«Ormai è pericoloso anche uscire di casa»

«Ormai è pericoloso anche uscire di casa» LA VOLONTARIA Di UN'ONG CHE OPERA NELLA CAPITALE «Ormai è pericoloso anche uscire di casa» «Le cose sono cambiate, noi italiani siamo diventati i nemici» intervista Carta Reschia A MANDA Azzah, 27 anni, è appena arrivata ad Amman. Ha lasciato Baghdad, dove lavora per l'ong «Terres des hommes», che fino a poco tempo fa divideva la sede con «Un ponte per...». «Quando sali sull'aereo - confida - improvvisamente ti rendi conto di (pianta tensione hai accumulato». Ci tornerà - «è il mio lavoro, la mia passione e la mia missione» - ma non subito. Un normale avvicendamento, spiega da Milano uno dei responsabili dell'associazione, Bruno Neri, che fino a pochi giorni fa era nella capitale irachena. Ma, e la linea è comune a tutte le ong, i progetti proseguono affidati al personale locale, gli italiani per ora se ne vanno. «Da qualche mese - spiega Neri - teniamo i nostri collaboratori a Baghdad due-tre settimane al massimo. Sia perché una pausa ci vuole, sia perché la situazione è sempre più complessa. Adesso stiamo a vedere come evolve. Abbiamo fatto così anche dopo la morte dì Baldonì». La sua analisi nno lascia spazio all'ottimismo: «Quello è stato un avvertimento. Baldoni era a cavallo fra due mondi, l'informazione indipendente e il volontariato. Ora, un anno fa c'è stato l'attacco all'Onu, poi si è passati ai giornalisti che non si schieravano né con gh Usa né con i terroristi. Restavano le ong: bisognava eliminarle per avere campo libero. Vincerà la logica delle anni, quella che è stata proposta con l'attacco. Simona Torretta e Simona Pari sono state rapite per la loro nazionalità. Purtroppo la nostra immagine in Iraq è cambiata. Faccio questo lavoro da 20 anni: gh italiani in tutto il mondo erano sempre privilegiati - Baggio, Totti, spaghetti e sorrisi. Oggi lì sei solo un nemico». Amanda conferma: «Pesa anche nei rapporti quotidiani. La svolta è stata la battaglia di Nassiriya. Prima molti iracheni non sapevano nemmeno della presenza delle nostre truppe. Da quel momento hanno cominciato a guardarci in modo diverso». E vivere a Baghdad è diventato un esercizio di pazienza e di invisibilità... «Si respira un'aria di tensione continua. E peggiorerà ancora. Si awici- na il Ramadan, che è sempre un periodo di tensione, si va verso le elezioni di gennaio. Viviamo blindati, ci spostiamo il meno possibile.. Usiamo auto irachene, niente jeep o scritte che possano dare nell'occhio. Prima di partire si studia l'itinerario, si consulta la security per accertarsi che la strada sia libera e ci si tiene sempre in contatto con la sede via radio e via telefono». Le tv trasmettono scene di crescente violenza. E' questo che affrontate ogni giorno? «Le tv internazionali le vediamo anche noi, con il satelhte. La realtà è più sfumata perché Baghdad è enorme. Certo, si sentono gh echi delle esplosioni, il rumore degli elicotteri, si può incappare in un posto di blocco, ma stiamo ben attenti a non trovarci pelle aree a rischio come Sadr City e la zona verde. Ma le tv fanno un'informazione-spot, irreale. I giornalisti parlano dalle terrazze del Palestine, ma sono gh operatori hacheni ad andare sul posto, a rischiare la vita, a vedére cosa accade». Paura? «Attenzione. Tanta, non si può mai abbassare la guardia. Un'operazione banale come fare la spesa diventa un'impresa. Prima devo prendere accordi con uno dei nostri collaboratori iracheni e con l'autista. Mostro la mia lista e sono loro a decidere dove e se si può trovare ciò che serve. Solo dopo aver deciso destinazioni e itinerario si- parte. Cerco di accompagnarli - non mi fido mica tanto degli uomini per fare compere - ma davanti al venditore non apro bocca, al massimo indico con il dito. Vietato parlare inglese, troppo pericoloso». E quindi niente vita sociale, nessuna distrazione? «Uscire a cena è impensabile, anche se ci sono zòne della città dove malgrado tutto ci sono locali aperti fino a tardi. Non ci si può fidare, ecco. Rapiscono persino gh iracheni, per gli stranieri è davvero troppo pericoloso. No, usciamo se dobbiamo parlare con qualcuno o seguire un progetto, poi via di corsa a casa, ben protetti dai sorveglianti, dai cancelji e dalle porte blindate, dalle videocamere». Sono queste le misure di sicurezza di cui disponete? Tutta la sorveglianza possibile a parte le guardie armate. Alcune ong hanno fatto fare ai loro autisti dei corsi per agite durante le emergenze come blocchi stradali, ecc.. Ma sqprattuttp noi cerchiamo di presentarci alla, gente, spiegare chi siamo e lavorare bene, in modo da essere stimati e riconosciuti. E' sufficiente? Forse no. Ma che altro si può fare, abbandonarli al loro destino? «Persino far la spesa è difficile. Mostro la lista al collaboratore iracheno e all'autista e loro decidono dove e se si può trovare ciò che serve» i «Prima di partire si studia l'itinerario, ci si accerta che la strada sia libera Poi ci si, tiene sempre , in contatto con la sede via radio e via telefonò» La manifestazione di Napoli per chiedere la liberazione delle due volontarie

Persone citate: Baggio, Baldoni, Bruno Neri, Palestine, Reschia, Sadr City, Simona Pari, Simona Torretta, Totti

Luoghi citati: Amman, Baghdad, Iraq, Milano, Napoli, Terres, Usa