KAZAKHSTAN l'ultimo Eldorado dell'oro nero di Mimmo Candito

KAZAKHSTAN l'ultimo Eldorado dell'oro nero LA RICERCA DI FONTI ENERGETICHE COMPLICA LE STRATEGIE GEOPOLITICHE KAZAKHSTAN l'ultimo Eldorado dell'oro nero reportage Mimmo Candito ATYRAU LI AEROPORTO, qui, è poco più d'un vecchio capannone slabbrato, sfinito dalla polvere. Per il visto d'ingresso, lo sbarco dei pochi voli intemazionali getta addosso alla baracchetta di legno d'uno scocciato pohziotto una folla vociante, disgregata perfino più di quel!' inferno in terra ch'è Kinshasa, quando scendi dall'aereo e t'acchiappano i pohziotti a caccia di dollari. Quaggiù anche il Terzo Mondo può sembrare talvolta una latitudine fantasiosa. Eppure, la nuova frontiera d'un pianeta sempre più assetato d'energia passa per questa piccola città d'un Oriente lontano, allungata tra gli orizzonti vuoti della steppa e le acque lente del fiume Ural. «Benvenuti», dice il cartello. Lo dice in kazakho e in russo; presto lo dirà anche in inglese. Sbarcano olandesi, americani, indiani, equadoregni, italiani, filippini, scozzesi, il meglio e il peggio dell'ultima avventura in un mondo ormai solo elettronico. La Via della seta è oggi la Via del petrolio. Perduto nel cuore ignoto dell' Asia, là dove si decide però il futuro del nostro tempo, tra un inquieto Afghanistan e le ambizioni voraci della Russia di Putin e d'una Cina che già sfida la supremazioa americana, il Kazakhstan è il nuovo Eldorado. Puzza di raffinerie e di greggio; a venirci, l'aria che tira è quella che aveva il Klondike quando s'era sparsa la favola delle pepite giaUe. Ma è un Klondike del nuovo millennio, una Università kazakho-americana dice quali scelte fanno i nuovi cercatori d'oro. Il petrolio finora era sembrato patrimonio esclusivo (o quasi) del Medio Oriente; e le storie che le guerre del Golfo raccontano sono fumi d'ipocrisia cui nessuno crede troppo: oggi la partita che decide chi comandi questo nuovo secolo si gioca sul controllo del rubinetto degh oleodotti. E poiché da Baghdad a Riad si bombarda e si complotta, e il prezzo del barile se ne va alle stelle in una fuga sconsiderata dalla paura d'un inaridimento generale, gli occhi del mondo si sono girati quassù, tra il Caspio e il Caucaso. In realtà, la prima scoperta di campi di petrolio - la scoperta storica, prima ancora che in Pennsylvania o nella penisola dei Saud - fu fatta vicino a Baku. Era la metà deU'SOO; poi però arrivò l'America, poi il mare di sabbia e di petrolio del Medio Oriente, e i pozzi di quaggiù finirono per scivolar via dall'attenzione del mondo. Fino alla crisi che in questi mesi sta esplodendo quasi fuori controllo, che è uno di quei momenti disperati dove tutto quello che c'è viene comunque bene. I tecnici dell'U.S. Geologi- cai Survey hanno calcolato che le «riserve certe» di petrolio nel pianeta ammontano a 1,7 trilioni di barili, metà dei quali stanno nella pancia del Medio Oriente ; però la caccia al petrolio ora si allarga, ormai dappertutto s'annusa e si scava, dall' Africa Occidentale alla Siberia, dalle coste cinesi a queUe orientali del Sudamerica e, appunto, al Caspio. La somma di tutto quest'altro bendidio ancora da rendere certo farebbe arrivare il conto globale a 2,6 trilioni di barili, ma comunque la sola regione del Caspio («il Kazakhstan, l'Azerbaijan, e altri "stan"», dice Paul Roberts, uno dei grossi esperti di questo settore) offre a quella somma 300 miliardi di barili. Il pezzo più pregiato di questo straordinario tesoro sotter¬ raneo (in gran parte, comunque, ancora da scoprire) è il giacimento di Kashagan. «La sua scoperta è l'operazione petrolifera più importante degli ultimi 30 anni», dice la gente del petroho che s'incontra ad Atyrau. Una sorta di miracolo in terra, con 13 miliardi di barili da tirar fuori (ma con un calcolo che stime meno prudenti portano a 23,6 miliardi). Ci son dentro tutti i grossi nomi del mercato mondiale, dalla Exxon-Mobil alla Total-Fina alla Shell; c'è anche l'Eni, che anzi s'è guadagnato il ruolo prestigioso di «operatore», cioè capofila del consorzio intemazionale che mette in campo il piano di sfruttamento. «Sarà più d'un milione di barili al giorno». In un mondo costretto ormai a rodere anche le storie più rognose, questa di Kashagan è un'avventura comunque fuori da ogni pratica conosciuta. Già il Caspio è un mare bislacco. Un mare per modo di dire, senza sbocchi né aperture, il bacino rinserrato integralmente dalle terre che gli stanno addosso. Ma poi quassù a Nord ha una profondità (bisognerebbe dire una non-profondità) sconcertante, che sta anche a un metro o poco più, e tirar via il petrolio lavorando su questa striscia bassa di acque è un'impresa disperante, paradossale per una tecnologia che ha saputo creare piattaforme di perforazione per gh abissi degli oceani e del Mar del Nord. Se poi si tiene conto anche del clima, che porta l'estate a friggere a 40 gradi di calura ma con un inverno che precipita duro a 30 e 40 sottozero, l'intera impostazione del ciclo produttivo ha dovuto essere reinventata. E da novembre a marzo, comunque, si chiude baracca, perchè il Caspio diventa un' enorme lastra gelata, spazzata dai venti che arrivano giù dalla Siberia ruggendo e facendo rotolare su quella lastra come dirompenti palle da biliardo enormi blocchi di ghiaccio. Ma è il petroho, bellezza. E la partita è drammaticamente importante. Nel museo della vecchia capitale Almaty (quella che, prima dell'indipendenza, si chiamava in russo Alma Ata) una panoplia raccoghe le bandierine dei Paesi che hanno dato riconoscimento diplomatico allo Stato che nasceva dalla frantumazione dell'impero dell' Urss: la prima di questo centinaio di bandiere è quella degli Stati Uniti, e non è una scelta pohtica, rispettosa del ruolo egemone di Washington nel mondo. E' soltanto che gli Usa sono stati i primissimi ad aprire relazioni ufficiali con U nuovo Stato: appunto, il petrolio. L'America oggi importa d 65 per cento del greggio che le sue industrie e i suoi condizionatori consumano, non tarderà ad arrivare al 90 per cento se l'Alaska resterà terra vergine. Quando d Kazakhstan faceva ancora parte dell'impero di Mosca, non è che non si sapesse del petroho kazakho. Mancavano però le tecnologie adeguate e la forza degl'investimenti (d campo di Kashagan è una scoperta successiva alla fine dell'Urss, cpiando gli specialisti dell'Occidente portarono nel Caspio strumenti e tecniche prima ignorati, e un flusso di capitah che alla fine arriverà a 29 mihardi di dollari). Cosi oggi sul Kazakhstan - e sull'intero bacino geologico del Caspio - piovono le attenzioni delle grandi potenze, con un mix di lusinghe e ricatti che questi Paesi cercano rapidamente d'imparare a gestire. Queste furono terre senza frontiera, orizzonti spalancati a viaggi che nella storia del passato segnarono la scoperta del mondo, e la sua conquista. Ma oggi Marco Polo viaggia seguendo d profumo del petroho, le conquiste del nostro tempo so¬ no i mercati che si aprono ai contratti delle forniture e delle royalties. Il Kazakhstan (d discorso vale anche per l'Azerbaijan e per gh altri «stan») è un ponte naturale tra Europa e Asia, affascinato dalle offerte che arrivano daU'Occidente, ma anche attento ai legami che la storia gh consegna con l'Oriente. E se la prima bandierina del Museo di Almaty è quella americana, sul collo però d Paese sente forte d fiato della Russia e delle sue voghe rinnovate d'una egemonia regionale che riproduca - sia pure sotto forme meno dominanti - gh antichi rapporti imperiali. Districarsene non è facde, c'è una pohtica tutta da inventare. La scelta strategica pare punta:' re sulla dinamica di forze che si scaricano nel triangolo, con un rimbalzo di aperture e di contenimenti che muovono tra la Russia, l'America, e la Cina. Rispetto alla propensione verso gli Stati Uniti, che fu la prima scelta del nuovo Kazakhstan per bilanciare l'influenza della vecchia Unione Sovietica, oggi al presidente Nazarayev le sirene cinesi paiono cantare melodie più interessanti. Pechino ha aperto in Almaty un Centro culturale che è l'unico di tutta questa regione dell'Asia, e la scelta è parsa un forte segnale politico; poi da laggiù si sta studiando la reahzzazione non soltanto d'una ferrovia che colleghi la Cina all'Europa attraverso d Kazakhstan (a Tashkent ne hanno discusso Nazarbayev e Hu Jintao), ma anche un colossale oleodotto - lo chiamano già «il Gigante del secolo» - che porti verso la Cina d mare di petroho che sta sotto d fondo del Caspio. Uzakbai Karabalin, capo della potente società nazionale KazMunaiGas, dice: «Sarebbe imperdonabde perdere questa grossa oppotunità». Una Cina disperatamente assetata di petroho (ned'ultimo anno ha aumentato le importazioni di greggio d'un mihone di bardi, contribuendo a mandare in tdt d mercato mondiale) guarda con avido interesse alle terre vicine e ade loro ricchezze di risorse naturah. Il Kazakhstan scarica i mille problemi interni - d'un sistema pohtico interamente, e rischiosamente, sotto controllo di Nazarbayev sull'orizzonte che gh si apre verso succose prospettive di crescita. Il petrolio sta cambiando gli equilibri del mondo, un pezzo importante di questa dinamica passa dentro le steppe dell'Asia. Viaggiando lungo la Via che fu di Marco Polo, la striscia d'asfalto che s'allunga diritta nel nulla della steppa per migliaia di chdometri è accompagnata dai fili dell'elettrificazione; i fili stanno ancora su pah di legno, tenuti dai «bicchierini» di ceramica come da noi un secolo fa. Il futuro sta arrivando, lo porta d petroho; presto quei vecchi pali di legno saranno sostituiti dai tralicci di metaUo. E allora d mondo sarà cambiato. Cambia anche la capitale. Astana deve celebrare U tempo nuovo dell'Asia. Somiglia a Gotham City, d suo inquietante profilo è dominato dai giganteschi grattacieli del Ministero del petrolio. Naturalmente. UN TESORO NELLA STEPPA REP. RUSSA ftwojar Aktjubinsk© KAZAKHSTAN Karagandat ' # '^ ^..~\ Semipalatinsk MAR asm d'Arai. TURKMENISTAN Kizìl-Orda i^ofefcte ^^' Dzambul .^W Cd \ "^ -' IRAN /"l ìkirghizistan CINA M CLASSIFICA DEI PAESI PRODUTTORI: 16mo posto al mondo m PRODUZIONE ANNUA 9.000 milioni di barili nel 2003 M RISERVE STIMATE: 24 anni all'attuale produzione a PRINCIPALI CAMPI PETROLIFERI: Tengiz, Kashagan, Karachagailak e penisola di Mangitauz a OLEODOTTO: da Tengiz al porto di Novorossjsk, sul Mar Nero a VALORE DELLE ESPORTAZIONI: 2.108 dollari all'anno a COMPAGNIE PETROLIFERE: Eni, BG (British Gas), Texaco a PROGETTI ITALIANI: esplorazione e sviluppo di un'area. offshore, nella parte settentrionale del Mar Caspio Kazako a sud-est di Atyrau una profondità variabile tra i 2 e i 10 metri a IL GIACIMENTO DI KASHAGAN: è uno dei più grandi scoperti negli ultimi trent'anni. Ha riserve recuperabili fino a 13 miliardi di barili. La produzione sarà di un milione 200 mila barili al giorno a IL GIACIMENTO DI KARACHAGANAK: produce 220.000 barili al giorno, arriverà a 380.000 barili alla fine dell'anno Gli esordi dell'industria petrolifera in Kazakhstan alla fine degli Anni 90. Quando il Kazakhstan faceva ancora parte dell'Urss, i giacimenti erano noti ma mancavano le tecnologie egli investimenti per sfruttarli Inaugurazione della condotta che trasporta il petrolio dal campo di Tengiz al porto russo di Novorossjsk, sul Mar Nero

Persone citate: Hu Jintao, Nazarbayev, Paul Roberts, Putin