«Lo scoppio, poi Enzo uscì dalla jeep e non lo vidi più»

«Lo scoppio, poi Enzo uscì dalla jeep e non lo vidi più» CASO BALDONI, PARLA UN MEDICO CHE ERA NEL CONVOGLIO IL 20 AGOSTO «Lo scoppio, poi Enzo uscì dalla jeep e non lo vidi più» «L'esplosione fu fortissima, si alzò un fumo denso, non potevamo fermarci. L'ultimo ricordo? Lui felice che distribuisce acqua a Kufa» intervista ROMA ERO a bordo della jeep che chiudeva il convoglio della Croce rossa. A un certo punto c'è stata una esplosione, meno intensa di quella del giorno precedente, che fa alzare una grossa nuvola di polvere. Abbiamo rallentato ma non ci siamo fermati. L'ultima immagine è quella dell'auto di Ghareeb e di Enzo ferma, intatta, sul lato opposto della strada. Vedo soltanto che Enzo apre lentamente la portiera, non c'è nessuno attorno. Poi con laSmia jeep sono entrato nélla'iKlhè "(fi polvere e ho perso Qgnìicontatto visi-" vo con Enzo...», ehi parla è un medico che" vive e lavora al Nord, e che è appena rientrato da Baghdad. Lui è uno dei testimoni dell'agguato;' di venerdì 20 agosto sulla strada per Baghdad, a Latifiyah. «Francamente - aggiunge il volontario della Croce rossa non credevo che quell'incidente fosse solo il prologo di una tragedia. Insomma, che ci potesse essere un seguito. Ho pensato che avrei rivisto Enzo e Ghareeb magari il giorno dopo, a Baghdad, in ospedale». Dottore, l'ultimo viaggio di Enzo Baldoni iniziò il giorno prima, quel giovedì mattina, quando la colonna della Croce Rossa si mise in moto in direzione di Najaf... «Partimmo presto quel giorno, verso le sei e mezzo, sette, alla volta di Najaf. Avevamo un carico di acqua potabile e medicine da portare agli sciiti di al Sadr. Con me c'erano altri tre medici, poi gli autisti e gli interpreti. Nel nostro convoglio, ma sulle loro macchine. viaggiavano anche Enzo Baldoni e il suo interprete Ghareeb, il giornalista Rai Pino Scaccia e il suo operatore. Ci tuffammo nel traffico caotico di Baghdad e ci lasciammo la città alle spalle». E sempre a Latifiyah, dove poi sarà sequestrato Enzo Baldoni, avvenne il primo incidente. Cosa accadde? «A una cinquantina di chilometri da Baghdad ci fu la prima esplosione, che non colpì direttamente uno dei mezzi del convoglio ma che, con lo spostamento d'aria, danneggiò seriamente un camion e un'ambulanza, ferendo gli autisti e provocando in noi tutti un grande spavento. Non ci fermammo se non dopo due, trecento metri per valutare i danni. E decidemmo di proseguire». UconvògUò riuscì M arrivare a Najaf o venne fermato prima? «No, entrammo a N^jaf: All'ingresso della città non trovammo grossi problemi, la vita scorreva regolarmente, una vita normale insomma. Gli scontri, la battaglia si consumava nella parte vecchia di Najaf, nei pressi del Mausoleo. Ed era intensa, accesa, violenta. Ci bloccammo a poche centinaia di metri dal Mausoleo». E faceste marcia indietro, in direzione di Kufa? «A Najaf allestimmo un primo punto di medicazione all'interno di una abitazione, dove trovammo grande ospitalità e benevolenza nei nostri confronti. Curammo anche i nostri due autisti feriti nell'esplosione della mina. E solo dopo uscimmo da Najaf, dirigendoci verso la moschea di Kufa, una delle più importanti dell'Iraq, dove il venerdì parla proprio Moqtada al Sadr. Grazie alla mediazione di Ghareeb, l'autista interprete di Enzo Baldoni, entrammo in moschea». La figura dì Ghareeb è al centro di dubbi, sospetti. Per lei che l'ha conosciuto. chi era davvero? «Non mi ha mai dato l'impressione di essere uno sprovveduto. Anzi, fu grazie a lui che riuscimmo a entrare nella moschea di Kufa: era Ghareeb ad avere le conoscenze giuste, a sapere sempre come trattare, mediare con gli altri. Insomma, quando eravamo con lui ci senti- vamo davvero tranquilli». Una volta a Kufa, il giornalista Pino Scaccia e il suo operatore tornano indietro, a Baghdad, con i garanti dell'ufficio dì al Sadr che vi avevano scortato dalla capitale a Najaf. Non sottovalutaste il rìschio di rimanere senza protezione? «Noi ci sentivamo garantiti dalla presenza di Ghareeb e dalla straordinaria accoglienza degli sciiti, che ci misero a disposizione la moschea facendoci sentire protetti in ogni momento». Dunque, la moschea di Kufa. Cosa accadde quel pomeriggio dì giovedì? «Verso le quattro, credo che Scaccia fosse già partito, iniziammo a visitare i malati gravi, non meno di una cinquantina. Erano i feriti dei combattimenti. Facemmo quel che potemmo: suturammo e medicammo. Ci fecero visitare anche dei moribondi. Gli uomini di al Sadr, colpiti durante gli scontri, non vengono mai portati in ospedale perché, sostengono, verrebbero poi arrestati. E quindi, molti di loro morivano perché non curati». Ed Enzo Baldoni che faceva mentre voi curavate i feriti? «Fotografava e ci aiutava: preparava le medicazioni, cercava i medicinah. In quelle ore si era creato un clima molto solidale tra noi e gli uomini delle milizie di al Sadr». Ha un ricordo particolare di quella giornata con Enzo Baldoni? «Mentre Enzo stava preparando delle medicazioni presi la sua macchina fotografica e gli scattai ima foto. Fu l'ultima foto impressa su quel rullino perché poi la macchma si spense, con le batterie scariche». Perché rimaneste a Kufa? «Avevamo da scaricare ancora un camion di aiuti e credo che dovessimo ancora visitare alcuni malati, così come si era impegnato a fare il mio capomissione. E dopo i feriti gravi, intorno alle otto di sera, passammo a visitare i malati. Finimmo di lavorare intomo a mezzanotte». L'ultima notte dì Enzo Baidoni, lìbero e contento di essere a Kufa... «Mangiammo, ci offrirono pane e pollo. Enzo era davvero contento. Se dovessi dire cosa si aspettasse dalla missione di Najaf e Kufa, risponderei esattamente quello che ha vissuto e che ha visto. E' difficile riuscire a comunicare la gioia, l'entusiasmo, la soddisfazione di noi tutti, di Enzo, Ghareeb, e di noi volontari della Croce rossa per aver vissuto quelle ore a Najaf, a Kufa, a curare i malati, a portare aiuti, a distribuire acqua. E anche a dormire sotto le stelle, in quella splendida moschea». La mattina dì venerdì. La partenza, il viaggio verso la morte dì Enzo Baldoni. L'ultima sua immagine? «Enzo e Ghareeb che salgono in macchma. Io chiudevo il convoglio e non so se la loro auto aprisse o meno il corteo. Penso che fossero in testa. Dopo due ore l'esplosione, il fumo, quella portiera che si apre lentamente. E la speranza, anzi la certezza di poter rincontrare Enzo e Ghareeb magari il giorno dopo, per farmi raccontare quello che era successo». «A Najaf trovammo grande ospitalità Lui ci aiutava a preparare le medicine e scattava molte foto: gliene scattai una, l'ultima, poi la macchina si bloccò con le pile scariche» Un'immagine d'archivio di Enzo Baldoni, l'Italiano assassinato in Iraq

Luoghi citati: Baghdad, Iraq, Kufa, Roma