C'è un poeta sul sentiero dei Franchi di Giorgio Calcagno

C'è un poeta sul sentiero dei Franchi C'è un poeta sul sentiero dei Franchi Ernesto Ferrerò (11/1:1- \i, f.t. COME dicono stupendamente i versi di Claudel che Giorgio Calcagno ha posto in epigrafe alla sua quarta silloge poetica, il poeta è come l'ape, che ha insieme il sentimento del fiore e quello dell' esagono delle cellette dell'arnia. Libro maturato in trent' anni di lavoro, fortemente strutturato, scandito da rigorose matematiche inteme. Tre sezioni, ognuna di nove componimenti. Ad apertura, altrettante prose ritmiche che danno conto delle parole-chiave che le ispirano (ma continuamente si intrecciano anche altrove): la neve, lei, l'azzurro. La prima sezione di poesie valsusine è un omaggio alla valle e ad Almese, dove Calcagno ha le sue radici. Intensi poemetti narrativi intitolati a quel "sentiero dei Franchi" che permise a Carlo Magno di aggirare le difese dei Longobardi e di cambiare la storia italiana. Liriche d'altura, verrebbe da dire, che risalgono il limite dei boschi dei castagni per addentrarsi nell'aria fina, "lassù dove scatta la vipera/ sulla petraia che dirupa rossa/ dall'ultima morena": quel Rocciamelone "già frèid ed fioca" su cui il conte astigiano Rotario, sfuggito ai Turchi, fa voto di portare un'immagine della Madonna, perché visto dalla pianura gli appare la vetta più alta delle Alpi. È una poesia attenta alla realtà e al paesaggio che elabora valenze metaforiche e simboliche mescolando continuamente spazio e tempo, storia e presente, respiro cosmico e attenzione al quotidiano, materiali colti e popolari ("parla pà", "nen na piega"). L'idea che la regge è quella della "continuità nella trasformazione" (così Davico Bonino nella postfazione): gli ideogrammi che la vita (e la poesia) ci offrono non si possono intendere se non come rete di relazioni e di rimandi, compresenza dei segni che la Storia ha accumulato. Per questo vediamo convivere antichi guerrieri e partigiani "dai visi di barbera", frescanti medioevali e cameriere in minigonna, monaci benedettini e Tir dagli scarichi velenosi. Madonne in processione e majorettes monegasche, cappelle abbandonate e bulldozers. Pur restando fedele al rigo¬ re delle sue stilizzazioni e al pudore dei suoi senhals. Calcagno intreccia con sapienza fili assai diversi: l'antico patois franco-provenzale, il latino liturgico, l'italiano, il francese, l'inglese del marketing, il piemontese. Un'operazione che non ha nulla del cinismo irridente dei pasticci postmoderni, ma semmai ricava dai suoi calcoli combinatori un di più espressivo per restituire a vita poetica quel che abbiamo perduto, quello che non sappiamo più vedere. La seconda edizione ospita invece poemetti metropolitani, che si snodano tra un capodanno passato nella febbrile provvisorietà di una redazione di giornale, una cena all'ombra della Mole che diventa uno struggente repertorio di possibilità inesplorate, il monumento a Coppi in corso Casale, inno alla solitudine dei campioni, o i voli sul Po dei cormorani che hanno lasciato le loro malesie per venire perdere la propria identità proprio nei luoghi in cui Salgari aveva inventato un Oriente favoloso. Anche qui il sentimento di Calcagno è quello di un misurato sgomento di fronte a una ben più grave perdita di identità: la nostra, sgretola¬ ta dall'atonia morale, da un vuoto di memoria e di consapevolezza, dall'incapacità di raccordare la nostra storia a un oggi almeno decoroso: talché può concludere che "l'indifferenza è certa". Prende qui il volo la più rarefatta, cristallina sezione del libro: i nove sonetti che, tra annunci d'apocalisse e attese di palingenesi, catalogano tutto quello che potrebbe succedere "prima che l'ultimo gallo/ rinunci a cantare il mattino". Svariando su luci d'inverno, trasparenze di colori, simboli smaltati. Calcagno ci dà le sue personali "Variazioni Goldberg" all'insegna dell'azzurro: "colore dell'anima" che suggerisce dialoghi affidati ai silenzi, "misura interiore, catturabile soltanto dalla intelligenza di uno sguardo". Per questo "l'inventore dell'universo ha preferito tenere l'azzurro per sé". Al pari del celacanto dalle scaglie vetrose, il pesce fossile esposto al Museo di Scienze Naturali che era ritenuto estinto e invece continua a vivere nelle profondità delle acque tropicali, la poesia - anch'essa fossile vivente - può tornare dispiegare i suoi incantamenti proprio quando sembra che se ne siano perse le tracce. Giorgio Calcagno Sul sentiero dei Franchi Posti, di Guido Davico Bonino NlnoAragno editore pp. 102. ^12,00 P O E S

Luoghi citati: Almese