Non toccate l'artista bianca di Rocco Moliterni

Non toccate l'artista bianca ALLA FONDAZIONE SANDRETTO RE REBAUDENGO DI TORINO » Non toccate l'artista bianca Video, installazioni e dipinti dell'altra metà del cielo Rocco Moliterni TORINO «M I aveva colpito quel film di Ferreri, quasi un western ambientato a Parigi, dove Catherine Deneuve era il simbolo d'un Occidente da un lato innocente e dall'altro pronto a sterminare gli indiani. Quello stesso Occidente che oggi si permette di toccare ciò che vuole ma che appena viene toccato si sente violentato»: così Francesco Sonami, spiega il titolo della mostra «Non toccare la donna bianca», che si apre oggi alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino. Raccoglie dipinti, installazioni e video di 19 artiste di vari paesi del mondo, dalla Cina alla Russia, dal Medio Oriente all'America, passando per i Paesi Bassi. «Se negli Anni 70 - prosegue Sonami - le donne praticavano un'arte esplicitamente impegnata in senso femminista ora non è più così. Le artiste di oggi esprimono un loro mondo: territori in cui si sprigionano energie, ma al di fuori dei discorsi di potere tipicamente maschili». Mondi che possono essere be¬ vi come i danzatori-fantasma dell'installazione della brasiliana Valeska Soares: ci si trova, grazie a uno specchio a ballare con loro, in una sala dalle luci soffuse. Ancora più minimalista e rarefatto il lavoro dell'altra brasiliana in mostra, Fernanda Comes: una stanza bianca in cui a fatica indovini presenze di oggetti. Altrettanto impalpapile il lavoro dell'americana Ellen Gallagher che si chiama Watery Ecstatic: un disegno bianco, quasi un ricamo, in cui si intrawedono pesci fossili, anguille, polipi e meduse. All'insegna della leggerezza, anche Esse sono partite, anche se non hanno nessun posto dove andare, la frase-installazione realizzata sulle pareti della Fondazione da Shen Yaun, con le scarpine di donne cinesi di varie epoche. La sofferenza della condizione femminile esce dal lavoro dell'afro-americana Senga Nengudi, in cui i collant sono ora intestini ora borse, ora uteri, così come dai dipinti, ormai quasi un classico dell'arte contemporanea, della sud-africana (ma vive e lavora in Olanda) Marlene Dumas, I conti, in maniera ironica. con il potere in una società mediorientale li fa invece l'iraniana Shirana Shabbazi: «Mi sono ispirata - spiega - alle immagini del figlio di Assad che costellano le strade della Siria. Sono immagini "banali" ma la loro serializzazione e onnipresenza le fa diventare un simbolo del potere». Così lei ha riproposto serial¬ mente un volto femminile che molto le rassomiglia, una sorta di effetto Warhol, che occupa un'intera parete. Più famosa, l'altra iraniana (ormai americana) Shirin Neshat, di cui viene proposto Possession, uno degh ultimi film (già visto alla sua personale di Rivoli). Di Mona Hatoum, artista libanese, c'è un tappeto di spilli, con la scritta «Welcome». Presente nella sezione Clandestini della Siennale veneziana curata da Bonami, la giapponese Nobùko Tsuchiya, nel suo Jellyfish Principle (il principio della medusa), scompone (un po' alla Chen Zen) una sorta di bianco e immaginario ventre d'una balena. Dalla stessa Siennale arriva Berlinde de Sruyckere, lì proponeva un inquientante cavallo senza testa, qui un non meno inquietante tronco umano, tra la Delle scorticata di un santo e un justo vuoto. Dalla nuova Russia arriva il fotoromanzo Love is no Jóke Here (L'amore non è uno scherzo) un po' Anni 70 di Lydmila Gorlova. Mentre il viaggio è il tema delle diapositive della bosniaca Maja Bajevic. La mostra permette anche un confronto tra le giovani leve israeliane e quelle palestinesi: se a Tel Aviv si riesce a «metaforizzare» la situazione di incertezza e tensione, a Ramallah è più difficile dimenticare ciò che si sta soffrendo, così da un lato vediamo il tappeto di Carmin Gii o il bassorilievo «da discoteca» di Michal Heffman, dall'altro troviamo il video di Emili Jacir Crossing Surda, che registra ciò che accade al posto di blocco, tra Israele e Palestina che la stessa artista deve attraversare per andare all'Università. Molte opere sono state realizzate appositamente per questa mostra: «Abbiamo cercato - spiega Patrizia Sandretto - di mettere accanto ai lavori di artiste ormai consacrate come Shirin Neshat o Marlene Dumas, quello di giovani quasi sconosciute al grande pubblico». E il risultato lascia un impressione di «freschezza», rispetto ai soliti lavori che ormai costellano fiere e mostre. L'«altra metà del cielo» ha forse oggi più cose da dire, e riesce a farlo con un linguaggio che talora sorprende o intenerisce e quasi sempre emoziona. yhat does he waf Oh, he speaks * good French fPardon, zhe vu explik tul L'installazione di NobukiTsuchiya Un'opera di Marlene Dumas Dalla Cina alla Russia, dal Brasile all'Iran i nuovi linguaggi femminili sorprendono inteneriscono e spesso emozionano Un'immagine dal fotoromanzo dell'artista russa Lyudmilla Gorlova