RABONI la legge della poesia

RABONI la legge della poesia IL POETA E CRITICO MILANESE È MORTO IERI A 72 ANNI: E' STATO UN APPASSIONATO E INSTANCABILE INTERPRETE DEL NOSTRO TEMPO RABONI la legge della poesia Il poeta Giovanni Raboni è morto a Parma, ieri mattina, all'Ospedale San Raffaele, per un attacco cardiaco. Era stato ricoverato 5 mesi fa, il giorno di Pasquetta. Nato a Milano il 22 gennaio 1932, era il crìtico teatrale del «Corriere della Sera». Mondadori prepara un «Meridiano» sulla sua opera poetica. Maurizio Cucchi MILANO DIFFICILE dire cosa dovremo rimpiangere di più, nella perdita di Giovanni Raboni. Se il grande poeta, il critico e letterato finissimo, o l'uomo di cuore e straordinaria intelligenza. Ma la poesia è lì, i suoi libri rimangono, e nessuno ce li potrà togliere, anche se qualche nuovo capitolo, sicuramente, sarebbe riuscito ad aggiungere. Dunque, a mancarci sarà soprattutto la sua presenza di nobile, appassionato e instancabile interprete del suo tempo e dei libri del suo tempo, l'attento e sensìbile protagonista dì tante iniziative culturali di questi decenni, di mezzo secolo della nostra cultura migliore. Giovanni Raboni è stato un talento precoce, ma non ansioso, non frettoloso. Quando nel 1966 pubblica il primo libro di versi, uno dei testi chiave della poesia di secondo Novecento, Le case della Vetra, ha 34 anni, ma chi allora seguiva le nuove generazioni ne conosceva già da tempo il nome, i componimenti, la capacità pressoché infallibile di lettore. Eppure, se è vero che il suo amore per i libri era sbocciato fin da ragazzino, quando in tempo di guerra, sfollato nei dintorni di Varese, divorava romanzi e classici, è anche vero che i suoi studi non erano stati letterari. Si era laureato in legge e aveva fatto inizialmente anche l'avvocato. Intanto aveva sposato l'architetto Bianca Bottero, avendone tre figli: Lazzaro, Pietro e Giulia. Le prime plaquettes, e poi il fondamentale libro d'esordio già citato, propongono un autore profondamente legato alle sue radici culturali, che vanno dalla grande tradizione lombarda del Manzoni alle decisive scelte innovative di T. S. Eliot. I suoi riferimenti più vicini sono grandi maestri come Vittorio Sereni, forse più d'ogni altro, e Franco Fortini. Ma in questo costante bisogno di legarsi ai maestri si evidenzia da subito una personalità decisamente autonoma e nuova, anche se lontana da ogni forma di esibizione. La poesia di Raboni lavora sul parlato, introduce figure ed esperienze di realtà quotidiana, si muove sempre a ridosso della prosa senza cedere mai alla prosa. Una novità di sostanza, dunque, e una bellezza discreta quanto profonda. E in questa direzione lavorerà sempre, anche nei libri successivi. Cadenza d'inganno e Nel grave sogno, e anche quando giungerà al recupero della forma chiusa, in opere come Ogni terzo pensiero o Quare tristis, ài tempi più recenti. Negli anni Settanta la sua presenza come propulsore di nuovi autori è centrale. È a lui che si deve la scelta, tra gli altri, di poeti come Milo De Angelis o Giampiero Neri, che esordiscono nella collana di Guanda da lui diretta, «Quaderni della Fenice». Ma svolge anche un prezioso lavoro di giornalista culturale, come direttore dell' Illustrazione Italiana, dove si respirano il suo equilibrio e l'infallibilità del gusto. Il lavoro come critico letterario è puntualissimo, su Tuttolibri, fin dal primo numero del 1975. Poesia degli anni Sessanta (75) è un testo centrale per capire il senso della nostra poesia nel tempo delle avanguardie e altro. Al suo fianco, in questi anni, è la vivacissima Serena Vitale, la slavista a cui si deve la scoperta di importanti capitoli della letteratura russa. Chi conosce Raboni ne è in genere, già allora, un po' intimidito, anche se i suoi modi sono cordialissimi, di una signorile affabilità che rivela in lui le qualità migliori della borghesia milanese. Si è colpiti dalla grande personalità, forte eppure morbida, di cui immediatamente si avverte la presenza. E anche dal suo aspetto, dalla barba e dai capelli precocemente imbiancati. Ma Raboni è un lavoratore instancabile, e un lettore sempre aperto al nuovo, sempre curioso di scovare nuove linee dell'espressione letteraria. All'inizio degli anni Ottanta si lega con una giovanissima Patrizia Valduga, dopo averne letto i primi sonetti, che gli rivelano un temperamento poetico sorprendente e insieme un inatteso amore per la poesia della tradizione. È intanto partita una nuova grande impresa: la traduzione dell' intero capolavoro di Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto, che uscirà in quattro volumi tra 183 e il '93. Da sempre, peraltro, Raboni si era dedicato alla traduzione, un altro modo per esprimere concretamente l'amore per la letteratura, per lui vera e propria ragione centrale di vita. Splendide, originali, insomma poetiche, le sue versioni dei Fiori del male di Baudelaire. A partire dagli anni Ottanta si fa anche molto più intensa, e spesso anche segnata da una forte vena polemica, l'attività di giornalista culturale. Prima sul Messaggero, poi sull'Europeo, e soprattutto sul Corriere della Sera, dove si propone come critico teatrale (così come da giovane era stato critico cinematografico per Avvenire). Da tutto questo si capisce bene l'ampiezza dei suoi interessi, il bisogno di coltivare la conoscenza di ogni forma espressiva. «Come può un poeta non amare la musica?», mi disse per esempio una volta. E aveva ragione. Ma l'ingresso nel mondo del teatro non si limita, in lui, a quello dell'osservatore e del critico. E infatti traduce capolavori classici e scrive a sua volta, in versi, per la scena. Rappresentazione della croce e Alcesti o L'opera dell'esi- lio. In Raboni, però, non esistono mondi separati. Il suo teatro in versi è teatro di poesia, ma è anche spunto di rimeditazione sul proprio cammino di poeta. Come drammaturgo, per sottrarsi a ogni possibile forma di enfasi, che non sopporterebbe, sceglie un verso libero prosastico, che ritoma, come in un ritomo alle origini, anche nel più recente libro di poesie scritte per la pagina e non per il teatro, Barlumi di storia (2002), dove riappare anche la vocazione, in effetti mai sopita, di poeta civile, in un incrocio, per lui irrinunciabile, di storia e storia personale. Il quadro, dunque, è ricco e complesso, ma straordinariamente coerente. Non c'è alcuna discontinuità nell'opera di autore e di critico, di artista e di testimone del suo tempo. In lui è stato vivo e sempre presente l'insegnamento del Manzoni, che considerava la letteratura come un ramo delle scienze morali. E ha saputo alimentare questa convinzione con la sensibilità più sottile del poeta, che sa cogliere il vero dove i più non lo vedono, e sa dirlo, renderlo parola, con pacata e serena grandezza, aiutato da quello che si potrebbe definire, per il suo stile, un orecchio assoluto. E anche il tratto dell'uomo era in linea con il carattere dell'autore: nel suo equilibrio razionale internamente scosso da trasalimenti; nella sua dolcezza che poteva nascondere, per sé, qualcosa di tagliente; nella sua naturale raffinatezza, che lo rendeva deliziosamente semplice e domestico come un amabile gettone dignitoso. Ho avuto il privilegio di conoscerlo, di essergli amico e di considerarlo mio maestro. Scrivo tutto questo con molto dolore, quasi senza credere che sia vero, come sperando che sia solo un tremendo sogno. Nei suoi versi lavorava sul parlato, introducendo figure e esperienze di realtà quotidiana: si muoveva a ridosso della prosa, senza mai cedere alla prosa In lui è stata sempre viva la lezione di Manzoni che considerava la letteratura come un ramo delle scienze morali. Con la sua sensibilità poetica ha saputo cogliere il vero dove i più non lo vedono e lo ha reso linguaggio siiiiiii Giovanni Raboni. Dopo essersi laureato in legge e avere esercitato per qualche tempo come avvocato, pubblicò nel 1966 il suo primo libro di versi te case della Vetra

Luoghi citati: Guanda, Milano, Parma, Varese