Gertrude, una sventurata che continua a rispondere di Masolino D'amico

Gertrude, una sventurata che continua a rispondere VENEZIA. ALLA BIENNALE TEATRO LA «MONACA DI MONZA» DI TESTORI: ALEGGIANO FANTASMI. FORZATI DELL'INFERNO, CHE SI RIPETONO Masolino d'Amico VENEZIA Diversamente dalle sue consorelle del cinema e delle arti figurative, la Biennale Teatro, da quest'anno affidata a Massimo Castri, rinuncia a una antica vocazione intemazionale leggi, a ospitare formazioni straniere - e si limita almeno per quest'anno al repertorio autarchico, concentrando in due settimane abbondanti (15 settembre-2 ottobre) una serie di anteprime di spettacoli iscrivibili nella categoria di quelli impegnati, prodotti in massima parte da altri, e che saranno ripresi qua e là durante la stagione. L'inaugurazione è avvenuta con «La monaca di Monza» di Giovanni Testori, lavoro mai risultato convincente alla prova della scena. Per tentare di dargli ima validità il regista Elio De Capitani, dei Teatridithalia, ha adottato un approccio opposto rispetto a quello di Luchino Visconti che lo tenne a battesimo nel 1967. Visconti aveva voluto movimentare un po' il copione - anche con un juke box, se ricordo qualcosa di quell'allestimento peraltro non baciato dal successo -, che benché brulicante di personaggi (40 nella versione originale!) e di situazioni, nella sostanza risulta statico. Siamo infatti tra fantasmi che rievocano le circostanze del noto episodio di cronaca nera secentesca, continuamente raccontandosi quello che sanno già. Sì, riallacciandosi a fonti sconosciute al Manzoni Gertrude, una sventurata che continua a rispondere quando scrisse «I promessi sposi» Testori esplora gli aspetti più sordidi dell'illecita relazione tra suor Virginia monacata a forza e il seduttore Osio. Ma lo fa alla maniera delle «Heroides» di Ovidio, già tanto ammirate e imitate nella letteratura occidentale. Lì, come si ricorderà, un fatto della storia o della mitologia, mettiamo r«affair» tra Didone e Enea, è rivisitato con le parole che uno dei personaggi potrebbe rivolgere all'altro; naturalmente, il poeta conta su lettori che conoscano bene i retroscena. Allo stesso modo Testori non chiosa gli sfoghi che i suoi fantasmi si scambiano, talvolta al futuro (tu getterai la chiave, tu scriverai il biglietto). Però mentre le «Eroidi» durano qualche pagina, l'intreccio di confessioni concepito da Testori è straripante, e recitarlo tutto richiederebbe molte ore. Saggiamente, De Capitani lo contiene in due sole, separate da un intervallo di 15', e riduce i personaggi a otto. Inoltre invece di combattere come fece Visconti il suo immobilismo, lo esalta, ottenendo ima specie di oratorio. sia pure con qualche parvenza di azione. La scena, di Carlo Sala, è vuota ma sulfurea, avvolta in polverosi arazzi rossastri e inizialmente occupata da un grande sudario avorio che avvolge la sepolta viva, statua di se stessa. Rimosso questo drappo ed emersa ormai vecchia. Virginia, al secolo Marianna (e per il Manzoni, Gertrude), si rivela anche un grande letto sul quale Maria Virginia de Leyva, madre della futura monaca, viene posseduta a forza dall'a lei sgradito coniuge Martino: Te- Marco Baliani e Lucilla Morlacchi a Venezia in un momento della «Monaca dì Monza» che ha la regia di Elio De Capitani deiTeatridithalia stori dà gran rilievo alla venuta al mondo di questa creatura indesiderata anche a prescindere dal suo sesso femminile. Seguono i suaccennati contrasti, con intervento del ghignante Osio, del comphce Don Arrigone, delle suore coinvolte, compresa quella, verbosissima e molto esagitata, uccisa da Osio perché voleva partecipare alle orge minacciando denunce se esclusa. Ora, se ciò risulta alla lunga sterile e tedioso non è perché sia teatro di parola - anche la tragedia greca lo è -, e nemmeno perché gli manchi impegno da parte di chi lo propone: ma perché mentre da un lato Testori non cerca nemmeno di limitare la propria lussureggiante eloquenza postdannunziana, dall'altro non sviluppa niente: tutto è già accaduto in partenza, e i caratteri sono fissati come nelle figurine, Marianna dura e dolente (e ribadente una passione sensuale della quale non riesce mai a convincerci davvero), Osio cinico. Don Arrigone viscido, ecc.; i bravi attori, con in testa Lucilla Morlacchi e Marco Baliani, non possono fare altro che ripetersi. Sono forzati dell'inferno tipo quelli che Dante coglie per un momento, ma appunto, per liquidarli in pochi versi, mentre qui noi pubblico siamo condannati a sentirli ribadire se stessi fino al guizzo conclusivo dell'invettiva di Marianna, francamente un po' facile, contro il Cristo che permette simili cose. Grande monotonia insomma, e poi applausi ai valorosi.

Luoghi citati: Monza, Venezia, Virginia