«E' necessario eliminare un Khomeini iracheno» di Paolo Mastrolilli

«E' necessario eliminare un Khomeini iracheno» DIETRO LA BATTAGLIA CHE SCONVOLGE LE ZONE SCIITE «E' necessario eliminare un Khomeini iracheno» Gli analisti Usa: «Ma è stato lui a scegliere lo scontro» retroscena Paolo Mastrolilli : NEW YORK El stato Al Sadr che ha scelto lo scontro, e a questo punto non ci sono più alternative: la sua eliminazione o la sua cattura è solo questione di giorni, o di ore». L'opinione di Daniel Gourè, ex direttore dell'Office of Strategie Competitivenes al Pentagono, e vice presidente della think tank Lexington Institute, è condivisa da parecchi analisti. Washington ha lanciato l'offensiva finale contro il religioso sciita perché lui l'ha provocata, rifiutando di essere incluso nel processo politico democratico. «Una volta avviata questa operazione - conferma l'ex comandante supremo della Nato George Joulwan - non possiamo più tornare indietro: l'unica conclusione accettabile è la distruzione della milizia al Mehdi». Dopo la rivolta di aprile e maggio, al Sadr e gli americani avevano raggiunto una tregua. «Washington - spiega Gourè - aveva ascoltato le proposte che venivano dal nuovo governo provvisiono iracheno, formato proprio in quei giorni, e ha sperato che 1 esecutivo di Allawi riuscisse a negoziare un accordo con Sadr per includerlo nel processo politico. Il religioso sciita, però, non è rimasto soddisfatto dell'intesa, e dopo la pausa di giugno e luglio ha cambiato strategia». La ragione di questo mutamento, secondo Gourè, sta proprio nell'evoluzione del panorama politico iracheno: «All' inizio dell'anno prossimo sono previste le elezioni, e tutti i pretendenti si stanno posizionando per massimizzare il loro risultato. Evidentemente al Sadr ha deciso che la tregua non gli giovava, e ormai gli restavano pochi mesi per cambiare la situazione, tra il voto presidenziale previsto in America a novembre, e quello iracheno che dovrebbe seguire a gennaio. Quindi ha scelto di tornare alla guerriglia, perché sul piano politico si sentiva chiuso». Gli analisti di Stratfor, un' altra think tank specializzata negli studi strategici, hanno grosso modo la stessa posizione, ma con una piccola variante. Secondo loro Al Sadr stava conquistando troppi consensi nella sua comunità; «Nonostante - ha scritto Stratfor in un rapporto - un significativo numero di sciiti continui a scommettere sull'alleanza con Washington, molti altri stanno spostando la propria preferenza verso Al Sadr, nella convinzione che lui offra le speranze più solide per la creazione di un governo domi- nato dalla loro maggioranza religiosa». Se questo è vero, il giovane leader di Najaf cominciava a minacciare la posizione dominante dell'ayatollah Al Sistani, che ha scelto fin dall'inizio una linea più moderata. In questi giorni Sistani è a Londra per curare un problema di salute al cuore, e forse tutti hanno aprofittato della sua assenza: Al Sadr per lanciare la nuova rivolta e solidificare il proprio seguito, gli americani per ordinare la resa dei conti nella città sacra mentre rayatollah è lontano, risparmiandogli quindi un ruolo negli scontri. Secondo Gourè, se la valutazione di Stratfor è corretta, «questa è una ragione in più per risolvere la crisi subito. Gli Stati Uniti hanno detto chiaramente che non accetteranno la nascita di uno stato teocratico in Iraq, e se la base politica di Al Sadr si sta solidificando, bisogna distrug- terla prima che abbia la forza i impadronirsi del Paese». Questo, secondo lo studioso dell'American Enterprise Institute Michael Ledeen, serve anche a «rispondere all'Iran, che ha fomentato la rivolta di Al Sadr». Sul piano strategico, Gourè è abbastanza ottimista; «Bisogna evitare errori nelle strade della città sacra, che possano infuocare gli animi degli sciiti. Il seguito di Sadr, però, sembra ancora ridotto ad un massimo di tre o quattromila miliziani, e questo significa che non è riuscito a suscitare la sollevazione nazionale che aveva minacciato. L'operazione di questi giorni, poi, serve anche per il battesimo del fuoco delle nuove forze irachene, che in futuro dovranno assumere sempre più responsabilità». Anche la politica interna americana gioca un ruolo: «L' amministrazione non può permettersi di entrare nell'autunno, e quindi nella fase finale della campagna elettorale presidenziale, con uno stato di guerra come quello attuale a Najaf. La crisi deve essere risolta in pochi giorni». Proprio per questo, Joulwan suggerisce di adottare un tattica decisa: «Se non chiudiamo ora la partita con Sadr, dopo questa offensiva, rischiamo un crollo in tutto il Paese». Washington non può accettare la possibilità della nascita di uno Stato teocratico e deve rispondere subito alle trame iraniane «l-a crisi deve essere risolta in pochi giorni» ha ordinato Bush Per il Presidente sarebbe fatale arrivare al voto con la guerra che dilaga Al Sadr si è barricato con i suoi nel cuore della città santa di Najaf