NEOCON avviso di sfratto

NEOCON avviso di sfratto UN CLAN POLITICO IN DECLINO, DOPO AVERE DETTATO LEGGE PER DUE ANNI ALLA CASA BIANCA: PER KERRY (E PER LA SINISTRA EUROPEA) È GIÀ UNA VITTORIA NEOCON avviso di sfratto Lucia Annunziata WASHINGTON N" EL pieno della loro parabola in crescita, cominciarono a riferirsi a se stessi come a Vulcano, il Dio che forgia le armi. Denominazione con cui li ha poi resi famosi James Mann in un popolare libro a loro dedicato, e molto copiato all'estero: La nascita dei Vulcano. Robert Kagan, uno di loro, nel suo più rilevante libro. Power and Paradise, ha descritto la politica estera con due figure: l'Europa è Venere, Marte è l'America. Tanta, come si vede, la passione grecista dei neoconservatori americani, popolarmente conosciuti attraverso la semplificazione «neocon». Una passione che ha prodotto un piccolo paradosso: durante una delle amministrazioni culturalmente più strapazzate della storia degli Stati Uniti - iperbohca l'incapacità del Presidente di pronunciare nomi stranieri - a Washington si è sviluppato una sorta di Greek Revival, che ha introdotto nel lessico politico miti e metafore prese in prestito dalla cultura classica. La passione grecista dei neocon non è un caso: è anzi la chiave per capire la loro identità. E la loro identità ha costituito la ragione prima della loro fortuna e oggi del loro declino. Perché, a dispetto della loro estrema popolarità nei circuiti politici, a dispetto della influenza che hanno esercitato sul Presidente Bush, a dispetto del successo da loro raccolto nell'imporre la guerra (o meglio: la forza, direbbero loro) come strumento del controllo del mondo, pure in due brevi anni il loro ruolo si è logorato. I Vulcano hanno prodotto armi per una sola guerra, quella dell'Iraq, che gli è stata fatale. Se vincesse Bush, a novembre, una loro dipartita dall'Amministrazione è considerata un dato di fatto. E per i Democratici di Kerry, come per la sinistra e i governi europei che dei neocon hanno fatto, non senza ragioni, una ossessione, questo loro declino è già una vittoria. Torniamo dunque un attimo alla Grecia e a questa identità. In Italia è un bel (e per molti versi discutibile) libro. Lo strappo atlantico di Rita Di Leo (Laterza), ad afferrare bene il fenomeno identitario: «D primo passo della rivoluzione neoconservatrice è stato scegliere Platone, Tucidide, Machiavelli e Hobbes al posto dei modelli econometrici. Il grande pensiero classico preilluminista è stato usato da un lato contro l'approccio empirico delle scienze sociali americane e dall'altro contro gli esangui epigoni delle teorie postilluministe, postmandste, postsocialiste, contro i liberals alla Rawls». Alle spalle di questo orientamento c'è il mfiirefisfnt maestro riconosciuto dei neocon, il filosofo Leo Strauss, ebreo tedesco immigrato negli anni Trenta, cultore di filosofia greca. Un pensatore europeo. Un pensatore la cui filosofia si definisce alla luce della catastrofi di quel Novecento da cui fugge, come ebreo e come cittadino: per Leo Strauss conta soprattutto nella tragedia tedesca l'esperienza della Repubblica di Weimar, conta insomma l'uso scriteriato della democrazia. Tucidide , Machiavelli, Nietzsche, Maimonide sono i suoi riferimenti, contro Weber, Schmitt, Heidegger. Al centro del suo insegnamento è Platone. E alla lezione di Platone «nobili menzogne al popolo, guerra ai nemici», Rita Di Leo ascrive la struttura del ragionare neocon: il Platone cui si ispira il più importante degli allievi di Strauss, Allan Bloom che è poi il riferimento generazionale, nonché maestro diretto (Wolfowitz è tra i suoi allievi) dei neocon. E come un neoPlatone Bloom è descritto da Saul Bellow nel romanzo Ravelstein, mentre da tempo i democratici americani gli hanno affibiato l'etichetta di «padrino fascista dei neocon». Cosa c'è in questo profilo di davvero rivelatore? L'origine europea di questo ragionare, combinata all'origine da profughi. Molti dei neocon, anche se non tutti, sono ebrei. Identità che non è sfuggita né al mondo arabo né agli europei, e che certamente ha avuto un ruolo centrale nella formulazione della poUtica estera Usa di questa Amministrazione: non a caso, ad esempio, l'establishment repubblicano, di cui Bush senior faceva parte, con i suoi uomini Wasp, di cui il più famoso è ancora oggi James Baker, è sempre stato filoarabo, soprattutto per questioni petrolifere. Mentre con Bush figlio è avvenuta una sorta di rivoluzione copernicana che ha messo Israele al centro della politica americana all'estero. «La parte più intrigante di questa esperienza», scrive la Di Leo, «è che questo è un pensiero europeo che si rivolta contro gli europei»; ed è questa forse anche la ragione della fascinazione con cui U si è seguiti in Europa. Tuttavia è proprio l'essere ebrei e profughi di origine che segna di più il cambio. I profughi europei ebrei sono ancora oggi il ceppo più forte dei democratici. La rivoluzione dei neocon è una rottura con questa eredità. Il prefisso «neo» è indicazione proprio del fatto che essi sono «nuovi» a destra, e vi arrivano partendo spesso da posizioni democratiche, per approdare - con tutto il fanatismo del caso, bisognerebbe aggiungere - alla critica a Voltaire e Marx e Lenin. È un percorso per altro non unico. Il revisionismo del pensiero del '900 ha percorso anche l'Europa, dagli anni 80 in poi. E la stessa Italia può vantare forse uno dei più esemplari, secondo questo profilo, neocon: l'esperienza di Giuliano Ferrara e del suo Foglio. Un percorso cui Ferrara, raggiunto ieri al telefono, non si ritiene estraneo, appunto, indicando anche lui in Strauss la radice della sua riflessione, «anche se l'ho incontrato per caso e indipendentemente», precisa. Tuttavia, questa esperienza in America diviene più platealmente di successo, ma anche più platealmente fragile per un ultimo elemento: negli Usa questo gruppo è una minoranza assoluta nel proprio ambiente. Intanto è un gruppo piccolo. Richard Perle, uno del gruppo, recentemente in Italia scherzava in merito: «Di neocon ne conosco solo sei». In una brevissima e feroce biografia intitolata AZZ in the Neocon Family, Jim Lobe scrive per AlterNet che in realtà essi sono «un esteso clan di mogli, figli, amici che si conoscono da generazioni». L'albero familiare che disegna è, in verità, molto interessante. A partire da Irving Bristol, noto intellettuale «democratico» che lavorò per la Cia contro l'Unione Sovietica, sposato a ima famosa studiosa, Gertrude Himmelfarb, che con i suoi lavori sulla Gran Bretagna vittoriana ha ispirato i neocon in merito al «conservatorismo com- jassionevole». È loro figlio Wiliam Bristol, direttore del periodico guida dei neocon Weekley Standard nonché fondatore del Project for the New American Century (Pnac) in cui si è formulata l'alleanza fra la destra repubblicana, come Cbeney e Rumsfeld, la destra cattolica di Gary Bauer e William Bennett e i neocon. La sede del Pnac è nello stesso palazzo dell'American Enterprise Institute che è la fondazione di studi neocon per eccellenza, dove lavora tra l'altro Michael Ledeen. Richard Perle è stato un allievo di Irving Bristol, e ha sposato la figlia di un altro suo professore all'Università di Chicago, Alfred Wohlstetter, che è stato anche il professore di Paul Wolfowitz: ed è proprio attraverso Wohlstetter che i due allievi arrivano a Washington circa 30 anni fa. Un'altra connessione familiare passa per la moglie di Cbeney, Lynne, a sua volta una neocon, alla cui influenza si fa risalire la scelta da parte di Cbeney di Victoria Nuland come vice alla Sicurezza nazionale. E chi è la Nuland? È la moglie di Robert Kagan, lo scrittore m Power and Paradise. E qui ci fermiano, tanto la teoria è dimostrata. ' Questo giro di relazioni è importante perché fa capire la debolezza dei neocon: «Essi non sono un movimento politico, ma solo un piccolo clan molto unito», conclude Jim Lobe. Questa natura intellettual-familiare (ma anche su questo, non viene da pensare al giro che ruota intorno al Foglio, in particolare?) ha servito bene la loro ascesa al potere, nella loro specifica natura di platonici «consiglieri del sovrano» (Ferrara, ancora?). Ma oggi che il «sovrano» è in difficoltà, la posta è troppo alta per il sovrano stesso e loro sono troppo piccoli: per cui si ritrovano senza alleanze. La loro testa è ora già sulla scrivania del sovrano (si perdoni di questi tempi la metafora della decapitazione, ma non si può nemmeno dimenticare che la decollazione, a partire da San Giovanni e finendo alla Rivoluzione Francese, è sempre stata una pratica poUtica). In fondo, la loro piccolezza numerica li rende il prezzo più facile da pagare per il fallimento in Iraq. A Washington non se ne fa mistero, anche se la notizia è formulata con tipico linguaggio politico. Delle opinioni raccolte, forse le più interessanti sono quelle che vengono dalle strutture proprie del potere. Ad esempio Kurt Volker, direttore della Sezione Nato presso il National Security Council, che incontriamo nello storico edificio del vecchio Dipartimento di Stato accanto alla Casa Bianca, dice, riferendosi al recente vertice Nato di Istanbul: «È evidente che c'è un ripensamento sulle alleanze con l'Europa. Prima l'Amministrazione è andata da sola, con la parola d'ordine "coalition fit the mission", coalizioni formulate apposta per la missione. Ora si sta purgando dei suoi errori». Gli fa eco Karen Donfiiend, dello staff di «Policy Planning» di Powell, che incontriamo proprio a Foggy Bottom: «La celebrazione dello sbarco americano in Normandia con tutti i leader insieme è stato il segno di un cambio di clima e di idee. Il Segretario Powell oggi non ha problemi a dire che abbiamo avuto un mese e mezzo di splendide relazioni Transatlantiche». Goodbye dunque all'unilateralismo, good bye Esercizio Solitario della Forza. Wolfowitz e Rumsfeld sono dati su questa linea sicuramente fuori, dunque. Ma, ancora più delle chiacchiere di Washington, il declino dei neocon è nei fatti. È scritto 1) nel ritomo Usa all'Onu per l'Iraq; 2) nella richiesta di aiuto militare alla Nato, che ha di fatto riaperto le relazioni con l'Europa anche in via ufficiale; 3) nella ammissione da parte dei comandi militari che l'esercito Usa è pericolosamente al limite del suo impiego; 4) nel ricorso alla Cina per mediare con la Corea del Nord; 5) nella riapertura delle relazioni con la Libia. Tutti atti di straordinaria Realpolitik, altro che ideologia sul diritto unilaterale americano. E forse non è un caso che proprio sulla scia di questa Realpolitik è tornato in scena, con la sua voce e il tocco delicato, James Baker. Altro che centralità di Israele. Il tutto siglato da un ripensamento dello stesso Kagan che in un editoriale per il iVew Yoilc Timès ha scritto di recente: «L'America, per la prima volta dalla seconda guerra mondiale, sta soffrendo una crisi di legittimità intemazionale. Gli americani non possono ignorare ilproblema». E con questo epitaffio lasciamo i neocon, la cui ascesa e declino rimane comunque una splendida parabola politica dei nostri tempi. C'è chi pensa, a Washington, che non è esclusa a questo punto una nuova trasmigrazione verso i Democratici di alcune delle idee neocon. Ipotesi improbabile sulla carta. Nei fatti, tuttavia, la principale idea dei neocon, cioè l'idea che la Forza è uno degli strumenti politici della gestione dell'Impero, è così ormai incastonata nel sistema die non andrà via con loro. [Fine. Le precedenti puntate sono uscite l'I 1 e il 15 luglio] Si sono rappresentati comeVulcanoJldio che forgia le armi, hanno imposto la guerra come strumento per controllare il mondo. La campagna in Iraq è stata fatale, ma l'idea che la Forza sia essenziale nella gestione dell'Impero è ormai così incastonata nel sistema che non andrà via con loro VERSO LA CONVENTION DEMOCRATICA E A sinistra Robert Kagan, Intellettuale di punta dei neocon, che In Power and Paradise accosta l'Europa a Venere, l'America a Marte. Sopra La fucina di Vulcano, dipinto Paolo De Matteis (1662 -1728). Nell'immagine grande il viceministro della Difesa Paul Woifowltz In visita alle forze Usa a Tikrit: con Rumsfeld è stato un fervente fautore dell'esercizio solitario della forza