Baudo, un contadino nella casa in collina : «Mi piace il passato» di Alessandra Comazzi

Baudo, un contadino nella casa in collina : «Mi piace il passato» INTERVISTA AL PRESENTATORE IN VACANZA DOPO LA LITE CON LA RAI Baudo, un contadino nella casa in collina : «Mi piace il passato» Alessandra Comazzi LA casa in collina. Il luogo del cuore. Sempre più amato, sempre più desiderato a mano a mano che il tempo passa, che la vita corrode sensazioni e sentimenti: quest'anno, poi, è con gioia ancora maggiore, con voluttà, quasi, che Pippo Baudo raggiungerà il suo paese, Militello in provincia di Catania, per trascorrere la villeggiatura. Sembra che ci andrà da solo, dopo dissapori con la moglie (lui non conferma); di sicuro ha appena passato uno dei periodi professionali più accesi della lunga carriera, una sonora lite con l'attuale dirigenza Rai che l'ha lasciato, alla fine, senza posto di lavoro, senza contratto e senza Festival di Sanremo. In attesa di «adire vie legali». Era proprio inevitabile arrivare a questo punto? Non è la prima volta che lei se ne va sbattendo la porta: non sarà questione, anche, di brutto carattere? «Era inevitabile, mi creda. Con il direttore generale Cattaneo, con il direttore di Raiuno Del Noce non sono mai riuscito ad avere un buon rapporto. Ormai, mi rendo conto, sono un personaggio ingestibile, come usa dire adesso. Non faccio cosa mi chiedono. E d'altronde, arrivato alla mia età, con il mio passato, che cosa mi resta se non l'autonomia, la consapevolezza che so lavorare e che se lavoro, devo farlo come dico io? Se non è possibile, meglio andarsene. Intanto, in vacanza». Ma a lei piace, la vacanza? Sempre così attento al lavoro, cosi pronto, così «professionale», così arrabbiato, pure: dà l'impressione di essere uno che non riesce a staccare. È così? «Amo la vacanza, certo, pur non essendone un fervente sostenitore. I primi giorni che passo lì a Militello, nella mia collina, faccio fatica. I cinque giorni iniziah sono duri. Poi precipito in ima specie di limbo, e mi ci trovo benissimo». Perché la collina? «Perché rappresenta le mie origini, il mio passato. Io il mare l'ho visto a 14 anni. Ci arrivai con mio padre, ebbi un tuffo al cuore, un sussulto, scoprendolo così grande. L'avevo visto tante volte al cinema, ma non avevo idea della sua potenza, della sua vastità sconfinata. La coUina è il mio rifugio, il mio ritiro, il posto dove amo andare». Sta diventando importante, per lei, il passato? «Adesso che ho raggiunto un'età rispettabile, ho bisogno di rivedere i posti della mia infanzia, di riascoltare lo stesso dialetto. Una volta non mi piaceva, il d'aletto, ora lo apprezzo molto. Perché ha un'intensità, uno spessore linguistico che l'italiano spesso non riesce a raggiungere». E lei lo parla, il dialetto? «No, non lo so parlare, però capisco tutto, naturalmente. Non l'ho mai parlato perché ho sempre aspirato a questo mestiere, fin da ragazzo volevo lavorare nello spettacolo. E trovavo che il dialetto fosse un ostacolo: anzi, lo era veramente. Al primo provino che feci alla Rai, Antonello Falqui mi disse che i siciliani non sapevano parlare l'italiano. Me lo ripeteva anche Salvo Randone, il grande attore. Lui era siracusano, e ricordava che, per dare forza a quello che si diceva, bisognava pensare in dialetto, e poi tradurre mentalmente in italiano. C'era più forza, più energia, nell'affermazione. Ed è vero, pure a me capita così». Trovò ostacoli, nella sua vocazione giovanile per lo spettacolo? «Ostacoli no, ma neanche soverchi incoraggiamenti. In casa non c'era nessuno che recitasse, cantasse, ballasse. Non ero figho d'arte. Esibirsi era uno scandalo, poteva voler dire rovinare la reputazione della famiglia. Facevo teatro, eppure, già allora, la televisione era il mio modello di riferimento. Volevo lavorare lì. Partii tre giorni esatti dopo la laurea, e sembrava che partissi per il fronte. Mia madre alla fine si era rassegnata. In parte. Mi disse che se proprio volevo lavorare in tv, facessi almeno il telegiornale. Avrei avuto una scrivania, avrei fatto qualcosa di serio. E ora il ritorno nella sua collina: ci va spesso? «Ogni mese. Ho la vecchia casa dei miei, che ho ristrutturato, ci vado e ci sto bene. Mi piace il passato. Non sono un passatista, un cultore della rimembranza, non credo che il mio sia un modo per sfuggire il presente. Però sono convinto che ricordarsi di quello che è successo ieri, ci possa aiutare anche oggi. Inoltre, penso di essere l'ultimo della famiglia che riuscirà a godere di questa terra. I miei figli mica ci vanno, a Militello, né Tiziana, né Alessandro, il ragazzo che ho riconosciuto tre anni fa». Che cosa fa quando è a Militello? «Faccio ima vita normalissima, tranquilla. Leggo, parlo con le persone del paese. D sindaco è un ex barbiere, ha visto passare davanti a sé, sotto le sue forbici, un'intera generazione: ed è proprio lì, nei saloni dei barbieri, che gli uomini si raccontano. Io amo questi racconti, i commenti della vita di adesso, i ricordi della vita di una volta». Guarda la televisione? «Un poco, ma ormai mi delude con regolare continuità. La sera, col fireschino, preferisco andare con questi miei amici di lì, ci facciamo una briscola e quattro chiacchiere». Ha anche qualche vocazione contadina, qualche svago collinare, coltiva l'orto, le rose del giardino? «Coltivo arance, ho un bel pezzo di terra». Non è facile fare i contadini, bisogna intendersene: e ieicJhonesa? «Come che ne so? Io sono competentissimo. Sono nato e cresciuto in mezzo alle arance, so come si coltivano, come si trattano. Il fatto è che ogni anno ci rimetto, perché in Sicilia, se non stai iene dietro alle cose, ti sfuggono di mano. Però quel profumo dei fiori di zagara, il vedere crescere i frutti, vedere quelle piante che sotto Natale sembrano tanti alberi di Natale con la loro pallina arancione, beh, tutto questo è^ impagabile. Anzi, me lo pago. È un piacere che mi pago». Al mare non va mai, quel mare che tanto la colpì per la sua grandezza, quando aveva quattordici anni? «Al mare vado in Sardegna. Da quando la mia casa sul mare ha subito un attentato, da quando me l'hanno bruciata, non lo amo più, il mare di Sicilia, non ho più voglia di andarci». Quanto si fermerà a Militello? «Ci resterò un mese». E dopo, senza Festival di Sanremo? «Davvero non so ancora. D'altronde, sa, più ci penso a quella faccenda della Rai, e più credo di aver fatto bene. Mi avevavano proposto di rifare "Novecento" la domenica sera su Raitre, ma con la concorrenza delle altre reti, rischiavo di arrivare all'otto per cento di share. Se lo fa qualcun altro, non ci sono problemi, ma se lo facessi io, quel risultato, sarebbe una sconfitta. I giornali scriverebbero che Pippo Baudo ha fatto fiasco, e io non vogho che accada. Per Sanremo, comunque, i problemi restano tanti. Di ogni genere. Le case discografiche sono male in arnese, e nemmeno il mio arrivo, d'altronde, avrebbe potuto risolvere oggettivi problemi industriali, e anche sociali. I dischi non li compra più nessuno, e non si riuscirà mai ad invertire la tendenza: scaricare la musica da Internet è troppo comodo, troppo allettante. Io avrei anche potuto avere delle idee per il Festival, ma non potevo cambiare le tendenze della società. Comunque adesso ci penserà qualcun altro». Intanto, c'è la via di fuga della sua Militello? «Non è una via di fuga. E un ritomo. Quando sei giovane, e stai in provincia, sogni la città. Ma poi, dopo che gli anni sono passati, hai voglia di fare il contrario, di lasciare la città e tornare in provincia. Io ho voglia di tornare alle mie arance, alla mia casa in collina». «Adesso che sono ormai arrivato a un'età rispettabile ho bisogno di rivedere i posti della mia infanzia e di riascoltare il dialetto Non sono figlio d'arte: in casa non c'era nessuno che recitasse, cantasse o ballasse. Esibirsi era allora uno scandalo Mia madre alla fine si era rassegnata» Pippo Baudo nasce a Militello, in provincia di Catania, nel 1936. Si laurea in giurisprudenza, ma vuole fare l'attore. Debutta nella compagniadi Turi Ferro. Va a Roma, esordisce in Tv nel 1960 con «La guida degli emigranti». Il primo successo arriva con «Settevoci». Diventa popolare e conduce molti grandi varietà, da «Canzonissima» a «Fantastico» a svariate edizioni del Festival di Sanremo. Nell'87, al termine della settima edizione di «Fantastico», lascia la Rai dopo una polemica con I presidente Enrico Manca che lo accusa di realizzare trasmissioni «nazionalpopolari». Passa alla Fininvest, non si trova bene, rientra alla Rai. Lavorerà ancora per Mediaset, ma è alla Rai che approda sempre. Salvo litigare clamorosamente ancora una volta. ppo Baudo a trent'anni nel programma v «Settevoci» (1966) che è stato il uo primo successo. A destra, na strip con Baudo pparsa su Topolino anno scorso. In asso, il resentatore e howman ggi Pippo Baudo nasce a Militello, in provincia di Catania, nel 1936. Si laurea in giurisprudenza, ma vuole fare l'attore. Debutta nella compagniadi Turi Ferro. Va a Roma, esordisce in Tv nel 1960 con «La guida degli emigranti». Il primo successo arriva con «Settevoci». Diventa popolare e conduce molti grandi varietà, da «Canzonissima» a «Fantastico» a svariate edizioni del Festival di Sanremo. Nell'87, al termine della settima edizione di «Fantastico», lascia la Rai dopo una polemica con I presidente Enrico Manca che lo accusa di realizzare trasmissioni «nazionalpopolari». Passa alla Fininvest, non si trova bene, rientra alla Rai. Lavorerà ancora per Mediaset, ma è alla Rai che d Pippo Baudo a trent'anni nel programma tv «Settevoci» (1966) che è stato il suo primo successo. A destra, una strip con Baudo apparsa su Topolino l'anno scorso. In basso, il presentatore e showman oggi