Ghiaccio e statue d'oro L'incredibile regno del duce turkmeno di Domenico Quirico

Ghiaccio e statue d'oro L'incredibile regno del duce turkmeno LE STRAVAGANZE DI UN SIGNORE DEL PETROLIO DELL'ASIA CENTRALE Ghiaccio e statue d'oro L'incredibile regno del duce turkmeno Un palazzetto per pattinare nel cuore del deserto. L'esame per a patente: un'interrogazione sul libro che contiene le sue massime personaggio Domenico Quirico TRA 1 guai numerosi che ci ha lasciato l'Urss spirando tredici anni fa tra il tripudio quasi generale c'è Saparmurat Niyazov. Ai tempi del politburo, Breznev lo aveva tra i tipi ameni e esotici della sua galleria di fantocci. Lui, il turkmeno, dalle mani grosse da contadino, la rLtinatura fitta copiata da queldei capo si faceva iniziare ai segreti degli espedienti del potere. Un mattino non appena il tarlatissimo edificio della seconda potenza mondiale crollò tra polvere e fracassò, gettò via le medaglie i fazzoletti rossi, la spilla di Lenin, e si proclamò «turkmenbashi». A tradurre l'ingombrante qualifica in «duce dei turkmeni» non si corre il rischio di sbagliare. Il suo slogan peraltro ha indubitabili echi mussoliniani: xalq, vatan, turkmenbashi ovvero popolo patria e lui naturalmente, il duce. L'ultima iniziativa politica di questo scultore mirabile della pietrificazione oligarchica è l'annuncio che per ottenere la patente di guida bisognerà superare un nuovo tipo cu esame: conoscenza del motore e prontezza sui segnali stradali non conteranno nulla. Il testo su cui dovranno affannarsi i guidatori locali si chiama «Ruhnama». Affannarsi non è un eufemismo: sono quattrocento pagine, una purtroppo rachitica sintesi di quanto la mente del «duce» ha escogitato in questi anni di potere assoluto (il parlamento è molto discreto: si riunisce ima volta l'anno). La filosofia e la politica non esauriscono la torrenziale attività dell'omone. E' infatti anche poeta, e prolifico. L'ultima fatica si intitola «Il nuovo spirito dei turkmeni»; i critici che con coraggio omerico si sono azzardati nella esegesi sostengono che il primo libro, «Benedetto sia il mio popolo», resta ineguagliabile. I giudici del maggior premio letterario del Paese comunque non procedono su queste ardue finezze; ogni anno, senza paura della monotonia, lo premiano. Versi e aforismi imbandierano marche di dopobarba e fiancate degli aerei di linea, marmi e lapidi, sigarette e tappeti. Non c'è moneta che non si impreziosisca con la sua effigie. Persino il tempo si è piegato al demiurgo. Il calendario è stato totalmente stravolto: aprile - mese ribattezzato «gurbansoltan» in onore della madre purtroppo defunta è quello più caro al satrapo indaffarato. Qualcosa del suo pensiero i sei milioni di turkmeni lo hanno già imparato: perché il libro è depositato in tutte le moschee accanto al Corano che, poveretto, sfigura un po' a fianco di quella enciclopedia. Ogni giorno negli uffici pubblici una sosta provvidenziale consente a riverenti impiegati e funzionari di ripetere ampi stralci dell'opera. Ai renitenti accudisce la televisione, che nel palinsesto dedica ore alla lettura commento e ripetizione del testo. Non c'è il rischio che i sudditi vengano distratti da spettacoli empi e leggeri: le antenne satellitari sono giudiziosamente proibite. In auto invece l'inesaunbile tormentatore dei propri simili concede una tregua: alcuni anni fa, per ragioni rimaste misteriose, ha vietato le radio. La velocità è la passione di questo presidente che ha aggiunto alla carica l'aggettivo perpe¬ tuo. Ama guidare a tavoletta per le vie di Ashkabad, sgusciando dal palazzo - poco sobrio incrocio tra il Vaticano e il Taj Mahal - dove accudisce il potere. Gli agenti sbarazzano a randellate le vie, cacciando le auto in mostruosi ingorghi laterali. H peggio tocca ai pedoni terrorizzati, costretti a gettarsi nei fossi e nei portoni. Il presidente ha il piede pesante e non rallenta certo per un suddito molesto. Anche perché al suo passaggio scatta una scenografia realizzata per chilometri, dopo aver raso al suolo avvilenti quartieri abitati da povera gente. Una sfilata di fontane, cascate e giochi d'acqua: come per miracolo, via via che la Mercedes nera ala a tutto gas, con l'autista terrorizzato e inutile a fianco del presidente, le acque zampillano, le cascate scrosciano, i torrentelli si riempiono. Per poi spegnersi mestamente non appena il dio dei turkmeni svanisce in un rombo. La sua silhouette massiccia dilaga presidia occhieggia sovra¬ sta. A piedi a cavallo in doppiopetto a mezzo busto o intero. Vestito da nomade e da banchiere, piccolo grande enorme sorridente pensieroso corrucciato paterno, in pietra calcare marmo porcellana cartone seta plastica. E in oro. Una delle statue è stata coperta di lamine massicce e, mossa da un ingegnoso congegno, ruota come un girasole durante la giornata inseguendo con il suo occhio indagatore i passanti. Dicono che persino un collega non certo estraneo al culto della personalità, il kazako Nazarbayev, alla vista di quella ciclopica stravaganza abbia mormorato che gli sembrava un po' troppo. Niyazov comunque non esaurisce i suoi sforzi architettonici nell'autocelebrazione. Ha predisposizione per il monumentale, tutto deve rivaleggiare con la torre di babele. Ha appena annunciato una nuova realizzazione nel cuore del deserto turkmeno, dove temperature terribili calcinarono eserciti carovane tribù: costruirà un gigantesco palazzo del ghiaccio. «I turkemi - ha detto - hanno il diritto di pattinare come gli altri». Il mostruoso e costosissimo falansterio si affianca alle centinaia di alberghi di lusso costruiti alla periferia della capitale e desolatamente vuoti. Niyazov era certo che milioni di stranieri sarebbero accorsi ad abbeverarsi alla mecca del suo pensiero. Ha fatto costruire nel suo paese natale ima moschea più grande di quella di Istanbul. Dicono che le barbe e i denti d'oro lo mandino in bestia: ora sono vietati. Non chiediamoci se Niyazov è un pazzo, un caso clinico di schizofrenia del potere. Niente affatto: sa che incrociando Stalin e Gengis Khan si affascina un popolo intorpidito da secoli di rassegnato assolutismo. Le galere comunque sono piene. E chi è seduto su un enorme barile di 155 trilioni di metri cubi di gas e sei miliardi e mezzo di tonnellate di petrolio può permettersi qualche stramberia. Negli uffici pubblici e nelle scuole obbligatorie riunioni per leggere le sue opere. Ha cambiato anche i nomi dei mesi. Nel paese dove è nato una moschea più grande di quella di Istanbul IL PAESE IN CIFRE ■ TERRITORIO in gran parte occupato dal deserto del Karakum, affacciato sul Mar Caspio, copre una superficie di 488.000 kmq B POPOLAZIONE Cinque milioni, in maggioranza musulmani. Densità di 11 abitanti per kmq. Nell'indice di sviluppo umano occupa l'83mo posto. La speranza di vita non arriva a 70 anni, indice di fecondità alto m ECONOMIA RI: 3.205 miliardi di dollari. Reddito medio annuo prò capite 670 dollari. Disoccupazione al 3 per cento. Sottosuolo ricchissimo di gas naturale e petrolio, zolfo e sali, li Paese è uno dei maggiori produttori mondiali di cotone. Allevamenti di purosangue e bachi da seta. Industria limitata IL PAESE IN Saparmurat Niyazov, presidente e capo del governo turkmeno. Eletto nel '90 e '92, nel '94 ha fatto prorogare il suo mandato con un referendum A destra, la cupola dorata del palazzo presidenziale nella capitale Ashgabat fTurkmenbasi o C? ' • Darvaza UZBEKISTAN MA/? S TURKMENISTAN CASWO okarem ^ I R A N ASHGABAT "V Mafy* Bajram-Ali AFGHANISTAN

Luoghi citati: Afghanistan, Istanbul, Urss, Uzbekistan