L'usuraio del commissario di Sergio Pent

L'usuraio del commissario L'usuraio del commissario Sergio Pent N ON c'è che dire: l'italica provincia addormentata, setacciata nelle sue più riposte pieghe geografico-antropologiche, resta tuttora il fertile terreno d'ispirazione della nostra recente nairativa. Che il giallo si sia involontariamente sostituito al neorealismo è un altro incontestabile dato di fatto, e non sempre i confronti stabiliscono graduatorie di merito destinate ad escludere a priori i fabbricanti di delitti. Tra Vittorini e Sciascia i suddetti meriti vanno perlomeno suddivisi; la Sardegna di Deledda e Dessi trova il suo angolo buio nelle cronache fosche di Pois e Todde; la Torino di Pavese si è globalizzata sui casi risolti da Frutterò e Lucentini... Paragoni non necessariamente antitetici, sintomatici - comunque - di un processo ormai quasi naturale di identificazione dello scrittore con il territorio, riserva di memorie e caratteri che danno all'Italia il profilo di un'arma da tagho che non necessita di devoluzioni politiche per risolvere le questioni nel proprio habitat regionale. Così viene naturale contrapporre la Firenze di Praiolini con quella un po' più imbalsamata di Marco Vichi, ma se di un confronto si tratta, va ricercato unicamente nella letterarietà - e nelle motivazioni socio-politiche - degli intenti. Le mattinate fiorentine del Vasco più famoso d'Italia prima del rocchettaro che riempie gli stadi, erano quelle di un viaggio attraverso gli uomini e la Storia, sul filo di rasoio di una cronaca quotidiana che diventò l'epica del minimalismo più sofferto. Con Marco Vichi e il suo gagliardo commissario Bordelli - al suo terzo caso - siamo invece neiparaggi di un recupero ambientale strumentalizzato in favore di una serialità comunque sempre più oggettiva. Vichi sta gradualmente ricostruendo un'epoca - qui siamo agli sgoccioli del 1965 - attraverso l'umanità semplice di un mondo già proiettato verso gli estremismi della modernizzazione totale, acciuffato al volo negli ultimi palpiti familiari che ancora contraddistinguono l'indivi¬ duo dal suo alter ego globalizzato. L'impresa è ammirevole, i risultati godibili e rilassanti, anche se - come già abbiamo altrove rilevato - la penetrazione ambientale ed epocale andrebbe maggiormente spolverata sul contesto, anziché condensata come spesso accade - in un riassunto veloce di nomi, accadimenti e canzoni in apertura di capitolo. Per il resto dobbiamo dire che ci stiamo davvero affezionando a questo orso ormai cinquantacinquenne di Bordelli, che trascorre gli ultimi scampoli del '65 cercando l'assassino di un fetente usuraio trovato morto con un paio di forbici piantate nel groppone. C'è aria di neve e di regali, in una Firenze percorsa in solitudine da Bordelli, a caccia del colpevole ma anche di valide motivazioni per non spegnersi in un isolamento che lo vede, come sempre, alla ricerca di compagnie ancor più sghembe di lui: l'ex prostituta Rosa, il sezionatore di cadaveri Diotivede e altri già conosciuti esemplari di un'umanità che sta creando con garbo il piccolo mondo antico di Vichi. Non c'è vera suspense, semmai un senso diffuso di curiosità, laddove la memoria di guerra sempre presente nella mente di Bordelli va a incrociarsi con un altro caso, assai intrigante, che vede protagonista il suo giovane subalterno Piras, convalescente in Sardegna dopo un conflitto a fuoco. Da Firenze Bordelli segue il suo vivace discepolo nel caso di suicidio apparente di un pastore, che risulta invece l'ultima mossa di un gioco di morte iniziato nei giorni tragici di guerra civile del '44. Entrambi i casi verranno risolti, ma quello di Bordelli rappresenta lo scenario sconvolto di un dolore estremo, e a Natale tutti siamo più buoni, soprattutto il finto burbero Bordelli, che vede oltretutto morire in un letto d'ospedale il suo collega in pensione Barbagli. Tra dialoghi accesi di vivace - o dolente - quotidianità e un lento rincorrersi degli eventi delittuosi, vediamo crescere la sicurezza di Vichi e del suo personaggio, in un'epoca che diventa strumento narrativo, in un terreno che non è solo cronaca, ma che dalla cronaca trae gli spunti essenziali per un recupero seriale della memoria di un'Italia ormai archiviata. Marco Vichi Il nuovo venuto Guano/a pp. 429,e 15 ROMANZO

Luoghi citati: Firenze, Italia, Sardegna