E ora la maggioranza rischia lo scontro sulle riforme di Ugo Magri

E ora la maggioranza rischia lo scontro sulle riforme LE ACQUE PER IL GOVERNO RESTANO AGITATE E ora la maggioranza rischia lo scontro sulle riforme Silenzio di Berlusconi. Riforme, duello Udc-Leqa. Prodi: crisi in Parlamento Ugo Magri ROMA Umberto Bossi non vuole legare il proprio nome «al fallimento delle riforme», d'ora in avanti intende serbarsi «le mani lìbere e occuparsi della Lega». Per cui, dopo aver tenuto alta la tensione durante l'intero weekend, sì è dimesso da ministro e da deputato. Manterrà il seggio all'Europarlamento di Strasbuigo, dove recarsi è faticoso, ma nessuno richiede una presenza partìcolannente assidua, specie se le condizioni di salute non sono buone. Le dimissioni del ministro delle Riforme sono state accettate da Carlo Azeglio Ciampi. H Presidente della Repubblica ha già firmato il relativo decreto. Ancora pochi mesi fa un addìo di Bossi avrebbe squassato il governo, per Silvio Berlusconi sarebbe stata la fine. Ieri invece, da parte del premier, il congedo non è stato accompagnato neppure da una dichiarazione di rammarico. Silenzio da Villa La Certosa, in Sardegna, dove il Cavaliere si rifugia quando può. Come pure ha taciuto Gianfranco Finì, anche luì al mare, e si è cucito la bocca Marco Follinì che proprio ieri ha deciso il rovescio dì Bossi: resterà alla Camere anziché a Strasburgo. Tutti si sono accontentati dì apprendere, dal comunicato diffuso al termine del Consiglio federale, che (da Lega Nord non intende far cadere il governo» poiché Bossi (dia deciso di dar fede alla parola data». L'hanno inteso come un via libera. Vi hanno scorto una scelta personale (la malattia) più che una censura pohtìca. Palese nella maggioranza la voglia di minimizzare, laddove è tutto interesse dell'opposizione affondare il coltello. Per il centrosinistra, Berlusconi dovrebbe andarsene subito a casa. L'hanno ripetuto in coro, da Luciano Violante a Piero Fassino, da Rifondazione comunista alla Margherita. Poi sì è saputo che Prodi ha sentito al telefono tutti i leader, con i quali ha concordato la linea, espressa in serata in un comunicato: «L'intero centrosinistra considera che la decisione di Bossi costituisce un atto di profondo significato politico e un chiarissimo segno della crisi sempre più grave della maggioranza». Nei colloqui è emersa l'indicazione dì richiedere al governo dì riferire con urgenza al Parlamento. Ma parrebbe fiato sprecato. Non ci sarà alcuna crisi di governo, sebbene Bossi sia il quarto grosso calibro a congedarsi dopo Renato Ruggiero (Esteri), Claudio Scajola (Interno) e Giulio Tremontì (Economia). Anche stavolta, come nei casi precedenti, si procederà con la tecnica soft del rimpasto. Non risulta che il Quirinale abbia sollevato obiezioni procedurah. Anzi, è già pronto il sostituto sulla poltrona dì ministro delle Riforme. Si tratta di Roberto Calderolì, numero due della Lega (è il coordinatore nazionale nonché vicepresidente del Senato) talmente sicuro del fatto suo che ieri scommetteva: «H successore? Sarò io». In effetti sarà proprio luì perché Bossi così ha deciso, ma se Calderoli avesse tenuto a fieno la lingua (notano a Palazzo Chigi) sarebbe stato megho. Come inizio, aggiugono, non c'è male. Oltretutto, non è nemmeno chiaro quando avverrà la nomina. Qualcuno dice oggi, ma potrebbe tardare, poiché prima la Lega aspetta un segnale: vorrebbe che entro venerdì la riforma federalista venisse licenziata in Commissione alla Camera, laddove l'Udc ha presentato una sfilza dì emendamenti per mandarla a gambe per aria. In quel caso sì che Bossi prenderebbe cappello. E dunque, qualora il partito di Follinì dovesse silurare la riforma federalista, altro che Calderoh ministro... Chi pensa che la pohtìca sia ormai in vacanza, è fuori strada e allacci le cinture: nei prossimi giorni sì annuncia grande agitazione. Giovedì è in calendario alla Camera il voto sulla riforma delle pensioni, la Lega non intende votarla (sebbene sia frutto della fatica di Bobo Maroni). 0 megho: la voterebbe se nel frattempo avesse incassato il federalismo. Ma, come sì è detto, non c'è l'atmosfera adatta. E se dovesse saltare la riforma delle pensioni, anche ì conti economici andrebbero a rotoli perché (sospirano a Palazzo Chigi) «tutto sì tiene»; dunque tornerebbe in altissimo mare il Dpef, dove si tracciano le linee guida dì pohtica economica per gh anni a venire. Un terremoto che i «berluscones» sperano di scongiurare, confidando in un colpo d'ala del sohto Casini. Al premier sono giunte voci di un passo del presidente della Camera, che rimanderebbe il federalismo a settembre confidando in qualche cavillo regolamentare. In realtà non è così. Casini se ne tiene ben fuori, non ha escogitato alcun cavillo e lo scontro sì annuncia inevitabile. La crisi, dunque, questione di giorni? Non è detto. Gh strateghi De hanno fatto due conti, scoprendo che in commissione Affari costìtuzionah la devolution può essere approvata anche senza i voti Udc. Che così mostrerebbe dì tener duro, senza però impedire alla riforma di marciare avanti. Manovra rischiosa, però: un'assenza nella maggioranza, e succede il patatrac. Anche sulle pensioni il Carroccio e i centristi sono su posizioni lontane E in settimana bisogna votare

Luoghi citati: Roma, Sardegna, Strasburgo