«Spiegherò agli italiani perché Bush perderà»
«Spiegherò agli italiani perché Bush perderà» il POLITOLOGO BENJAMIN BARBER PORTERA, A ROMA L'«INTERDEPENDENCE DAY» «Spiegherò agli italiani perché Bush perderà» «L'America è un Paese riformista, vince chi occupa il centro. Invece l'attuale amministrazione ha imposto all'elettorato scelte radicali» intervista Francesca Pad Lf AMERICA è un Paese riformista. George W. Bush perderà le elezioni perché guida una coahzione estremista e ideologica». Il pronostico di Benjamin Barber, direttore della fondazione Soros per la promozione della democrazia e autore del best seller «Jihad vs. McWorld», sfida il borsino delle presidenziali statunitensi dove, secondo il quotidiano «Usa Today», l'attuale inquilino della Casa Bianca è avanti di tre punti sull'avversario John Kerry. Il professore del Maryland crede che la politica moderata guiderà il successo democratico. Il 12 settembre prossimo Barber porterà a Roma r«Interdependence Day», un convegno sul multilateralismo al quale partecipano anche l'ex candidato democratico alla Casa Bianca Howard Dean e il presidente uscente della Commissione Europea Romano Prodi. Come se 1 era isolazionista dei neoconservatori fosse già tramontata. I repubblicani sembrano ancora avanti. Come fa a prevedere che perderanno terreno, professore? «Questione di tempo. Nella tradizione americana vince chi occupa il centro. L'amministrazione Bush ha sparighato le carte polarizzando l'elettorato e imponendo scelte radicali, esatta¬ mente come Ralph Nader. L'outsider indipendente e il presidente si assomigliano su questo. Molti, a novembre, voteranno contro di loro pur non essendo sostenitori di Kerry». Ci sarà uno spostamento di voti da destra a sinistra? «Una ricerca dell'Humphrey Insitute mostra che il 20 per cento degli elettori è deluso dai due principali schieramenti e voterebbe un candidato indipendente, se fosse pubblicizzalo quanto Nadei. Attenzione però, questo terzo partito minaccia i repubblicani più dei democratici. I dati rivelano che in un testa a testa Kerry-Bush, il primo otterrebbe il 72,8 per cento dei voti. Con Nader in gara Kerry avrebbe il 70. Due punti di scarto, meno di quanto rischi Bush sul fronte dei suoi delusi». Parla di un terzo partito, una creatura strana nell'America della tradizione maggioritaria. «Si tratta di una fase transitoria. Negli Stati Uniti i partiti sono coahzioni di gruppi elettorali che non hanno necessariamente un forte background comune. Nader, come George W. Bush, sta tentando di ridurre la competizione a un confronto limitato e ideologico. Ecco perché il primo è stato marginaliz- zato a sinistra e l'altro sarà sconfessato dalle urne. Non siamo l'Europa degli schieramenti identitari immutabili, la contrapposizione manichea funzionano solo in situazioni estreme, come dopo l'I 1 settembre 2001. La nostra politica è più fluida: con il tempo toma a riassestarsi sulla linea riformista». Che cosa vuol dire essere di sinistra a New York, Washington, in California? «La nostra sinistra è liberale in modo moderato. Nessuna matrice socialista, ma programmi di welfare, iniziative sociah progressiste, misure che aiutano la classe media e lavoratrice». E l'altra America? «C'è un libro fondamentale per capire il nostro paese. Un volume degli Anni 50, "The liberal traditon in America" di Louis Hartz. Spiega come gli Stati Uniti si siano sempre considerati immuni dal fondamentalismo politico e religioso che ha dilaniato l'Europa nei secoli passati e continua a provocare guerre. La sinistra e la destra mantengono posizioni soft e durano. Altro che i radicali alla George W. Bush, senza strategia elettorale di lungo respiro. Ronald Reagan era un falco conservatore nella teoria, ma nella prassi governava dal centro. Simme¬ tricamente, Bill Clinton faceva la stessa cosa». L'indecisione di cui i nemici accusano Kerry, lo aiuterà? «La flessibilità e la capacità di cambiare idea hanno caratterizzato molti presidenti americani. Nixon parlava da ideologo e agiva con grande pragmatismo. Carter e Bush padre preferivano per principio la diplomazia. Gli outsider rispetto alla tradizione sono i neocon, che ci hanno portato in guerra contro l'Iraq contando eh battere il terrorismo sul campo di battagha quasi fosse un esercito in divisa. E ora?». Il suo ultimo saggio, «(Fear's Enurire: War, Terrorism, and Democracy in an Age of Interdependence», tratta la paura globale. Per questo tutto il mondo segue le elezioni americane? «Quelle del 2 novembre sono le prime consultazioni centrate sulla politica estera. L'11 settembre ha annullato la distinzione tra dentro e fuori, la sicurezza nazionale è legata a quanto accade a migliaia di chilometri di distanza. Il mondo ci riguarda e non ha più senso parlare di politica domestica tout court. A Roma proporrò una Dichiarazione d'Interdipendenza tra i popoli del pianeta». ^^ Quelle del 2 ^^ novembre sono le prime elezioni centrate sulla politica estera. L'11 settembre ha annullato la distinzione tra dentro e fuori, siamo tutti collegati » Benjamin Barber dirige la Fondazione Soros per la promozione della democrazia Il suo ultimo saggio s'intitola «Fear's Empire» (L'impero della paura) e tratta di democrazia e terrorismo nell'era della interdipendenza
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