Guarda che belle mani: parlano di Manuela Gandini

Guarda che belle mani: parlano ALGUGGENMEIM DI NEW YORK UNA SINGOLARE MOSTRA D1175 FOTOGRAFIE DALLA COLLEZIONE DEL FILANTROPO BUHL Guarda che belle mani: parlano Manuela Gandini NEW YORK E' una figura strana, invisibile, nascosta dietro innumerevoli paia di mani. Si tratta di un ex finanziere, ex fotografo, ora filantropo e collezionista, che vive a New York, downtown, e in un decennio ha raccolto oltre mille fotografìe che ritraggono prevalentemente mani: mani in tutte le pose. Mr. Henry M. Buhl è un anomala figura nel panorama culturale contemporaneo, è, tra le altre cose, fondatore della Association of Community Employment Program for the Homeless (A.C.E.) un'associazione per il collocamento e la formazione lavorativa dei senzatetto newyorchesi. In breve ha messo insieme un ricchissimo panorama fotografico che si estende dal disegno fotogenico negativo del 1840 di William Henry Fox Talbot, alla stella a cinque punte simulata da Maurizio Cattelan congiungendo le dita di alcune persone come in una seduta spiritica. L'inusuale mappa della storia della fotografìa, fatta attraverso l'intreccio di centinaia di mani, è visibile sino all'S settembre al Guggenheim Museum di New York in una mostra intitolata «Speaking with hands: photographs from the Buhl Collection». Jl primo impatto è con il gigantismo multicolore degli autori contemporanei che vanno dalla messa in scena degli improbabili delitti scattati da Cindy Sherman, all'irriverente Cluck Close che mostra il proprio sesso gigante a contatto con la propria mano. Dalle storiche smorfie della bocca di Bruce Nauman deformata dalle mani. alle mani dei 22 amici di Robert Filliou che si interrogava sulla differenza delle linee del destino tra artista e artista: «come mai abbiamo linee cosi diverse pur essendo tutti artisti?». Il filo conduttore della mostra o della collezione, non è immediatamente rintracciabile se non concentrandosi sul percorso variegato e denso di scene, di possibihtà, di figure e situazioni ampie e imprevedibili. Tanto che, pur essendoci uno stesso soggetto che si rincorre in 175 opere, ci si trova di fronte a sbalzi che portano dalle impressioni narcisistiche contemporanee a inaspettati squarci sulla realtà, come sulle impronte digitali fotografate nel 1942 a una stazione di polizia da Andreas Feininger, o sul flore offerto da una pacifista ai soldati che avanzano coi fucili spianati nel periodo della guerra in Vietnam. Il percorso della mostra, tra arte e fotogiomalismo, varia di dimensioni, soggetti e date. Man mano si procede, si entra in uno spazio fotografico più piccolo, in bianco e nero, meno ostentato, siraboheo e più realista. L'allestimento ci conduce a ritroso: dall'ingresso dove avevamo trovato il beffardo Paul McCharty e le foto shock di Serrano, incontriamo avanzando André Kertesz, Weegee, Dora Maar, Clarence John Llaughlin, con una donna messicana che fa un auto-esorcismo su un cumulo di rovine e Dorothea Lange, con la foto di un gruppo di emigranti nel periodo della depressione. E poi si retrocede ancora nel tempo, verso l'avanguardia: gli esperimenti di Man Ray, El Lissitzky, Laszlo Moholy-Nagy. «Sono diventato fotografo accidentalmente» ama dichiarare Buhl che si è occupato per anni di fashion e matrimoni e perciò conosce il mezzo e lo interpreta come strumento umanistico. La sua collezione inizia nel 1993 con l'acquisto di una foto di Alfred Stieglitz che ritrae le mani di Georgia O'Keeffe. Nel giro di dieci anni, con ostinazione e ossessiva coerenza, riesce a mettere insieme questi mille scatti sull'uomo, facendo un ritratto indiretto di sé. «Finché si è trattato di collezionare i classici - racconta - come Diane Arbus, Richard Avedon, Robert Mapplethorpe e Irving Pen, me ne sono occupato io, ma per quanto riguarda la contemporaneità ho delegato le scelte a Marianne Courville». Roland Barthes si chiedeva se le mani fossero più espressive dei volti, in questa mostra che parla innumerevoli linguaggi - e sì conclude con piccole foto ottocentesche di Nadar, James Nasmyth, Muybridge e autori anonimi - l'uso delle mani mostra lo spirito dei tempi e la continuità tra le persone nel tatto, nel fare, nell aggredire e nel pregare. Le mani dell'artista americana Georgia O'Keeffe fotografate da Alfred Stieglitz

Luoghi citati: Georgia, Marianne, New York, Vietnam