Olivero: giustizia preventiva per il mondo di Marco Accossato
Olivero: giustizia preventiva per il mondo IL FONDATORE DEL SERMIG SUI TEMI DELLA «GIORNATA DELLA PACE» AD ASTIIL 3 OTTÓBRE Olivero: giustizia preventiva per il mondo «Soltanto così costruiremo le basi per una pace duratura» intervista Marco Accossato TORINO VIVIAMO in un periodo tragico e crudele, caratterizzato da guerre preventive e dal fanatismo terrorista. Nessuno è più al sicuro in ufficio, in treno, in autobus o in metropolitana. Nessuno è al sicuro in chiesa, a teatro, al cinema, allo stadio, al supermercato. Abbiamo superato più volte la sogha di quanto pensavamo inaccettabile». Emesto Olivero, fondatore del Sermig e ispiratore deh'Arsenale della Pace di Torino, esordirà così, domenica 3 ottobre, al secondo appuntamento mondiale «Giovani della pace» in programma ad Asti. Un grido di paura, un appello al mondo, condiviso dall'arcivescovo di Torino, Severino Poletto, e dal cardiinal Renato Martino, per 16 anni osservatore della Santa Sede all'Orni. «Rifiutiamo la guerra preventiva e proclamiamo che solo la "pace preventiva" può portare alla pace». Che cosa significa, tradotto in azioni concrete? «La "pace preventiva" deve essere accompagnata dalla giustizia preventiva, dal lavoro, dalle cure, dall'istruzione, dai diritti e dalla dignità, dalla solidarietà preventiva. Non possiamo e non dobbiamo accettare un mondo di affamati, di disoccupati, di miseri e di vittime». Per un credente non esistono guerre giuste. Neppure guerre giustificabili? «Siamo cresciuti pensando che ci siano state guerre giuste. Dobbiamo crescere d'ora in poi pensando che tutte le guerre, tutte le violenze sono ingiuste. Che solo la pace è giusta, solo la giustizia è giusta, solo il cibo, l'acqua, le cure, il lavoro, l'istru- zione, l'economia, la pohtica, l'arte, l'ambiente a servizio di tutti e per tutti sono giusti». Lei ha sottolineato in passato la debolezza dell'Onu e la divisione delle religioni... «Molte nazioni non hanno ancora firmato i diritti dell'uomo promossi all'Onu. Abbiamo bisogno subito di un Onu credibile e autorevole che sia la chiave della pace. Un'organizzazione intemazionale in cui tutti gli Stati siano rappresentati, abbiano voce in capitolo, siano responsabili del bene comune. In cui un esercito e una forza intemazionale di polizia, non di parte, possano vigilare e intevenire per pacificare e risolvere le tensioni. In cui gli organismi internazionali siano al servizio dei bisogni, dei diritti, della dignità delle persone e dei popoli. E abbiamo bisogno che le religioni tornino veramente a Dio che è amore, giustizia, misericordia». Allora le religioni avranno l'autorità per dire no alle bombe? «Se torneranno veramente a Dio l'avranno. Avranno l'autorità morale per dire no alle bombe, no agli attentati suicidi, no ai muri, no alle guerre, no alle ingiustizie. L'incontro e il dialogo saranno subito fraterni, le incomprensioni e l'odio saranno accantonati. Diranno sì alla vita, una vita che vale per tutti, uomini e donne, senza discriminazioni, senza "se" e "ma"». Chi crede in Dio ha una responsabilità in più? «Ha una grande responsabilità, e mai come oggi deve dimostrarlo con le opere, cioè amando gli altri, aiutando i miseri. Sono le nostre azioni buone che testimoniano il nostro amore sincero per Dio». Le immagini agghiaccianti dell'Iraq continuano a scorrere di fronte ai nostri occhi. Ma lei sostiene che il banco di prova della nostra credibilità sia l'Africa. «E' importante non dimenticare l'Africa, dove le divisioni etniche e gli interessi egoistici convivono con la miseria e con immense tragedie come quelle del Darfur, in Sudan e nel Nord dell'Uganda. L'Africa è il banco di prova della nostra credibilità, quell'Africa dove molti Stati hanno preso e mai dato, che è stata spogliata per secoli delle migliori risorse umane con il traffico degli schiavi e depredata delle risorse naturali». Ai giovani radunati ad Asti parlerà anche del difficile dialogo con l'Islam? «L'Islam fa paura a molti. Dialogare vuol dire mettersi attorno a un tavolo, disposti a cambiare idea. Noi voghamo trasformare la paura in ima grande opportunità di incontro. Il mondo è un piccolo villaggio dove popoli e culture si intrecciano». |^^1 Si parla "" giustamente molto di Iraq ma non bisogna dimenticare l'Africa dovei conflitti etnici e gli interessi egoistici convivono con la miseria e con immense tragedie come quella del Darfur e nel Nord dell'Uganda Il continente è un banco di prova della A A nostra credibilità 77 Bambini che vivono in un campo profughi nel Darfur, in Sudan
Persone citate: Olivero, Renato Martino, Severino Poletto
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