Nassìriya diventa il laboratorio degli «hezbollah»

Nassìriya diventa il laboratorio degli «hezbollah» LA CITTA' E LA SUA REGIONE NON SONO PIÙ' AL RIPARO DALLA VIOLENZA Nassìriya diventa il laboratorio degli «hezbollah» I nostri militari hanno smesso di attraversare il centro salutando la popolazione già prima della strage di novembre. Una saldatura tra guerriglieri di Al Sadr, fuoriusciti iraniani e radicali di ogni estrazione analisi Giuseppe Zaccaria SBARCANDO a Nassiriya nel luglio dell'anno scorso le avanguardie del contingente italiano individuarono subito i luoghi vivibili della città, anche perché erano soltanto tre. L'hotel Samaan, affacciato sull'Eufrate, era una topaia polverosa però in ogni stanza esibiva vecchi condizionatori d'aria di fabbricazione russa, rumorosi come trattori ma in grado di contrastare i cinquanta gradi estivi fino a far ghiacciare le tende che schermavano le finestre. Nei pressi dell'albero c'era poi il gelataio che da una vecchissima Carpegiani spremeva coni al gusto di-melone; fragola e gelsomino e tornava utile per i contatti con la popolazione: migliaia di quei gelali furono regalati ai bambini anche se l'astuto imprenditore aveva festeggiato l'arrivo dei nostri facendo schizzare le quotazioni del cono dai milìe dinari a un dollaro. Infine c'era il ristorante Baghdad a pochi passi dal suq: gli americani che ci avevano preceduto Io facevano controllare da un reparto di soldatesse, che a pochi metri dall'ingresso spendevano le maggiori energie a reagire con durezza alle avance di giovanotti iracheni. Oggi ii Samaan non accoglie più stranieri perché hanno minacciato di farlo saltare, il gelataio e tornato a vendere i coni a cento dinari alla clientela locale e il Baghdad è considerato inavvicinabile per chiunque non si intenda candidarsi al ruolo di ostaggio. Il continuo deterioramento della situazione irachena aveva spinto il nostro contingente a cambiare metodi d'approccio prima ancora che il camion-bomba di novembre seminasse morte nella base di «Animai House», gli avvenimenti dei mesi successivi hanno avvalorato ancora la scelta dei nostri generali. Se un anno fa i nostri soldati attraversavano la città sui «Vm» mandando saluti alla po- Eolazione, oggi si infilano nei lindati e girano al largo, restando sul «ring» che varca i ponti sull'Eufrate e costeggia il centro. Soprattutto con rabbandono della villetta di periferia pomposamente definita «governatorato», non ci sono più ragioni per infilarsi fra vicoli e case, addentrarsi nell'abitato oltre che pericoloso potrebbe essere ritenuto provocatorio, e dunque la presenza italiana a Nassiriya saggiamente si orienta su una sorta di «controllo estemo» che prevede risposta a ogni genere dì attacco, ma anzitutto grande prudenza. La definizione coniata l'anno scorso dal nostro Stato Maggiore non regge più, ammesso che potesse farlo all'epoca. Allora si usava dire che per metà Nassiriya amava (o quanto meno sfruttava) gli italiani e l'altra metà li combatteva, adesso la proporzione è saltata, la città ed il governatorato non sono più affidabili per il semplice fatto che nella regione ogni equilibrio è saltato e lo scontro fra poteri si è fatto duro come nel resto dell'Iraq, anche se con caratteristiche diverse. Nei tre mesi successivi alla guerra la regione del Dhi dar, particolarmente vessata dai baathisti e trasformata da «giardino dell'Iraq» a terra dì stagni e paludi (perfino gli impianti della raffineria locale erano stati cannibalizzati nel '93 a beneficio di quelli di Baghdad e Kirkuk) aveva cercato di ricostruire i propri assetti ripartendo dalle strutture tradizionali. Il governo degli sceicchi si divideva fra la tribù dei Ghazir, la più numerosa della zona e quella dei Fowul, il potere religioso s'incarnava essenzialmente nella figura di Mohammed Al Sahid Radi Utman, ayatollah costretto a lunghi anni dì esilio. Poi il controllo tribale è stato messo in forse dal moltiplicarsi dei gruppi armati e il «velayat», la preminenza di Utman si è smarrita nello scontro magmatico che dilania lo sciismo iracheno. Quest'ultimo fatto ha prodotto conseguenze pericolosissime che analisti e servizi di intelligence cominciano a rilevare: rincontro fra guerriglieri deir«esercito del Mahdi» e fuorusciti della vecchia «divisione Beder» dell'esercito iraniano, sommato al convergere di radicali dì ogni risma fanno sì che Nassiriya e la regione di Dhi Qar oggi possano considerarsi la vera patria dì un movimento «hezbollah» iracheno. Ridotta da un quarantennio dì persecuzioni a condizioni di estrema miseria, nel Sud iracheno la classe degli ulema aveva dovuto adattarsi a un declino alleviato solo dall'aiuto dei religiosi iraniani e dal residuo potere dei religiosi più importanti della, regione, con in testa la famiglia Al Sadr. Questo fa in modo che il potere dei capi religiosi qui sia avvertito in maniera totalizzante e l'influenza di Moqtada al-Sadr ancora più potente. In qualche misura i suoi sostenitori sono più diffusi a Nassiriya di quanto lo siano nel governatorato di Najaf; se li combattono nei cimiteri o si riuniscono a difesa del Mausoleo di Ali, nella zona a controllo italiano sono calati più silenziosamente e poco alla volta hanno esautorato funzionari governativi, capi tribù e vecchie autorità religiose. Nei mesi scorsi la comparsa di centinaia di armati nelle strade dì Nassiriya serviva proprio a segnare questa appropriazione, a marcare il territorio. Oggi è difficile valutare con esattezza la forza di questa nuova formazione guerrighera nella quale uomini di Al Sadr si sommano a fuorusciti e a marescialli giunti diretUmente dal Libano, ma l'impressione è che finora gli «hezbollah» iracheni abbiano saggiato le difese italiane in una serie di attacchi. Per una dì quelle imprevedibili alchimie che accompagnano i rivolgimenti storici, la regione che finora era parsa più al riparo dalle violenze che devastano l'Iraq sta per trasformarsi in luogo dì prima linea. Nassiriya si trasforma in laboratorio nel quale sì compiranno gli assestamenti del potere del mondo sciita, e purtroppo è molto probabile cne il nuovo equilibrio sarà raggiunto dopo scontri sanguinosi. Per queste ragioni ai nostri soldati non resta purtroppo che aumentare la dose dì prudenza e prepararsi a scontri sempre più dun. LE ARMI IN CAMPO Lunghezza: 998 millimetri P«so; 3,9 chilogrammi Serbatoio: 30 colpi Celerità di tiro: 680 colpi al minuto wmimmmmmm aHbro:8;6 millimetri x 70 Lunghezza: 1300 millimetri Peso: 7 chilogrammi Tiro utile; 800-1000 metri Lunghezza: 1,22 metri Peso: 13 chilogrammi Alimentazione: nastri componibili Celerità di tiro: 800 colpi al minuto mm®mm*mmmm Lunghezza: 690 millimetri Serbatoio: 30-40 colpi Velocità iniziale: 900 metri al secondo Celerità di tiro: 650 colpi al minuto Peso: 8,6 chilogrammi Portate massima: 300 metri Prestazioni: può perforare una corazza spessa 28 millimetri a 300 metri di distanza umfmmmm Lunghezza: 725 millimetri Peso; 6,8 chilogrammi Distanza di massimo impiago: circa 1200 metri Un mezzo dei carabinieri dopo un attacco nella zona di Nassiriya nel maggio scorso: si teme che gli estremisti stiano saggiando le difese italiane

Persone citate: Al Sadr, Giuseppe Zaccaria, Moqtada Al-sadr, Sadr

Luoghi citati: Baghdad, Iraq, Kirkuk, Libano