Le detenute irachene tra terrore del carcere e paura della libertà di Giuseppe Zaccaria

Le detenute irachene tra terrore del carcere e paura della libertà LA TRAGICA IRONIA DIETRO LA RICHIESTA DEI TERRORISTI Le detenute irachene tra terrore del carcere e paura della libertà I carcerieri arabi le violentano e quando vengono rilasciate sono sgozzate o arse vive dalle tribù di appartenenza perché «impure» Giuseppe Zaccaria inviato a BAGHDAD Ieri sera alle 8, ora irachena, sedici detenute sono state rilasciate dal carcere di Abu Ghraib anche se purtroppo questo nulla ha a che fare con la sorte delle «due Simone» né con le fantasie dei vari acrobati islamici in rete. La cosa era stata decisa da tempo e attuata dopo forti incertezze, ma soprattutto non si sa bene a cosa condurrà: quelle povere figure velate si sono trovate ad un bivio, quello fra vergogna e detenzione o fra libertà e vergogna. Il mese scorso ne erano state liberate 20, in pochi giorni 16 di esse sono state sgozzate oppure arse vive dalle tribù di appartenenza. Avevano subito violenza e dunque erano «impure». Nell'Iraq di oggi la realtà è questa e non c'è molto da almanaccarci attorno: se è vero che il Paese non ha più un dittatore è anche vero che con il saddamismo è morto il baathismo, e con esso quell'idea laica dello Stato che nel mondo arabo costituiva la parziale realizzazione di un'utopia. Oggi l'Iraq è ripiombato indietro di alcuni secoli e l'assurda finzione che nel mondo islamico chiama in causa le donne soltanto quando tutto il resto è perduto, nel caso delle ragazze italiane diventa tre volte grottesca. Sarà bene rendersene conto subito prima che qualcuno si avventuri in singolari operazioni di salvataggio ointerventi senza rete. I fumosi proclami di banditi più o meno islamici continuano a sovrapporsi e si mostrano sempre più privi di senso, la realtà delle carceri irachene lo dimostra con crudezza: oggi come tre mesi fa le donne detenute hanno paura di tomare libere per la stessa, sempli¬ ce, arcaica e sconcertante ragione. Dove finisce il martirio comincia la gogna, le famiglie o la tribù accolgono le donne liberate, le baciano e le lavano ma non possono sopportare che tornino in condizioni «disonorate», dunque l'epilogo è quasi sempre brutale. Qualche jgiomo prima che lo scandalo di Abu Ghraib sconvolgesse il mondo attraverso le foto diffuse dalla Cbs, da Baghdad questo giornale ave- va parlato del medesimo carcere come di un inferno per tutte le detenute. Una di esse, la cui famiglia aveva messo assieme 15 mila dollari di cauzione, aveva rifiutato di uscire a causa della vergogna e della paura. Impiegata di banca, nubile, dopo sei mesi di detenzione e violenze si era scoperta incinta, altre carcerate avevano fatto giungere alle moschee terribili appelli nei quali si chiedeva alla guerriglia di attaccare e distruggere il supercarcere e di farle morire nel crollo «perché la nostra vergogna possa avere fine».. Oggi la strana richiesta che giunge dal web con un colpo di fantasia sembra voler punire le colpe occidentali azzerando nello stesso tempo la primitività d'Oriente, e spingendo di colpo sul proscenio quella stessa parte di umanità che il nuovo Iraq sta riconducendo invece allo stato primitivo. Qualcuno a Baghdad e dintorni riscopre l'esistenza delle donne solo quando esse sono prigioniere, e semmai dovesse riaverle libere subito tornerebbe a farne strame. Le poche fonti attendibili valutano che quest'oggi nel Paese le donne in stato di detenzione siano fra un minimo di duecento ed un massimo di duecentosettantacinque, quasi tutte incarcerate fra Abu Ghraib (sì, sempre il vecchio carcere delle torture) e Al Qadamyah, penitenziario di Baghdad che dovrebbe essere «cu transito». Negli ultimi due mesi gli arresti di donne sono aumentati, pare che. fra le linee di azione del governo Allawi o dei suoi apparati di sicurezza quello del «prosciugare le paludi del terrorismo» sia una delle principali, in pratica negli ultimi due o tre mesi più di 200 donne sono state arrestate con l'accusa di aver aiutato i loro mariti, fratelli, padri a compiere attività terroristiche oppure di non averli denunciati. In questo, il singolare messaggio di Internet di ieri è molto iracheno, molto contemporaneo: si aggancia ad una situazione reale e segnala da parte dei servizi di polizia una «politica della terra bruciata». Usa Internet ed il moltiplicatore televisivo perché si parli del problema (trascurandone il buio versante islamico) ma nient'altrò. Se davvero quelle madri, mogli e cugine della resistenza o del terrorismo venissero scarcerate, nessuno può immaginare cosa accadrebbe loro nelle rispettive tribù. Qualora invece non lo fossero, è difficile ipotizzare (ma forse no) cosa potrebbe capitare a tutte loro nell'interno di penitenziari dove gli aguzzini americani sono stati forse avvicendati, però gli iracheni restano. Nel famigerato carcere di Abu Ghraib sarebbero imprigionate più di duecento donne accusate di aver aiutato o non denunciato i terroristi La famiglia di una di loro aveva raccolto 15000 dollari di cauzione ma la prigioniera aveva rifiutato di uscire dal penitenziario per la vergogna Due donne irachene passano davanti un carro armato a Sadr City

Persone citate: Allawi, Sadr City

Luoghi citati: Baghdad, Iraq, Usa