«Troppi pericoli Ce ne andiamo dall'Afghanistan»

«Troppi pericoli Ce ne andiamo dall'Afghanistan» L'ANNUNCIO DI «MEDICI SENZA FRONTIERE» «Troppi pericoli Ce ne andiamo dall'Afghanistan» Dopo 24 anni di attività nel Paese: l'organizzazione premio Nobe per la Pace era sopravvissuta all'invasione sovietica, ai taleban e alla guerra americana. Dal marzo 2003 uccisi più di trenta volontari Mimmo Candito La decisione, ieri, di «Médecins Sans Frontières» di abbandonare l'Afghanistan, dopo 24 anni di attività in quel Paese, è una scelta assai amara, un' aspra dichiarazione di resa il cui significato però va al di là delle ragioni della sicurezza e della tutela locale di cpiesti «dottori del mondo», ma investe il problema del ruolo che le organizzazioni umanitarie possono svolgere in un tempo nel quale gli eserciti pretendono ormai di sparare e, contemporaneamente, di dare assistenza e aiuto nel nome della democrazia. I compiti e le identità operative che fino a qualche 1 anno fa restavano ancora ben distinti, con i soldati che sono chiamati a fare la guerra e gli operatori umanitari che poi cercano di porvi un qualche rimedio, questi compiti oggi si vanno pericolosamente sovrapponenendo. Ormai (dall'Afghanistan all' Iraq) nelle nuove guerre che ignorano qualsiasi convenzione del diritto, chi vuol usare un kalashnikov, piazzare un' autobomba o tirare una cannonata anche là dove ci sono bandiere di pace, ormai può sparare nel mucchio perchè si sente autorizzato a non distinguere più gli uomini d'arme dagli uomini di buona volontà. La legge della neutralità, che la Croce Rossa aveva potuto imporre sui fronti di combattimento di tutto il mondo, guadagnadosi la salvaguardia dei suoi operatori, rischia d'essere sbattuta via dalla spregiudicatezza politica che gli eserciti e i poteri che li comandano portano sui campi di battaglia sotto la copertura di flussi informativi spesso manipolati all'interno d'una confusa routi- ne della spettacolarizzazione della comunicazione. Il tempo che si prepara rischia d'essere un tempo di barbarie, dove ciò che conta è l'asimmetria delle ragioni legitttimata dall'uso della forza e da un accorto utilizzo delle forme della mediatizzazione. L'annuncio ufficiale del ritiro di Msf da Kabul dice che la decisione è stata provocata «dagli assassini e dalle minacce», soprattutto dopo l'uccisione - un mese fa, sulla strada di Baghdis - di cinque operatori dell'organizzazione, e soprattutto dopo «la dimostrata incapacità del govemo afghano di condurre una inchiesta credibile su quell'attacco». Dal marzo 2003 sono morti più di 30 volontari, e gran parte delle regioni Sud e Sudest sono ormai off-limits per gli stranieri. Il segretario generale di Msf, Marine Buissonière, e il direttore operativo, Kenny Gluck, hanno spiegato più in dettaglio, in una conferenza stampa, «le ragioni per le quali il contesto attuale rende impossibile la continuazione dell'aiuto umanitario al popolo afghano». Sostanzialmente, una mancanza di rispetto per la sicurezza delle persone che lavorano nell'ambito degli aiuti. «Abbiamo la sensazione - ha detto Gluck - che la cornice per l'azione umanitaria indipendente in Afghanistan al momento è semplicemente svaporata». Queste ragioni sono comunque già segnalate indirettamente nelle lamentele che Msf esprime «contro il comportamento delle forze armate americane, per le decine di équipe di ricostruzione che hanno i militari come supervisori», con la conseguenza d'una «pericolosa confusione tra civili e militari». Msf è, alla pari di molte altre organizzazioni umanitarie intemazionali private (come Emergency, Care, Save the Children, Oxfam, anche Reporters Sans Frontières), una di quelle strutture d'assistenza e d'intervento che l'ampliarsi dei territori di conflitto in contesti senza reali tutele giuridiche ha ormai trasformato in un insostituibile mezzo di pronto intervento per attivare processi di contenimento dei disastri della guerra e per sviluppare le prime forme di ripresa della vita civile quando questo sia comunque possibile. Gli organismi «pubblici» conservano certamente un ruolo importante, talvolta anche essenziale, ma debbono pagare lo scotto di poter apparire come strumenti di interessi politici connessi alle ragioni della guerra; le Ong (queste Organizzazioni Non Governative) hanno invece l'orgoglio d'una dichiarata indipendenza e autonomia da ogni interesse politico di parte, e questa veste di neutralità rispetto alle forze sul terreno garantisce loro - o quanto meno garantiva - il rispetto dei due campi in conflitto. Ma, come dice Bernard Kouchner ch'è stato uno dei fondatori di Msf e uno degli uomini che più popolarità e attenzione hanno dato al lavoro delle Ong, «anche se trattiamo allo stesso modo tutti gli essere umani. amici o nemici, non per questo accettiamo i massacri come una pura evidenza sociologica. Noi siamo figli della lotta antifascista, per l'indipendenza dei popoli. Non vog iamo essere imparziali, e ci rifiutiamo di essere neutrali». Autonomia e neutralità sono categorie nient' affatto equidistanti nelle scelte concrete di Msf, che nacque nel dicembre del '71 a Parigi, quando una decina di medici francesi decise di non starsene a braccia conserte di fronte alla tragedia della guerra e della fame in Biafra e nel Bangladesh. In trent'anni, Msf è diventata un'autentica multinazionale dell'assistenza umanitaria nei c^si di emergenza, con medici e infermieri provenienti da 70 paesi e con migliaia di volontari che operano sul campo. . Consapevole degli inquinamenti che accompagnano da presso non poche delle opera¬ zioni umanitarie dell'Onu e degli organismi pubblici (privilegi, speculazione, corruzione stanno dietro le cronache del peace-keeping, dall'Iraq come dalla ex-Jugoslavia), il presidente di Msf ha l'orgoglio di sbandierare un bilancio che fa della sua istituzione «la prima associazione privata di assistenza medica, nel mondo» e anche «la più efficiente» da punti di vista amministrativo, perchè «su 100 franchi affidati a Msf, 80 vanno direttamente ai beneficiari, 7 alle spese, e 13 agli investimenti pubblicitari per la ricerca di nuovi finanziamenti». La sua storia è in fondo la storia d'una nuova sensibilità che i diritti umani si vanno guadagnando nel mondo postatomico. La sua resa a Kabul è un segnale d'allarme, un segnale lanciato alle coscienze di questo nuovo tempo della guerra senza fine. Kenny Gluck, il direttore operativo di Médecins sans Frontières, durante la conferenza stampa a Kabul

Persone citate: Bernard Kouchner, Biafra, Gluck, Kenny Gluck, Mimmo Candito, Reporters Sans Frontiã¨res