Un uomo contro fino alla fine «Morirete con me»

Un uomo contro fino alla fine «Morirete con me» IL «LUPO», UNA VITA FUORI DAGLI ALTRI Un uomo contro fino alla fine «Morirete con me» A un amico poco tempo fa aveva detto: meglio la morte del carcere Nella fuga ha potuto eontare^sulHaiuto di vagabondi e emarginati Li pagavàpenf^i acgyjstar^dbp,, vestiti e m^idrgper l'e^lessia Pierangelo Sapegno , ROMA Come sempre capita, bisogna aspettare la fine per fare meglio i conti. La fine è questa qui, questo mezzogiorno fra le bancarelle nella piazza di Porta Capena, questa faccia rasata che butta sangue come da una fontana e che fa ancora paura, e il corpo steso su una barella con i lacci ai polsi e il respiro vuoto, con il suo soprannome da Lupo e il capo inerte appena reclino sulla sinistra, in mezzo a una folla di agenti e di telecamere che adesso lo accompagnano sull'ambulanza nel vociare confuso: eccola la fine, «una polo e i jeans, guardate, assolutamente normale, sembrava uno tranquillo», come lo racconta ai microfoni della tv Giorgio De Angelis, uno dei due vigili urbani che lo hanno segnalato ai carabinièri. Sarà pure tutto cosi semplice, e lui cosi banale, ma mentre lo cercavano persino in Medio Oriente, il superlatitante continuava la sua vita da barbone nel centro di Roma, con i soldi nello zaino e il sacco a pelo nelle aiuole del Circo Massimo, elemosinando un pasto caldo alla Caritas, in coda con il suo vassoio assieme a puzzoni e disperati, facendosi aiutare da tutti i perdenti e gli emarginati di una metropoh, dai tossici e dai barboni, dai senzatetto e dai senzaniente, e da quelli senza denti con i piedi nudi e neri che non si bruciano più sull'asfalto. La fine ci riporta la sua verità. Era come un barbone brutto e cattivo, il mostro che ci ammazzava la pace, uno che non ci amava, ma che noi non vedevamo neanche. Poco prima che arrivasse la fine, una signora romana aveva avvicinato i vigili urbani Giorgio De Angelis e Ivan Bianco con la sua borsa della spesa, ansimando appena un po' per la fatica e per l'orrore. Aveva detto che c'era uno lì, «un tipo brutto, troppo brutto» per essere vero, così aveva soffiato, una faccia losca, un'aria malsana, che le ricordava tanto quello che stavano cercando tutti, quello che aveva ucciso il carabiniere. De Angelis e Bianco se l'erano fatti indicare e poi l'avevano seguito. «Era lui, aveva il neo sullo zigomo». Adesso'che conosciamo la fine, possiamo anche guardare le sue foto per fare meglio i conti, così diverse da quelle che l gh hanno recuperato daDo zaino con il pizzo e gli occhiali: a 17 anni ha una faccia da romantico, i capelli folti e lo sguardo triste, quasi liquido, nero, da disperato, da far girare la testa alle ragazzine. Era in riformatorio a quell'età: piccoli furti, risse, liti. A 25 anni, i primi baffi e i capelli ricci, una faccia da rivoluzionario, un sorriso sarcastico. Aveva già un figlio. Ma non era brutto, come ha detto la ! signora. Faceva a botte per rabbia e per esistere, e anche per educazione: aveva già mandato all'ospedale un dipendente del Comune che perdeva tempo in ufficio, un vigile urbano che gli contestava un'infrazione, un automobilista che lo rimproverava per un parcheggio. Due fratelli nell'orfanotrofio, un padre sempre ubriaco che picchiava i figli come beveva, e una madre depressa che non s'alzava più dal letto. Da lì non potevano che venir fuori Luciano Liboni e la sua vita fuori dagli altri. Era uscita questa faccia e questa storia. CapeUi pochi, la malinconia della gioventù persa negli occhi del nemico. E questo era diventato, un nemico. La droga, le rapine, l'ematginazione gli avevano lasciato questa strada senza ritorno. Proprio come diceva Richard Dick Hickock al giornalista Truman Capote che io confessava prima dell'impiccagione: «Andy, Perry Smith, era un buffo ragazzo.-Era come gli avevo detto io. Non aveva rispetto per la vita umana. Neanche per la sua». Siamo un oceano lontano da Garden City, Kansas, e da quegli anni nel 1959. Ma certe figure sono eteme, esistono con noi: gli uomini contro. Luciano Liboni è così, senza rispetto per la vita umana, neanche per la sua. Però, nessuno sa parlare con gli ubriachi, i pezzenti e i cattivi senza futuro, come lui. In questi 7 giorni, dalla sparatoria vicino a Roma Termini con gli agenti della polizia a quella di ieri, a 200 metri da Circo Massimo, dove magari sarebbe andato nella sera a sentire il concerto di Simon fr Garfunkel, è riuscito a nascondersi e a esistere assieme à loro, tra l'Aventino, la zona di Anagnina e il metro per Termi¬ ni. Il maggiore Giovanni Arcangioli, comandante del nucleo operativo dei carabinieri, ha fatto capire che nella capitale Liboni ha potuto contare su amicizie fra vagabondi e barboni, «persone che probabilmente lo hanno aiutato anche in altri momenti senza sapere chi fosse», circoscritte nelle zone centrali, fra Termini e piazza Vittorio. Li pagava per farsi acquistare cibo, indumenti e medicine. Il superlatitante è un epilettico, che forse ha contratto pure la malaria in giro nei deserti, per l'Africa. Gli avevano dato anche una pensione di invalidità. Adesso aveva trovato gli amici che andavano al posto suo nei negozi dove avrebbe potuto tradirsi. Così si è cambiato, ha indossato abiti puliti e ha potuto prendere i farmaci per la epilessia. Alla fine gli hanno aperto lo zaino, che portava sempre con sé. Den¬ tro, gli hanno trovato 23 mila euro in contanti riposti in fondo, assieme a due documenti falsi. Altri diecimila li aveva nel portafogho. Aveva una carta d'identità e una patente con la sua foto sotto il nome di Franco Franchini, nato il 6 maggio 1960 ad Ancona, professione operaio. Era il nome con cui era stato ricoverato a Bagno di Romagna dopo che era caduto dalla sua moto sopra le colline di Sarsina: frattura del setto nasale e tre dita rotte. Con quella fasciatura al polso, con quell'aria lercia, puzzando come una bestia, la signora Gabriella Cicconi del bar tabaccheria di Pereto l'aveva notato e aveva chiamato i carabinieri: «C'è qui un brutto un tipo, non mi fido». L'appuntato Alessandro Giorgioni era venuto e gli aveva chiesto i documenti. «Mi segua, li tengo nella moto», aveva detto lui. E subito fuori gli aveva sparato due colpi di pistola. Agli amici l'aveva promesso: «Non tomo più in carcere. Piuttosto li porto all'inferno con me». Non aveva mai fatto molta galera: 6 mesi, per 5 anni di rapine assieme a un'amica tossicodipendente. Era uscito fra i cavilli della burocrazia. Dopo, aveva sparato a un benzinaio di Todi colpendolo alla testa, Franco Gentili, che aveva riconosciuto la macchina rubata su cui viaggiava, il 9 febbraio 2004. Il 30 marzo a Civitavecchia, a un posto di blocco della Finanza: 3 agenti feriti. A giugno, sulla Tiburtina, a Sette Camini, fra Tivoli e Roma: un carabiniere ferito. Rubava moto e le teneva dentro a un furgone bianco che non doveva registrare come un garage. Sulla Yamaha rossa era scappato da Pereto dopo aver ucciso l'appuntato. L'avevano ritrovato a Roma perché lì sapeva come nascondersi, vivendo in un anfratto con un saccoapelo e telefonando solo dai cali center come fanno gli immigrati extracomunitari. Dal bar tabaccheria Cicconi, la telefonata che aveva insospettito la signora, l'aveva fatta nello Sri Lanka, dove aveva una fidanzata e anche delle proprietà immobiliari, secondo i carabinieri. Aveva investito lì il frutto dei suoi colpi. Alcuni carabinieri era andati là a cercare la ragazza. Lui in questi giorni non l'aveva più richiamata. La cosa strana è che molte segnalazioni erano arrivate all'Arma dal mondo degli emarginati: anche i suoi amici l'avevano lasciato. «Ormai sapevamo dov'era», hanno detto ieri. L'avrebbero preso, ma lui forse pensava al concerto, come Perry Smith che poco prima che lo impiccassero si era mangiato due polli alla griglia. E quando erano venuti a prenderlo aveva detto addio al suo amico: «Ci rivediamo presto, sono sicuro. Da qualche parte». LA FAMIGLIA Il padre sempre ubriaco lo picchiava A17 anni era già in riformatorio L'AMORE Voleva scappare nello Sri Lanka dove vive la fidanzata A lei l'ultima telefonata dal cellulare SABATO 3 ROMA. I carabinieri lo fermano tra Roma e Tivoli e gli cWédorio i documénti. Ubòni risponde sparando e fuggendo LUNEDI'19 FORLÌ. Viene coinvoltp in un incidente stradale. In ospedale dà false generalità e poi si eclissa ,w LUNEDI'12 , TERNI. Ruba una moto Yamaha GIOVEDÌ'22 PERETO DI SANT'AGATA FELTRIA (^aro-Urbino) L'appuntato dei carabinieri Alessandro Giorgiorii gli chiede i documenti, Lìboni gli spara, lo uccide e fugge in moto. Comincia la grande caccia al killer ò LATINA : DOMENICA 25 ROMA. Viene trovata la moto Yamaha rubata, Comicìano le segnalazioni e i falsi avvistamenti dì Liboni in molte parti d'Italia IERI ROMA. Uboni viene individuato, bloccato è ucciso in un conflitto a fuoco con carabinieri e vigili urbani nella zona del Circo Massimo IL CURRICULUM ■ L'AUTO RUBATA A16 anni Lìboni comincia la carriera di criminale, rubando un'auto a Montef alco, vicino a Foligno. E'il 1973 M IL CARCERE MINORILE Entra in cella a 17 anni, a Firenze, per circa un anno ■ LE RISSE Torna a casa e trova un lavoro come falegname. Risse e litigi sono continui. Manda in ospedale anche un dipendente comunale ■ LA SVOLTA Nel 1990 il «salto di qualità»; i carabinieri io sospettano di i aver organizzato una serie dj furti di opere d'arte in Umbria, Toscana e Lazio. Ma non troveranno mai le prove PXE RAPINE ^-^^ SBitoi^pié'con unadf J Bonnie&Clide, f i "^ 2001 viene arrestato Condannato a 8 anni, viene rilasciato per decorrenza dei termini. Inizia una vita da randagio ■ LE SPARATORIE Nel 2002 spara alla testa a un benzianio a Todi, che lo inseguiva per un furto d'auto. Un mese e mezzo dopo, a Civitavecchia, ferisce tre guardie di finanza a un posto di blocco a L'ALTRO ARRESTO Lo trovano nel 2003 a Praga, ma viene liberato per errore prima dell'arrivo del mandato di cattura internazionale a L'ULTIMO OMICIDIO Il 22 luglio spara a bruciapelo al carabiniere Alessandro Giorgioni, che gli aveva.chiesto ■ documenti HtK3K5W»3BEKl!^««^S!C::S:2!* Alcuni dei documenti falsi utilizzati da Luciano Liboni