Cipro, adesso e frontiere sono solo nella mente di Marco Aime

Cipro, adesso e frontiere sono solo nella mente RIAPERTA DOPO TRENTANNI LA GREEN LINE CHE HA TAGLIATO L'ISOLA, CREANDO DUE MONDI TANTO SIMILI QUANTO DIVERSI Cipro, adesso e frontiere sono solo nella mente Marco Aime Z HANNO riaperta, finalmente. Dopo trent'anni la Green mm Line cbe taglia in due l'isola di Cipro è stata riaperta e i turisti possono passare dalla parte greco-cipriota a quella turco-cipriota. Fino a pochi mesi fa veniva concesso un permesso di ventiquattrore. Attraversare a piedi il valico del Ledra Palace, nella no buffer zone a Nicosia, fa vivere un'impressione di altri tempi. Edifici ancora segnati dai combattimenti, sacchi di sabbia alle finestre, rotoli di filo spinato ovunque, foto di persone scomparse appese ai rami degli arbusti con la domanda dei loro cari: «Dove sono?» che ondeggia nella molle brezza dell'isola. E poi quell'aria di incertezza, che incute timore, perché in questa terra di nessuno dalle regole vaghe non sai come andrà a finire. La situazione in realtà è un po' ambigua e non ancora digerita del tutto. Le guardie di frontiera greco-cipriote, quando si rientra, chiedono: «Did you pass this morning?», ma si accontentano di un sì. Peraltro nessun modulo viene più fatto compilare all'uscita e nessun controllo sarebbe possibile. Anche le autorità ufficiali greco-cipriote non forniscono informazioni sul fatto che ora è possibile attraversare la linea. Tracciata nel 1974, dopo l'invasione turca della parte settentrionale di Cipro, in seguito alle rivendicazioni di annessione con la Grecia da parte dell'EOKA, il partito filogreco, la linea ha creato due mondi tanto diversi quanto simili per certi aspetti. Oggi, qui, tutto ha due nomi, paesi, monumenti, luoghi, quello greco e quello turco. Una piccola e determinante i divide Lefkosia, la metà greco-cipriota della capitale da Lefkosa, quella turco-cipriota. Nicosia,il nome con cui siamo soliti chiamarla venne dato dagli inglesi e nessuno oggi lo utilizza. Famagosta, di nomi, ne ha addirittura tre: all'antico nome veneziano si è aggiunto quello di Magusa. Poi dal 1974 è diventata Gazi Maguza. La storia non ha cancellato i vecchi nomi, ne ha aggiunto altri. Così come ha aggiunto un minareto alla cattedrale di Agyos Nicolaos a Magusa (o Famagosta?), costruita tra il 1298 e il 1326 dai lusignani, trasformandola in moschea. Così come ha congelato e rinchiuso lo spazio e la vita del quartiere di Maras. Era un quartiere greco e nel 1974 i suoi abitanti scapparono senza prendere nulla con sé, convinti di ritornare dopo qualche giorno. Non fu così. I turchi hanno lasciato tutto com'era: case, negozi, tutto. Hanno recintato il quartiere e ne hanno proibito l'accesso. Nelle case e nelle vetrine dei negozi tutto è rimasto come trent'anni fa. L'isola però sta cambiando rapidamente. Seppur non ancora colonizzata dai grandi complessi turistici come la parte sud, anche la metà settentrionale sta conoscendo un boom edilizio incredibile. Se oggi lo scrittore inglese Lawrence Durrell, arrivasse a Girne (Kyrenia), dove visse nei primi anni Cinquanta, non riconoscerebbe il tranquillo e romantico villaggio di pescatori che co¬ nobbe allora. Basta guardare le vecchie foto e confrontarle con il paesaggio che si può godere dalle roccaforti del castello di St. Hilarion, abbarbicato sulle alture rocciose, per vedere quanto si sia espansa oggi questa cittadina. Sorgono ovunque casette, spesso costruite con capitali turchi, da vendere a inglesi e altri stranieri per le loro vacanze. Durrell visse a Bellapais, piccolo villaggio appoggiato ai mondi di Girne, il cui nome deriva da una storpiatura di de la paix, riferito al monastero agostiniano costruito nel XII secolo e qui è ambientato il suo libro Gli amari limoni di Cipro, dove descrive l'atmosfera romantica dell'isola, allora dominio britannico, turbata già però dalle spinte indipendentiste. Con il suo approccio colonialpatemalista, Durrell non poteva pensare che le richieste di enosis sarebbero sfociate in violenze terribili fino al taksim, la divisione dell'isola in due. La ferita è mal rimarginata. Percorrendo le stradine del nord capita spesso di attaccare conversazione con la gente (qui tutti parlano inglese) e dopo un po', immancabilmente, il discorso cade lì: noi e loro. «Quando torni, Mr. Marco, per favore dì che qui è tutto nonnaie, che non siamo un paese sottosviluppato» dice accoratamente Ali, un ragazzo laureato in una delle università intemazionali di Cipro nord e che ora gestisce il bar di famiglia a Lapta. Nelle parole dei cordialissimi abitanti di questa terra c'è quasi un magone per un'esistenza yissuta, ma non riconosciuta. «È assurdo, nessuno stato, tranne la Turchia, ci riconosce» dice il signor Mehmet di Kale Bumu, piccolo villaggio arroccato della penisola di Karpas. «Non possiamo esportare, importare nulla se non con la Turchia. Per il mondo noi non esistiamo». Duecentomila clandestini, ecco cosa sono per il pianeta gli abitanti di Cipro nord. «Eppure - continua orgoglioso Mehmet - oggi non stiamo peggio dei greci, sopravviviamo benissimo». Come nell'Italia anni Cinquanta, gran fervore, fame di modernità e poca attenzione per l'ambiente. Le coste vicine a Girne e Magusa si preparano a un boom turistico. La recente risposta positiva al referendum per entrare in Europa ha attirato le attenzioni dell'Unione Europea che sta elargendo fondi per il restauro di alcune città. Poi, quando ci si infila nella penisola di Karpas, tutto cambia. Questa spina mediterranea che si incunea nel Medio Oriente è fatta di paesaggi dolci, spiagge bellissime e intatte, acque trasparenti e celesti e, caratteristica originale, una colonia di asini selvatici che vive libera. All'interno vive un mondo contadino. Le onde dorate dei campi di orzo e grano si infrangono contro il verde scuro della macchia mediterranea. Piccoli villaggi che sembrano uscire da un film di Olmi. Un'atmosfera pacifica, cordiale, dove anche le questioni etnico-territoriali sembrano stemperarsi nel ritmo lento della vita di qui. «Il problema è solo politico. Politico internazionale, perché Cipro è strategica» dice ancora Mehmet, mentre gustiamo un melone dolcissimo all'ombra di una tettoia di canne. «In realtà i greci vengono qui e si trovano bene, tra le persone comuni non ci sono problemi». Nel sentire le sue parole tornano in mente quelle del grande viaggiatore norvegese Thor Heyerdhal: «Le frontiere? Esistono eccome. Nei miei viaggi ne ho incontrate molte e stanno tutte nella mente degli uomini». A trent'anni dall'invasione turca delia parte settentrionale edifici ancora segnati dai combattimenti, sacchi di sabbia alle finestre, rotoli di filo spinato ovunque, foto di persone scomparse appese ai rami degli arbusti («Dove sono?») Oggi, qui, tutto ha due nomi, paesi, monumenti, luoghi La costa di Akamas. Come nell'Italia Anni 50, fame di modernità e boom turistico, poca attenzione per l'ambiente. ; . . ; . - ;; . ■■■vv;-;:. ■ Uno scorcio di Nicosia: ma nessuno oggi a Cipro la chiama più così

Persone citate: Durrell, Green, Lawrence Durrell, Maras, Olmi, Thor Heyerdhal