In moschea diremo ai rapitori: non fate loro del male

In moschea diremo ai rapitori: non fate loro del male DASEGRATE UN DISTINGUO: «DARE FIATO ALL'ISLAM MODERATO, MA SENZA APPELLI CHE DIVIDANO LA COMUNITÀ'» In moschea diremo ai rapitori: non fate loro del male Gli imam milanesi faranno sentire la loro voce autorevole durante le affollate preghiere del venerdì Fabio Potetti MILANO Alla fine dell'orazione delle cinque alla moschea di Segrete, l'Imam Ali Abu Shwaima prega anche per Simona Pari e Simona Torretta. «E' una duaa, un'invocazione a Dio perché apra il cuore ai rapitori e li convinca a liberarle senza fare loro del male». Sul tappeto verde di questo centro islamico, il più antico d'Italia, più di ottocento fedeli alla preghiera solenne del venerdì, cemento bianco e il minareto poco più alto dell'insegna di un benzinaio, ci sono una decina di musulmani. Con la fronte che batte il pavimento implorano l'intervento di Allah per le due italiane, «due donne di pace e non di guerra, due ragazze che erano in Iraq per aiutare chi soffre». Di invocazioni a Dio in questa moschea tra i prati dove finisce Milano, ne sono state fatte tante in questi mesi. Ali Abu Shwaima, medico, giordano, da sempre una delle guide spirituali più ascoltate della città, fa l'elenco: «Abbiamo-pregato per Enzo Baldoni e dopo gli attentati alla stazione di Madrid. Abbiamo chiesto l'aiuto di Dio anche nei momenti più difficili vissuti dal popolo palestinese. E poi quando gli americani hanno bombardato Falluja e Najaf». In viale Jenner, dove nel retro di un garage c'è un altro centro islamico, il più perquisito dalla polizia e dei carabinieri di Milano alla caccia di fondamentalisti, l'Imam Abu Imad invita tutti alla preghiera di venerdì dove assicura, che ci saranno parole anche per le due italiane: «Quello che è accaduto non è accettabile. La situazione in Iraq è difficile perché non c'è sicurezza e non c'è garanzia». Abdel Hamid Shaari, il portavoce della comunità di viale Jenner, va anche oltre: firma l'appello delle comunità musulmane per la liberazione senza condizioni delle due volontarie e invia una lettera alla tv araba Al Jazeera perché la diffonda. Nel messaggio c'è la storia di «Un ponte per», vista dal mondo islamico italiano: «Conosciamo questa organizzazione da tempo. Chi tra gli iracheni ha rapito le due donne, ha tradito un lavoro fatto per anni e con amore e in modo umanitario verso il popolo di Baghdad». Il portavoce del centro di viale Jenner, insiste sul carattere pacifico del lavoro delle due volontarie: «Sono due persone normali, non sono combattenti. Chi le ha prese non vuole che ci siano rapporti tra il popolo iracheno e quello italiano contro la guerra». L'appello dell'Ucoii che riunisce i musulmani italiani - «Nel nome di Allah, il Compassionevole, il Misericordioso, liberatele» diventa ima cosasolacon l'implorazione degli ulema riuniti a Milano dalla Comunità di Sant'Egidio. Ma tutto il mondo islamico si sente chiamato in causa da questo sequestro. E allóra si prega a Catania dove l'Imam Moufid Abu Touq invoca la liberazione delle due ragazze: «Là regione musulmana condanna queste cose». E si invoca Allah anche a Bavenna, dove gli imam Ahmed Basel e Mustafa Toumi chiedono l'aiuto di Dio «contro tutte le guerre e i terrorismi». Ali Abu Shwaima, guida spirituale della moschea di Segrete, assicura che alla preghiera solenne di venerdì saranno lette alcune sure del Corano che sembrano fatte apposta per le italiane: «Nel libro sacro ai musulmani si dice che le donne, i vecchi e i bambini-, non possono essere toccati dalle guerre. Il Corano dice che non si può attaccare il nemico, senza farlo a viso aperto». E poi c'è un'altra sura che Ah Abu Shwaima vuole ricordare nella preghiera più importante della settimana. Un precetto che sembra tagliato su misura su quanto sta succedendo da tempo in Iraq: «Dio non ama gli aggressori». Gli «aggressori» non sono solo i rapitori delle due volontarie. «Sono tutti quelli che hanno interesse a tenere l'Iraq in uno stato di guerra». Ah Abu Shwaima quasi non vuole credere che il. sequestro delle due italiane sia opera di musulmani anche se integralisti: «A chi le ha prese fa ' comodo che l'Iraq rimanga sotto occupazione mihtare». Che Simona Pari e Simona Torretta siano due donne, non siano soldati, siano volontarie in Iraq per aiuta¬ re la popolazione, non è un attenuante per l'Imam di Sagrate: «Se anche l'Italia si ritirasse da Baghdad non cambierebbe nulla per i sequestratori. Loro non vogliono un Iraq pacifico. E questo fa comodo anche agli occupanti americani e inglesi che vogliono rimanere dove sono». La sua ricetta per uscire dal pantano di Baghdad, à questo punto è una sola: «Dare fiato all'Islam moderato, ma senza appelli che dividano la comunità. Se no si fa il il gioco degli estremisti». Una distinzione sottile, chissà se sarà capita dagli ottocento che venerdì saranno su questi tappeti, chiamati alla preghiera anche per le due italiane dal muezzin. Ah Abu Shwaima, promette il massimo impegno della sua comunità: «Nel mio sermone vorrei parlare della pace tra i popoli. Invocheremo Allah perché aiuti queste due ragazze. Noi preghiamo per tutti. Lo abbiamo fatto, anche per i carabinieri attaccati a Nassiriya perché in Italia, a differenza che in America e in Inghilterra, la maggior parte delle persone sono contro la guerra». Musulmani durante la preghiera del venerdì in una moschea di Milano