«Così s'addestrano le cellule nervose» di Grazia Longo

«Così s'addestrano le cellule nervose» SU «NATURE» LA SCOPERTA DEI RICERCATORI DI MOLINETTE E CTO «Così s'addestrano le cellule nervose» Per la prima volta al mondo è stato dimostrato che sull'uomo i neuroni che sovraintendono al sistema motorio reagiscono all'effetto placebo Grazia longo Il risultato positivo dell'effetto placebo - la sensazione di benessere attraverso una suggestione psicologica - è noto da tempo. Ma oggi possiamo affermare con certezza cbe si tratta di una realtà biologica. Che le cellule nervose possono essere condizionate. Nel sens.o che possono apprendere un comportamento, una reazione. Possono, insomma, essere addestrate. La scoperta è il frutto della collaborazione tra il dipartimento di Neuroscienze dell'Università di Torino - 1" Divisione universitaria di Neurologia dell'ospedale Molinette, diretta dal professor Bruno Bergamasco, al suo fianco sono impegnati il professor Leonardo Lopiano e il professor Fabrizio Benedetti - e della Divisione di Neurochirurgia del Cto (di cui fanno parte i neurochirurghi Michele Lanette e Antonio Melcame ). Una rivelazione di straordinaria importanza - non a caso è stata pubblicata sulla rivista americana Nature, la più prestigiosa al mondo in campo medico scientifico - emersa negli studi per curare il morbo di Parkinson. Vediamo come. Durante un intervento chirurgico - su un campione di 23 pazienti - per l'applicazione di elettrodi che collegano l'attività dei neuroni ad un pacemaker al cuore è stato possibile registrare l'attività neuronale, la reazione dei neuroni legata all'attività motoria. Il risultato è sconvolgente: la risposta dei neuroni è la stessa sia che vengano somministrati farmaci per potenziare la dopamina (carente nei parkinsoniani), sia che al loro posto venga iniettata della semplice soluzione fisiologica, dell'acqua tanto per intenderci. «Le singole cellule nervose che sovraintendono il sistema motorio reagiscono all'effetto placebo - ribadisce il professor Bergamasco -, ed è la prima volta al mondo che il fenomeno viene provato su un essere umano». Una novità che non solo arricchirà la futura ricerca neuroscientifica, approfondendo sempre di più i processi dell'apprendimento umano e del funzionamento neuronale, ma che molto probabilmente avrà delle conseguenze anche sul piano farmaceutico. «È evidente che anche su questo fronte - interviene il professor Lopiano - gli studi sui nuovi medicinali dovranno tenere maggiormente in conto la loro resistenza all'effetto placebo». Da qui a dire che la terapia farmacologica è vanificata dalla suggestione psicologica ce ne passa - gli stessi esperti stigmatizzano «sull'importanza dei farmaci» - ma apre sicuramente le porte a una nuova prospettiva neurofisiologica. Intanto la novità potrà aver notevoli ricadute cliniche, tra cui l'utilizzo a scopo terapeutico dell'effetto placebo per potenziare l'azione dei farmaci e portare ad altri approcci farmacologici in grado di aumentare la biodispombilità di dopamina, il neurotrasmettitore chimico carente nella malattia del Parkinson. Ma torniamo agli aspetti già individuati. La scoperta torinese è avvenuta attraverso la microregistrazione dell'attività elettrica cerebrale lungo la traiettoria che porta al posizionamento dell'elettrodo stimolante. «È stato cioè possibile registrare l'attività elettrica del nucleo subtalamico prima e dopo placebo spiegano il professor Bergamasco e il professor Lopiano -, dimostrando una netta differenza della frequenza di scarica dei neuroni nei pazienti responsivi al placebo. Era inoltre presente una chiara correlazione clinica tra modificazioni elettriche e miglioramento del paziente». A rafforzare ulteriormente l'esito torinese è la valutazione in cieco sia da parte di un neurologo sia dal paziente stesso. «In alcuni casi né il medico né il malato erano stati informati dell'utilizzo della soluzione fisiologica al posto del farmaco. Ma la ripresa del paziente si è comùnque verificata». Da sinistra, il professor Leonardo Lopiano e il professor Bruno Bergamasco