Il carcere privato dell'ex berretto verde

Il carcere privato dell'ex berretto verde WASHINGTON SMENTISCE MA PRESEDA LUI UN PRIGIONIERO IN CONSEGNA Il carcere privato dell'ex berretto verde Sotto processo in Afghanistan per torture: «Avevo l'approvazione del Pentagono» 1 i pgpgi Panin Mactrniilli salmente. L'ex berretto verde e i Donald Rumsfeld. e siamo nron- sta. Poi. durante sii interrogato- i Paolo Mastrolilli NEW YORK Jonathan Idema sostiene che lui lavorava per il Pentagono, e ha le prove per dimostrarlo. Se fosse vero, lo scandalo per gli abusi dei prigionieri prenderebbe una svolta bizzarra in Afghanistan. Idema è un ex berretto verde, cioè un membro delle forze speciali americane, ed è sotto processo a Kabul per aver creato ima prigione privata dove deteneva persone, le torturava, e conduce la sua guerra personale contro il terrorismo. Aveva due strani complici, Brent Bennett e il giornalista televisivo Edward Caraballo, più quattro afghani che facevano da interpreti, uomini delle pulizie, autisti e guardie. Idema è stato arrestato il 5 luglio scorso, dopo un breve scontro a fuoco, e dentro alla sua casa la polizia ha trovato otto persone imprigionate ille¬ galmente. L'ex berretto verde e i suoi e omplici sono finiti in tribunale, dove il procuratore Muhammad Naeem Dawari li ha incriminati per cattura di ostaggi, detenzione in una prigione privata, ingresso illegale nel paese e possesso di armi vietate. Davanti al giudice sono comparsi anche tre dei detenuti, Ghulam Sakhi, Maulavi Muhammad Siddiq, e Sher Jan, che hanno accusato i «vigilantes» di averli torturati, infilando le loro teste in secchi pieni d'acqua finché non svenivano. Quindi è arrivato il turno di Idema, che indossando una camicia con la bandiera americana cucita sulle spalle ha risposto cosi alle accuse: «Noi lavoravamo per il gruppo antiterrorismo degli Stati Uniti, il Pentagono e altre agenzie federali. Le autorità americane appoggiavano assolutamente quello che facevamo. Eravamo in contatto diretto via fax; e-mail e telefono con l'ufficio di Donald Rumsfeld, e siamo pronti a mostrare messaggi di posta elettronica, corrispondenza e conversazioni registrate per provarlo». L'ex berretto verde ha detto di aver sventato diversi attentati e di aver consejgnato parecchi sospetti terroristi alTFbi: «Li abbiamo fermati 48 ore prima che uccidessero il ministro dell'Istruzione Yanis Qanuni, mettendo una bomba nel suo ufficio. LTbi ha già interrogato diversi prigionieri, e loro hanno ammesso che volevano far saltare in aria la base di Bagram colpendola con un camion cisterna». Il Pentagono e il dipartimento di Stato hanno smentito qualunque collegamento con Idema e il suo gruppo, ma ieri il maggiore Jon Siepmann ha ammesso che le forze regolari americane avevano preso in consegna da luì almeno un detenuto. «La ragione per cui lo prendemmo era che si trattava di un sospetto terrori¬ sta. Poi, durante gli interrogatori, è diventato chiaro che era la persona sbagliata. Questo è stato l'unico contatto e ha confermato la già scarsa credibilità dell'accusato». Può darsi che sia andata davvero così, ma l'episodio confermerebbe che gli americani sapevano delle attività di ìdema, almeno inizialmente le hanno tollerate, e hanno collaborato con luì finché non si è dimostrato inaffidabile. Questa storia del Rambo in guerra privata contro al Qaeda e i taleban rischia di danneggiare ancora l'immagine del Pentagono, già sotto accusa per le torture nel carcere dì Abu Ghraib. Proprio ieri un rapporto del generale Paul Mikolashek ha rivelato che gli investigatori militari hanno accertato almeno 94 casi dì abusi tra le prigioni dell'Iraq e dell'Afghanistan. Più dì quanti se ne aspettavano, se le violenze fossero state davvero casuali e non sistematiche. So salmente. L'ex berretto verde e i galmente. L'ex berretto verde e i suoi e omplici sono finiti in tribunale, dove il procuratore Muhammad Naeem Dawari li ha incriminati per cattura di ostaggi, detenzione in una prigione privata, ingresso illegale nel paese e possesso di armi vietate. Davanti al giudice sono comparsi anche tre dei detenuti, Ghulam Sakhi, Maulavi Muhammad Siddiq, e Sher Jan, che hanno accusato i «vigilantes» di averli torturati, infilando le loro teste in secchi pieni d'acqua finché non svenivano. Quindi è arrivato il turno di Idema, che indossando una camicia con la bandiera americana cucita sulle spalle ha risposto cosi alle accuse: «Noi lavoravamo per il gruppo antiterrorismo degli Stati Uniti, il Pentagono e altre agenzie federali. Le autorità americane appoggiavano assolutamente quello che facevamo. Eravamo in contatto diretto via fax; e-mail e telefono con l'ufficio di Donald Rumsfeld. e siamo nron- Donald Rumsfeld, e siamo pronti a mostrare messaggi di posta elettronica, corrispondenza e conversazioni registrate per provarlo». L'ex berretto verde ha detto di aver sventato diversi attentati e di aver consejgnato parecchi sospetti terroristi alTFbi: «Li abbiamo fermati 48 ore prima che uccidessero il ministro dell'Istruzione Yanis Qanuni, mettendo una bomba nel suo ufficio. LTbi ha già interrogato diversi prigionieri, e loro hanno ammesso che volevano far saltare in aria la base di Bagram colpendola con un camion cisterna». Il Pentagono e il dipartimento di Stato hanno smentito qualunque collegamento con Idema e il suo gruppo, ma ieri il maggiore Jon Siepmann ha ammesso che le forze regolari americane avevano preso in consegna da luì almeno un detenuto. «La ragione per cui lo prendemmo era che si trattava di un sospetto terrori¬ sta. Poi. durante sii interrogato- sta. Poi, durante gli interrogatori, è diventato chiaro che era la persona sbagliata. Questo è stato l'unico contatto e ha confermato la già scarsa credibilità dell'accusato». Può darsi che sia andata davvero così, ma l'episodio confermerebbe che gli americani sapevano delle attività di ìdema, almeno inizialmente le hanno tollerate, e hanno collaborato con luì finché non si è dimostrato inaffidabile. Questa storia del Rambo in guerra privata contro al Qaeda e i taleban rischia di danneggiare ancora l'immagine del Pentagono, già sotto accusa per le torture nel carcere dì Abu Ghraib. Proprio ieri un rapporto del generale Paul Mikolashek ha rivelato che gli investigatori militari hanno accertato almeno 94 casi dì abusi tra le prigioni dell'Iraq e dell'Afghanistan. Più dì quanti se ne aspettavano, se le violenze fossero state davvero casuali e non sistematiche. 1 i i