Olmi, la corte dove ho imparato a vivere di Fiorella Minervino

Olmi, la corte dove ho imparato a vivere INTERVISTA COL REGISTA CHE RACCONTA I LUOGHI SCOMPARSI DELLA SUA INFANZIA E ADOLESCENZA Olmi, la corte dove ho imparato a vivere «Senza l'esperienza del mondo contadino sarei un altro» Fiorella Minervino NON possiede la diffidenza e certa asprezza tipica di chi discende da Bergamo, dalle sue valli, dai suoi monti. E' subito affabile, simpatico, con vitalità e sensibilità che coinvolgono l'accettazione di dolori, malattie, drammi che l'esistenza regala a in gran quantità, magari accanti a onori, gloria, come nel caso suo. Ermanno Olmi, nato a Bergamo il 24 lugho del 1931, con soggiorni a Treviglio, presto a Milano, della sua terra e origine contadina conserva l'ingenuità, la modestia naturale, ricordi e racconti gustosissimi dal sapore di malinconia come di poesia. Si trova a Milano di passaggio per il Festival di Locarne dove gli viene assegnato il Pardo d'Onore, riconoscimento alla carriera che, sorrìdendo, lui definisce il «premio per il prepensionamento». Sposato da anni con Loredana, ne parla con affetto, riconoscenza e fin ardore; vivono ad Asiago, dei tre figli due lavorano per il cinema. Lui, dopo i successi della Leggenda del santo bevitore, deUVl&ero degli zoccoli p del Mestiere delle armi, potrebbe vivere di rendita, invece pensa di continuo al cinema che gli resta da fare. A quale luogo della sua esistenza è più legato? «Alla corte contadina, in queir età prevista dalla natura per la scoperta del mondo, l'apprendimento, la conoscenza anche tattile della realtà. Tattile pure negli odori e nei suoni, ricordo i passi sulla terra ghiacciata. Aspetti che hanno contribuito con speciale significato alla mia formazione. Non però nel senso platonico di un'Arcadia, là il freddo era freddo, il problema del cibo esisteva, ma quella realtà era onesta. La Natura nel mondo contadino è onesta, sia nella crudeltà che nella beltà, risponde a equilibri cosmici che sono autentici e assoluti. Il luogo della mia famiglia era la corte contadina con il senso dei giorni, delle stagioni, lo stare insieme. A Treviglio andavo dalla nonna che aveva la stalla, mentre la famiglia di mio padre era di ferrovieri. La sera la nonna raccontava gli 'esempi', accadimenti che erano sintesi di esperienze di vita. Senza quel luogo di formazione, che elevo a valore incontestabile, sarei stato diverso». E' mai tornato a rivedere la stadia della nonna, a Treviglio? «Sono tornato, ma anche a occhi bendati avrei capito dall'odore, dal sole, dai colon omologati che non era più la mia corte. Un po' come diceva con folgoranti espressioni l'amico Goffredo Parise: a metà degh anni cinquanta andammo a Milano all'inaugurazione del Cinema Capitol, bellissimo, con marmi, scalinate, specchi. Nei bagni c'erano le prime boccette con il sapone per le mani, io gli dissi: "Guarda che roba, che lusso, senti che profumo". E lui: "Neanca i cessi xè più dei cessi"». Adesso, Olmi, dove trascorre le sue vacanze? «Ad Asiago, dove vivo, ogni giorno ho un momento di vacanza. Andai lì nel 1959 per girare il film dal Sergente nella neve di Rigoni Stem, ma i russi non lo consentirono, non ero garantito dal Partito Comunista. Mi innamorai di questo altopiano, non avevo intenzione di sposarmi, l'idea del matrimonio e metter su famiglia la collego ad Asiago. Presi un sasso, lo posai in mezzo a un prato e mi dissi: Se un giorno troverò una ragazza che mi darà la voglia di sposarmi, verrò qui. Così è stato, ho acquistato quel pezzo di terra, ho costruito la casa, dal '65 sono vissuto fra lì e Milano, dal '76 solo ad Asiago. Ogni giorno ho la mia vacanza, perché a una certa ora del pomeriggio giungono dei suoni: i passi cu Loredana che porta la legna per accendere il camino. Salgo e mi concedo un riposo fino all'ora di cena». E' soddisfatto del suo lavoro e del film che ha cominciato? «L'ultimo film è sempre la preparazione al futuro, gli esami non finiscono mai. Conclusa un'opera, noi siamo diversi, è il lavoro che ci cambia, da diversi abbiamo un rapporto nuovo col mondo che diventa motivo da raccontare. Simili a contadini o artigiani: il contadino al termine della stagione passa l'inverno a ragionare sul cosa fare poi. L'artigiano fa una sedia per poi costruirne un'altra diversa. Così il lavoro ci trasforma e noi lo trasformiamo. Nel nuovo film, Ticket, siamo tre registi: un persiano, Kiarostami, uno scozzese, Loach, un mediterraneo di Bergamo, ognuno con una mezz'ora di racconto. Sono tre storie su un treno dal Nord Europa fino a Roma. Il mio episodio e la storia d'un farmacologo che deve tornare in Italia, a Milano, ma gli aeroporti sono chiusi, il suo treno che non va, finché una pierre gli trova un treno ordinario. Lui le scrive una lettera di ringraziamento che non spedirà mai, perché deve affrontare una circostanza, non svelo quale, che richiede tutta la sua responsabilità. I sogni vanno bene, ma non danno il diritto di defezione». Come giudica, lei che si à ispirato a libri famosi, i romanzi o le storie a punta- te che offre ora la nostra Tv? «Credo abbiano una funzione di soccorso sociale. Se c'è una dato riconosciuto è la solitudine che ha bisogno di palliativi: le cose che durano nel tempo tengono compagnia attraverso racconti ingenui, acquisibili senza sforzi di approfondimento. Fra le barzellette o le veline, è più utile il feuilleton che tiene compagnia. In questo momento la Tv fa bene a mandarlo in onda, purtroppo non fa altro che dovrebbe. La vita impone l'umiltà, l'ho capito durante una lunga malattia in cui mi sono ricreduto sui prima snobbati film di Terence Hill. L'Iliade e l'Odissea con quel modo di comunicare in metrica e con strumento adeguato, al loro tempo erano feuilleton». C'è un film che sogna di fare e che non le è mai riuscito? «A vero problema per noi registi è che ti senti libero di inventare, ma poi hai a che fare con i numeri, esigenze di costi, rischi del business, di cui sei responsabile. Il film costoso che fallisce è un problema di ordine morale, oltre a provocare; danni al prò: duttore. Il film che vorrei fare è quello dove posso fare quello die voglio e non costa niente. Parlavano tempo fa di uno scienziato che voleva trasferire il pensiero in immagini... Sarebbe il massimo. Ogni volta che si comincia un film è come con Cristoforo Colombo: si parte per le Indie, se va bene si arriva alle Americhe. Altrimenti si va a fondo. E' il cinema». . Una scena dellV\Abefo degli zoccoli, vincitore nel 1978 della Palma d'oro al Festival di Cannes: qui è ricostruita una veglia contadina. In basso il regista, che in questi giorni andrà al Festival di Locamo a ritirare il «Pardo d'onore», riconoscimento alla bella carriera Ermanno Olmi è nato a Bergamo nel 1931 e vive sull'altopiano di Asiago. Ha esordito nei lungometraggio con II tempo s'è fermato (1959). Seguono posto (1961 ), Z fidanzatici 963),... Evenne un uomo (1965, su Papa Giovanni), Un certo giorno (1968), Z recuperanti ( 1969, da Rigoni Stem), L'aibero degli zoccoli (1978, vincitore a Cannes), tunga vita alla signora (1987, Leone d'argento a Venezia), La leggenda del santo bevitore (1988 da Joseph Roth), Il segreto del bosco vecch/o (1993, da un racconto di Suzzati),///nest/e/e de/te ami/(2001 ) Nel primi bagni di lusso Goffredo Parise mi disse. «Neanca i cessi xè più dei cessi»