A BAGHDAD sulle tracce delle due Simone di Giuseppe Zaccaria

A BAGHDAD sulle tracce delle due Simone I PERCORSI QUOTIDIANI E GLI INCONTRI DELIE DUE VOLONTARIE ITALIANE : :.-^ .-- —-- :. . :,,n,,';, i,,-,-' A BAGHDAD sulle tracce delle due Simone reportage Giuseppe Zaccaria inviato a BAGHDAD Oggi i fuochi d'artificio sono iniziati all'ali) a, e dalle parti di Haifa Steet c'è (guerriglia vera mentre il traffico si affastella sulla sponda opposta del Tigri, tre ponti sono chiusi e tutti sembrano avere ima fretta dannata. Il coprifuoco spontaneo di Baghdad scatta verso le tre, chissà quante volte «le Simone» hanno attraversato la giornata in una situazione simile. Partendo dalla villa sbarrata di Hay al Waf a, una lunga mattinata sulle tracce delle nostre ragazze sembra ricondurre ogni cosa ad ima dimensione più povera e polverosa, assolutamente antieroica eppure proprio per questo più affascinante. Ogni mattina uscendo dalla casaufficio le Simone salutavano questi due arnesi, in grado al massimo di vegliare sul gatto di casa, e salivano in macchina di fronte a guardiani che fino ad una settimana fa non dovevano avere quest'aria contrita. Andalous Square dista una cinquantina di metri, un tempo brulicava di vita e adesso potrebbe fare da sfondo a un De Chirico, per raggiungerla l'auto deve coprire un percorso di guerra nel quale preziose chiazze d'asfalto fanno da raccordo fra una buca e una voragine, i marciapiedi sono ancora più impercorribili. Questo frammento di quartiere residenziale sintetizza piuttosto bene la devastazione e lo svuotamento che affliggono l'Iraq, e comunque ogni mattina «le Simone» sono giunte qui, hanno svoltato a sinistra e percorso per intero la Saddoun Street passando accando alla fortezza degh alberghi, girando per la piazza del Paradiso e fermandosi all'angolo deUa Al Nidal. Qui l'auto si parcheggia con difficoltà, in questa zona al mattino c'è un po' più di movimento; ecco il cancello, della «Jamal al Amel», l'Associazione per la Speranza irachena. Negh ultimi mesi quasi tutte le mattine le due ragazze sono venute in questa bianca casa a due piani per incontrarsi con Henah e Zina, discutere le risorse, pianificare il da farsi. L'Associazione per la Speranza è un'altra Ngo, organizzazione non governativa, e con la Ngo itahana di «Un ponte per» la collaborazione si era fatta subito intensa. «Potrei dire che da sei mesi a questa parte le due Simone hanno lavorato soprattutto con noi», spiega Hehah Edwar, la direttrice, una cristiana magrissima e iperattiva; «Se non erro ci hanno visitato il giorno prima di essere rapite ed hanno lavorato a lungo con Zina». Zina Taha el Azawi è una giovane musulmana dallo sguardo vivo che porta un velo intonato ai pantaloni; «Sì, lunedì mattina sono state da me, tranquille e positive come sempre, dovevamo decidere le nuove consegne di medicinali ed avevamo messo a punto il piano per tutto settembre». Zina rivela un altro aspetto del lavoro deUe Simone, quello, diciamo così, presenzialista e puntato sul contatto diretto, spesso fino al coinvolgimento totale. L'Associazione per la Speranza riceve fondi dall'Italia, contribuzioni private che rendono possibile assistere bambini fino ai 12 anni di età. Periodicamente, la parte irachena calcolava le contribuzioni ed acquistava i medicinali, la consegna tornava di competenza itahana per mano delle Simone. «Ora che sono vittime di questo spregevole sequestro molte persone rischiano la morte, proprio in questi giorni le mie amiche itahane avrebbero dovuto recarsi a Kut per consegnare medicine ai quattro fratelli Tahar, soh sopravvissuti in una famiglia di otto persone tutte affette da una grave intolleranza per gh enzimi». La prassi di «Un ponte per» è quella del maggiore coinvolgimento possibile nei problemi dei Paesi in cui opera, però le Simone ci hanno messo qualcosa di personale, un grande tocco di umanità in più, e raccontando come le due amiche mai le fossero parse preoccupate Zina riesce ad illuminare in un lampo le loro personahtà. «Spaventate? Ma no, le mie amiche itahane potevano essere di volta in volta allegre o arrabbiate, toniche o stanche, entusiaste oppure annoniate come accade a ciascuno di noi, però mai preoccupate nel senso che dice lei e questo per una semphce ragione; loro si sentono irachene. Ragionano come noi dorme di Baghdad, soffrono per i mah del Paese e non si considerano per nulla estranee, esposte né tanto meno usabih come merce di scambio. Ha presente gh scivoh nel giardino di "Un ponte per"? Poco tempo fa h avevano comperati loro, col danaro personale, per dare un minimo di divertimento ai bambini». I bambini, ecco un altra corda che nehe Simone vibra all'unisono; dall'altra parte della città, a Wasiryah, dov'è la sede della «Mezzaluna rossa» e gli spari di Haifa Street paiono lontani, la portavoce dell'organizzazione islamica parla delle ragazze in lingua araba come delle "Italietén", la coppia delle itahane. «Fino alla guerra lavoravano soltanto con noi, com'era obbli¬ gatorio durante il regime di Saddam - spiega la portavoce Furduz El Ibadi -. Io allora facevo la giornalista e più tardi non lo ho mai incontrate, però mi risulta che spesso fossero venute da noi per coordinare missioni a Najaf o in altre città lontane. Certamente mantenevano rapporti più stretti con il Ministero dell'Educazione». Per raggiungere la sede del ministero bisognerebbe attraversare la battagha del centro, un simile problema sarà capitato anche alle «Itahetén». Come si comportavano in simili casi? Oggi si può solo virare verso un ufficio distaccato di Wasiryah che però è quello che tiene i contatti con le organizzazioni straniere. Il traffico è intenso e bloccato, l'autista raccomanda di toghersi gh occhiali da sole e di assumere un'aria «irachena», che in genere vuol dire aggressiva. Le Simone si coprivano la testa col «majeb», ultimamente evitavano di guidare e sedevano accanto all'autista come rassegnate donne locali. Negh incontri con Luey El Omari, direttore del ministero, la rassegnazione però veniva meno: «Come non voler bene alle "itahetén"? In pochi mesi attraverso il loro impegno questo Paese ha mandato una decina di bambini a Roma, dove hanno ricevuto cure urgenti. Con me, si discuteva soprattutto del programma di assistenza che "Jesser eia Baghdad" aveva varato per la ricostruzione deUe scuole». «Jesser eia Baghdad» è la traduzione in arabo di «Un ponte per», la Simone erano riuscite a far entrare la loro organizzazione nel lessico della capitale. «Non saprei dirle quante scuole sono state ricostruite con l'appoggio di "Jesser", molti documenti sono andati bruciati con le razzie del dopoguerra...». La segretaria, Jeannette, si dichiara grande amica di Simona Torretta; «E' una donna straordinaria, concreta, quadrata, nessun islamico per quanto estremista può averle rapite. Possono solo essere nelle mani dei tanti "Ali Babà" di questa sciagurata stagione, se io fossi cristiana non vedrei differenze fra il suo lavoro e quello delle suore di Madre Teresa... La.fede, dice lei? Ci sono molti mòdi per esprimerla». Per completare il giro quotidiano delle Simone manca una tappa, ancora una volta piuttosto disagevole ma non è che «le itahane» si siano mai fermate per questo. Al ministero ci hanno detto che negh ultimi mesi il loro impegno più intenso è stato quello della «summer school», una serie di corsi estivi serviti soprattutto a tenere qualche centinaio di bambini lontani dalle strade e ad insegnare loro rudimenti di pittura, bella scrittura e canto. Il centro della «summer school» si trova in una scuola di Al Jamila, che poi è esattamente ai margini di Sadr City e guarda dai confini di un benessere ormai svanito le devastazioni della «banlieue» senta. Al municipio locale il delegato del governo Allawi, Ahmadi Ah, quando sente parlare di «summer school» scoppia in una risata e indica i carri armati americani che circondano il quartiere. Le Simone però sarebbero passate. La scuola elementare «Mejeselun» è chiusa dal 25 di agosto, da quando il programma estivo si concluse, però nella zona c'è gente che ricorda bene le «itahanén», come la famiglia di Khasam Taki. «Le mie fighe, Hena e Rawa, se le videro comparire in classe qualche mese fa: avevano assoldato dei suonatori per uno spettacolo musicale itinerante. Poco lontano da qui, al "blocco 57" di Sadr City, le due ragazze andavano spesso per aiutare una famiglia che necessitava di trasfusioni di sangue. Chi può averle prese? Non islamici ma banditi senza sangue e senza onore, queUe erano ormai persone nostre, irachene prestate all'Occidente. Devono restituircele». Il ritomo verso la zona di Andalous Square è veloce, le strade si sono svuotate e fra un po' comincerà a fare buio. Chiunque potrebbe prendersela con due ragazze isolate in una villetta. Ogni mattina percorrevano tutta Saddoun Street per raggiungere r«Associazione per la Speranza»: qui decidevano le nuove consegne di medicinali La musulmana Zina «Spaventate? Ma no Le mie amiche potevano essere allegre o stanche ma mai preoccupate: loro si sentono irachene» Asinistra, un'immagine di Simona Pari a Baghdad. Afianco, una donna protesta nella capitale perii rapimento delle due volontarie

Luoghi citati: Baghdad, Iraq, Italia, Roma