Allarme da Tripoli «Ormai siamo all'invasione»

Allarme da Tripoli «Ormai siamo all'invasione» IL MINISTRO DEGLI ESTERI LIBICO Allarme da Tripoli «Ormai siamo all'invasione» «Temiamo un assalto dal Darfur, chiusa la frontiera con il Sudan» «Militari occidentali nella zona? Sarebbe un nuovo Afghanistan» «Lintesa con il governo italiano funziona, ma ci sono troppi ritardi» I intervista Guido Ruotoio inviato a TRIPOLI Guinea BGuìqeaSierra Leone XuLO scenario che delinea è a tinte fosche: «Se per voi italiani l'immigrazione clandestina è un problema, per noi è molto di più: è una invasione. E di fronte all'invasione abbiamo paura della reazione del popolo libico». Il ministro degh Esteri della «Gran Jamahiria araba libica popolare socialista», Abdulharam Shalgham, sul tema della cooperazione nel contrasto all'immigrazione clandestina chiede a Roma di fare di più: «Dobbiamo trovase insieme una soluzione al problema», spiega. Rispetto a un anno fa, quando l'intervistammo alla vigilia della visita del nostro ministro dell'Interno, Beppe Pisanu, a Tripoli, Shalgham è molto più allarmato. Anche perché, oggi, dalla sua analisi affiora il timore che «con il popolo errante dei disperati che emigrano, si possano infiltrare i terroristi islamici». Non solo, Shalgham teme che nella fascia al confine tra Libia, Algeria, Nigeria, Ciad e Sudan, «gli integralisti islamici vogliano fondare uno Stato cuscinetto islamico». A questo proposito, parlando della crisi nel Darfur, la regione del Sudan che confina con la Libia, obietta a chi propone l'invio di una forza di interposizione militare occidentale: «Se questo accadesse, quella regione si trasformerebbe in un nuovo Afghanistan». Ministro, in queste ore continua il flusso dì clandestini che, salpati dalle coste di Zwara, sbarcano in Italia. «In questi ultimi anni la cifra di immigrati è aumentata in modo incredibile. Sono oltre un milione. Nei giorni scorsi, insieme al collega Naser al Mabruk (ministro degh Interni, n.d.r.) abbiamo convocato gli ambasciatori di ventidue paesi africani annunciandogli, che avremmo proceduto con il rimpatrio di migliaia di immigrati. Cosa die abbiamo iniziato a fare dalla settimana scorsa, con voli charter e carovane di bus e auto. Per questa nostra iniziativa abbiamo ricevuto reazioni negative da paesi come il Ghana, il Ciad, la Nigeria, che ci hanno criticato perché avevamo deciso il rimpatrio forzato». Girando per Trìpoli, colpisce vedere - come del resto accade anche in Italia - immigrati che lavorano in quel segmento del mercato che, evidentemente, è stato lasciato libero: per esempio, l'edilizia o le pulizie. Insomma, è una mandopera preziosa, irrinunciabile. Qual è allora il problema? «Lei ha visto ancora ben poco. Alcuni quartieri della città sono in mano loro. Impongono le loro leggi, circola la dròga e la prostituzione. Quasi ogni settimana si registrano omicidi, la situazione diventa sempre di più insostenibile. Quando dicevo che per noi è una invasione, intendo dire esattamen- rLE R te questo: la loro presenza sta cambiando anche il tessuto sociale della Libia. Se rimangono qui ancora per 10-15 anni, la Libia non sarà più la stessa». Da circa un anno è in vigore l'accordo di cooperazione tra Italia e Libia. Dal nostro versante, 1 risultati si vedono: 1 numeri dicono che rispetto all'anno scorso gli sbarchi sono dimezzati. Dal vostro pun- to di vista, qual è il bilancio dell'accordo? «Positivo, anche se la cooperazione va molto al rilento. Lltalia finanzia i voli charter di rimpatrio degh immigrati illegali, è questo è positivo. Ma non basta. Gli altri punti dell'intesa, come per esempio l'invio delle tende, l'allestimento di centri di raccolta, ancora devono essere soddisfatti. Da una settimana abbiamo iniziato la campagna di trasferimento degh immigrati nei loro paesi d'origine. Dobbiamo agire in fretta anche perché temiamo che si apra un nuovo fronte di invasione dal Darfur. Per questo abbiamo deciso di chiudere la frontiera con il Sudan». Alcuni quotidiani occidentali hanno scrìtto che nelle settimane scorse avete smantellato, ai confini con il Ciad, un campo d'addestramento del Gruppo Salafita per la predicazione e il combattimento. Conferma la notizia? Il ministro tratteggia con un pennarello su un foglio i contorni della Libia, marcando i confini con l'Algeria, la Nigeria, il Ciad e il Sudan. «Questo gruppo - dice riferendosi ai terroristi islamici -, dopo aver attraversato il deserto passando dall'Algeria alla Nigeria e al Ciad, cercava di infiltrarsi in Libia. Il nostro esercito e la pohzia hanno avuto un conflitto a fuoco. Il bilancio? Sono stati uccisi due libici, mentre due o tre terroristi sono stati arrestati». Gli integralisti islamici volevano agire in Libia o raggiungere, l'Europa? «Noi sappiamo che vogliono fondare insieme ai ribelli del Ciad uno Stato cuscinetto, un regno islamico, in quella regione. Siamo molto allarmati perché non sappiamo più chi sono gli immigrati che entrano in Libia. Non sappiamo se arrivano per vivere, per avorare, mangiare oppure se sono terroristi». In queste settimane, in Italia, si è levata più di una voce crìtica sull'uso strumentale da parte vostra della questione dell'immigrazione clandestina. «E cosa ci guadagneremmo? Chi fa profitti da questi traffici sono soltanto le organizzazioni criminali. Non possiamo più tollerare tutto questo. Al ministro Pisanu ho spiegato tutto, proprio in questa stanza. Noi non stiamo strumentalizzando un bel niente, anzi investiamo risorse, uomini e mezzi per fronteggiare questa invasione, diamo aiuti a Paesi, come la Nigeria e il Ciad, per proteggere i loro confini, d stiamo spendendo al massimo per pacificare questa area, martoriata da guerre civili e dalla fame. Ma da soli non possiamo farcela. L'opinione pubblica italiana deve essere informata sulla reale dimensione del fenomeno». Diceva prima della crisi nel Darfur. Il Consiglio di sicurezza dell'Onu ha approvato ima risoluzione che invita al disarmo le partì in causa L'Unione Africana sta valutando l'invio di truppe di interposizione. E' ima strada percorribile? «Perché si parla solo del Darfur ma non anche del Ciad o della Nigeria, dove la situazione è anch'essa grave anche se, forse, non ha le stesse dimensioni? Proprio nei giorni scorsi, con il presidente della Nigeria, in qualità di presidente dell' Unione Africana, abbiamo discusso a Sirte dell'invio di una forza militare africana di interposizione che, però, da sola non è sufficiente. Ci sono tanti problemi urgenti nel Darfur: innanzitutto quello della sicurezza, di garantire l'incolumità delle persone, e poi quello di far arrivare cibo. Più in generale, dobbiamo lavorare per creare le condizioni per un compromesso politico tra tutte le parti in campo. Quello che comunque va evitato è la internazionalizzazione del conflitto. Se in quella regione si insediassero soldati americani, inglesi od europei, i fondamentalisti islamici arriverebbero come gli orsi attratti dal miele. Avremmo un'altra Af^ianistan, un altro Iraq. Gli integralisti inciterebbero alla "guerra santa". Bisogna evitare assolutamente che si arrivi a questo. Che gli aiuti degh Stati Uniti e dell'Europa si limitino a cibo e mezzi logistici». Ministro, come giudica lo stato attuale dei rapporti tra la Libia e lltalia? «Dobbiamo continuare a lavorare insieme per rafforzare i rapporti bilaterali, perché diventino strategici, solidi, veri, trasparenti. Rispetto al vecchio contenzioso abbiamo siglato uù accordo, dove nero su bianco sono segnati gli impegni, che dobbiamo onorare. C'è bisogno di rafforzare la cooperazione in diversi settori: penso al problema delle mine, che per noi rimane un flagello. E c'è bisogno di un gran gesto per voltare pagina, per costruire una nuova era di rapporti di vicinanza e amicizia. Dieci giorni fa, la Francia ha siglato un grande accordo con l'Algeria, che prevede investimenti francesi in infrastrutture da parte di Parigi, la cancellazione dei debiti e l'aperture di crediti per miliopni di dollari a interessi molto bassi. Il rapporto fra lltalia e la Libia deve diventare un modello pei tutti i paesi del noni e del sud». QjC i Paesi "" del Nordafrica non possono assicurare la protezione delle frontiere al Sud dell'Europa f* CLCL Questi "" movimenti di migrazione vanno trattati in modo pacifico, prima che diventino fMk esplosivi ^^ Dichiarazioni rese il 27 aprile 2004 dopo l'incontro alla Commissioneeuropea con Romano Prodi CHI E' ■ ABDULHARAM SHALGHAM Cinquantacinque anni, dal 2000 è segretario del Comitato generale del Popolo per gli Affari Esteri e là Cooperatone internazionale, l'equivalente libico del nostro ministero degli Esteri. Dal 1984 al 1995 è stato ambasciatore libico a Roma. Prima di dedicarsi alla politica era stato giornalista, dirigendo tra l'altro l'agenzia dì stampa ufficiale libica Abdulharam Shalgham Guinea B, Guìqea Sierra Leone X utó- LE ROTTE DELL'IMMIGRAZIONE CLANDESTINA IN ITALIA GHEDDAFI

Persone citate: Beppe Pisanu, Leone X, Pisanu, Romano Prodi, Shalgham