selezione, dopo un'ora ne restano quindici, poi si incrocia im'altra scuola e il plotone si ingrossa. Tutti dietro a quelli che si allenano. «E' l'istinto. Ho visto scene cosi m ogni mio giorno kenyano e ancora sto lì, cronometro alla mano e bocca aperta. E' l'Africa si vive di necessità». Si sbanda pure, molti dei suoi juniores fanno un paio di gare e si intossicano di denaro: «Trovarsi in tasca 3000 dollari (piando non hai alcuna idea dei soldi, è pericoloso. Alcuni perdono la testa, comprano la macchina, si stordiscono. Ma non fraintendiamo, come ovunque ci sono quelli stupidi e quelli svegli solo che non hanno parametri. Si affidavano ai missionari come si affidano a me». Canova partirà tra poco, cinque o sei mesi in Africa poi Doha, Qatar perché da quando è anche responsabile di quella federazione, i talenti prima li alleva e poi li esporta. Come ha fatto con Shaheen e se gli lasci quel nome tra le mani insieme a un attimo di prolungato silenzio non lo corregge. Non dice che lui lo chiama ancora Stephen, non aggiunge Cherono per renderlo più riconoscibile. Quando il silenzio inizia a pesare, rassegnato spiega: «Questi cambi di nazionalità fanno bene al Kenya. Naturalizzano un campione e aiutano cento ragazzetti, c'è un accordo di mutualità. Smettiamola di fare retorica. In Qatar sono seicentomila in tutto, seicentomila ricchi, che comprano come i romani compravano i gladiatori. In cambio danno all'Africa strutture e attrezzature. E' un buon patto». Muse, il saggio ha la sua filosofia pratica, è per questo che gli corrono dietro. Renato Canova è partito da Torino «Ogni volta che in allenamento gli atleti passano vicino a una scuola, i bambini escono e li seguono: è l'istinto» SUDAN UGANDA LAGO vittorìa: .,1,. ETIOPIA LAGO e l RODOLFO LODWAR KENYA • KISUMU W «NAKURU m NAIROBI TANZANIA OCEANO INDIANO Nei villaggi di montagna i ragazzi fanno 10 chilometri di corsa per andare a scuola