Il più copiato di tutti i tempi

Il più copiato di tutti i tempi ORIGINI, STORIA, ROVINE E RICOSTRUZIONI DEL PARTENONE, ALLA VIGILIA DEI GIOCHI OLIMPICI DI ATENE Il più copiato di tutti i tempi Mary Beard QUANDO nel 1904 Sigmund Freud visi-. tò per la prima volta il Partenone, fu sorpreso nello scoprire che esso esisteva davvero, «proprio come abbiamo imparato a scuola». Freud aveva avuto bisogno di un po' di tempo per trovare la forza di nervi necessaria a quella visita: egli ci ha lasciato un vivido racconto delle ore inquiete trascorse a Trieste, indeciso se prendere il vapore per Atene o veleggiare verso Ccrfu, come aveva progettato in un primo momento. Quando finalmente arrivò e salì alle rovine dell'Acropoli, la gioia si mescolò allo shock. Fu come se - così egli confezionò in seguito la storia - camminando lungo il lago di Loch Ness avesse scorto il leggendario Mostro arenato sulla riva e fosse stato quindi spinto ad ammettere che, dopo tutto, non si trattava soltanto di un mito. «Esso esiste veramente». Non tutti gli ammiratori del Partenone hanno avuto il coraggio di seguire Freud. Tra coloro che erano impreparati ad affrontare il rischio di vedere in prima persona ci fu Werner Jaeger, rinomato studioso del mondo classico degli inizi del XX secolo e appassionato sostenitore del potere umanizzante dell'antica cultura greca. Jaeger si spinse fino ad Atene almeno una volta, ma rifiutò di arrampicarsi alle rovine del tempio, temendo che la «cosa reale» non fosse all'altezza delle sue aspettative. Jaeger non avrebbe dovuto preoccuparsi. Ben pochi turisti, negli ultimi duecento anni e oltre, sono stati riluttanti a farsi impressionare dal Partenone e dalla sua teatrale ambientazione sull'Acropoh ateniese. Intrepidi viaggiatori del tardo XVIII secolo sfidarono guerre, banditi e insetti alquanto molesti per gettare il loro primo sguardo sulla «reale» architettura e scultura greca; una vera e propria schiera di politici e superstar culturali, da Bernard Shaw a Bill Clintoii, ha gareggiato per essere fotografata, con occhi umidi, tra le colonne del Partenone; torpedoni di visitatori giomaheri, in numeri sempre crescenti, fanno del Partenone il cuore del loro pellegrinaggio ateniese, entusiasticamente aggrappati alle minuzie archeologiche rigurgitate dalle loro guide. Sappiamo che i turisti sono scaltri e abili nel convincersi che si stanno divertendo, ed è noto che il condizionamento culturale a farsi impressionare, almeno retrospettivamente, da ciò che si ritiene dovrebbe impressionare può essere quasi irresistibile. Tuttavia, accade spesso che persino la contemplazione delle più celebrate meravi- glie della cultura mondiale risulti venata di delusione, quando ce la troviamo di fronte: la Gioconda suscita irritazione per quanto è piccola; e le Piramidi avrebbero molta più atmosfera se non si trovassero all'estrema periferia del Cairo, e se il loro sito non fosse per giunta dotato, in modo un po' troppo mondano, di un locale di Pizza Hut. Non è così per il Partenone. Malgrado i molti ostacoli - il sole implacabile, la folla, i burberi guardiani che suonano i loro fischietti per richiamare chiunque cerchi di deviare dall'itinerario obbligato e, da oltre un decennio, lo sbarramento delle impalcature - l'effetto del Partenone sembra funzionare quasi per tutti, quasi sempre. A prima vista, dunque, la storia moderna di questo monumento è una storia raccontata con entusiastici superlativi. Il tono fu impostato nel XV secolo da un intraprendente uomo d'affari di Ancona, che nelle funzioni di diplomatico pontificio visitò Atene nel 1436: nell'enorme massa di «incredibib edifici di marmo [...1 quello che mi ha dilettato più di ogni altro - egli scrisse - è stato il grande e meravighoso tempio di PaJlade Atena sulla sommità più alta della rocca cittadina, divina opera di Fidia, che ha 58 colonne svettanti, ciascuna di sette piedi di diametro, ed è splendidamente adomato su tutti i lati con le più nobili immagini». Scrittori e critici successivi hanno cumulato elogio su elogio. Forse prevedibilmente, i visitatori appassionati di antiquaria del tardo XVIH secolo e degli inizi del XIX sproloquiavano sulla «mirabile simmetria» del Partenone, sulla sua «superba struttura» e sull'«armonioso equilibrio delle sue proporzioni». Perché girarci tanto intorno? «Esso è il più incomparabile trionfo di scultura e di architettura che il mondo abbia mai visto», fu la sicura conclusione di Edward Dodwell nel 1819, appena rientrato da tre viaggi in Grecia. Un centinaio d'anni dopo, Le Corbusier, il più famoso profeta del modernismo del XX secolo, si muoveva entro questo stesso solco quando fondò sulla perfezione assoluta del Partenone la sua nuova visione dell'architettura. «Nulla di simile è mai esistito in nessun luogo e in nessuna epoca», scrisse nel suo manifesto Verso una nuova architettura (illustrato con una ventina di fotografie e disegni dell'edificio, alcuni giustapposti in modo memorabile al suo analogo moderno, l'automobile, come in un trionfo del design). In un'altra occasione egli affer¬ mò, con toni più tipicamente modernisti: «Un'immagine chiara resterà nella mia mente per sempre: il Partenone, severo, spoglio, economico, violento, un grido clamoroso contro un paesaggio di grazia e di terrore». * » * Quasi inevitabilmente, all'entusiasmo ha fatto seguito l'emulazione. Da una parte all'altra del mondo occidentale possiamo trovare cloni del Partenone in tutte le dimensioni e in tutti i materiali, adattati a una gamma sconcertante di funzioni: da miniaturistici gemelli d'argento per camicie, a tostapane postmoderni (l'ultimo esemplare negli utensili da cucina è del 1996, e si deve allo scultore Darren Lago), fino a vere e proprie repliche praticabili a grandezza naturale. La più pomposa è il Walhalla nei pressi di Regensburg in Germania, frutto dell'immaginazione di Ludwig I di Baviera e inteso come un «monumento dell'unità germanica». La maggior parte dei progetti proposti a Ludwig si basava, in un modo o nell'altro, sul Partenone. Ma la commessa alla fine andò a un vasto complesso opera dell'architetto Leo von Klenze, collocato sulla sommità di una boscosa «Acropoli», in stile bavarese: l'esterno un Partenone dilatato, l'interno una stravaganza teutonica, completa di Valchirie e busti di Tedeschi illustri, da Alarico a Goethe (e ora fino a Konrad Adenauer e oltre). Non tutti i progetti giunsero a una realizzazione tanto sontuosa. Nel 1816 la città di Edimburgo, ottimisticamente soprannominata l'Atene del Nord, fu incoraggiata nientemeno che da Lord Elgin a commemorare la battaglia di Waterloo con un sosia del Partenone da costruirsi su Galton Hill: ma erano state erette appena una decina di colonne quando nel 1829 le risorse si esaurirono. Da allora, quelle colonne sono rimaste in piedi come orgoglio, o come disgrazia, di Edimburgo, e i progetti di alta tecnologia per portare a compimento l'opera con vetro e laser, quasi uno sguardo rivolto al nuovo millennio, sono stati clamorosamente rifiutati dalla comunità locale. Quando, nel XIX e agli mizi del XX secolo, la mania dello stile classico invase gli Stati Uniti d'America, il Partenone fu resuscitato nella forma di un'intera serie di edifici governativi, banche e musei. Il posto d'onore, almeno per l'accuratezza della ricostruzione (ritenuta esatta fino ai tre millimetri di approssimazione), va al Partenone di Nashville, Tennessee, l'Atene del Sud, come talvolta le piace essere definita. Esso nacque come un padiglione di legno, malta e mattoni, costruito in occasione dell'Esposizione per il centenario del Tennessee nel 1897. La gente di Nashville vi si affezionò a tal punto che la struttura rimase sul posto molto a lungo dopo la fine delle celebrazioni, per essere quindi ricostruita in muratura negH Anni Venti; la sua massiccia statua della dea Atena, alta 13 metri, ima replica di quella che si ritiene si trovasse un tempo nell'edificio originale di Atene, fu infine inaugurata nel 1990. Questo Partenone raggiunse un più vasto pubblico intemazionale grazie al film di Robert Altman, Nashville, con la sua epica satira della pacchianeria del sogno americano, dello sìiow business e della politica. « « » H ParteTume ormai noti ai trova soltanto ad Atene. Repliche a parte, una porzione consistente delle sculture che decoravano il monumento originale del V secolo a. C. (per non parlare di alcuni capitelli e di altri frammenti architettonici dispersi) è attualmente sparpagliata nei musei d'Europa. Quasi la metà delle sculture è conservata ad Atene: non sul Partenone stesso - come ai tempi di Byron - ma in musei e magazzini nei paraggi, al riparo dal famigerato inquinamento ateniese. La maggior parte del rimanente si trova nel British Museum di Londra, per concessione di Thomas Bruce, settimo conte di Elgin, che la vendette al governo britannico nel 1816, insieme con oltre 75 metri del famoso «fregio» scolpito, che una volta correva intomo all'intero edificio, e inclusi 15 dei 92 pannelli scolpiti (o «metope»), che erano originariamente esposti in alto al di sopra deUe colonne, e 17 figure a grandezza naturalo, che in passato si trovavano nei timpani (o «frontoni»). Ma mi gruppo notevole di pezzi si trova anche a Parigi: esso comprende una metopa e una lastra del fregio acquistate ad Atene intorno al 1780 da un fanatico collezionista aristocratico, sequestrate dai rivoluzionari francesi e oggi in mostra al Louvre. Vari pezzi scompagnati e più piccoli si trovano inoltre a Copenaghen, Wùrzburg, Palermo, Roma, Heidelberg, Vienna, Monaco e Strasburgo, per lo più letteralmente trafugati dai primi visitatori dell'Acropoli. * * * Quando visitiamo il Partenone, ad Atene o al British Museum, non scopriamo soltanto un capolavoro della Grecia classica; in fondo, esiste un discreto numero di templi classici, più grandi e meglio conservati di questo, che non ha mai suscitato una simile attenzione. Seguiamo anche i passi di tutti coloro che lo hanno visitato prima di noi (è per questa ragione che voghamo anche le nostre fotografie scattate in quel luogo...); epaghiamo il nostro tributo a un simbolo che è stato inscritto nella nostra storia culturale, da Keats, attraverso Freud, fino a Nashville. Ma, nel caso del Partenone, c'è anche un'altra dimensione. Visitiamo un monumento intorno al quale si è combattuto per generazioni, un monumento che infiamma le passioni e sollecita interventi di governo. Esso ha, in altre parole, la caratteristica aggiuntiva di essere argomento degno di discussione. E' quasi impossibile resistere a questa scomoda conclusione : se non fosse stato smembrato, il Partenone non sarebbe mai diventato cosìfamoso. L'INGLESE MARY BEARD, IN UN SAGGIO IN USCITA DA LATERZA, RIPERCORRE LE VICISSITUDINI DEL TEMPIO «MERAVIGLIA DEL MONDO», DA ATENE AL BRITISH MUSEUM, DA PARIGI A NASHVILLE, IL SOGNO AMERICANO DELLA GRECIA CLASSICA: SE NON FOSSE STATO SMEMBRATO, NON SAREBBE DIVENTATO COSÌ FAMOSO Manca poco più di un mese alle Olimpiadi di Atene e già in vetrina occhieggiano titoli di ogni gusto, dal baedeker {Olimpiadi 2004. medaglie, eventi e curiosità delle 24 edizioni, con testi di Giampaolo Ormezzano, De Agostini) ai racconti reportages {Tutti i cerchi del mondo volti, paesi e storie «nascoste» delle Olimpiadi narrate da Emanuela Audisio, Mondadori) ai thriller che scelgono i giochi come fondale fantastorico (da II giardino delle belve di Deaver, Sonzogno a Olympia di Comastri Montanari, Hobby S Work). A chi è attratto, più che dalle emozioni delle gare, dal fascino della città, Laterza offre una colta visita al Partenone con la piacevole guida di Mary Beard (trad. di Barbara Gregori, pp. 200, e 16). Il tempio icona della cultura e dell'arte greca viene ripercorso in ogni suo spazio e tempo: i progetti, la costruzione, gli usi religiosi e politici, le vicissitudini che lo videro cadere, risorgere, dissolversi, facendone, proprio con le sue parti ovunque sparse, smembrate o ricopiate, «una meraviglia del mondo». Anticipiamo qui brani dal primo capitolo. . ■ . Il più copiato di tutti i tempi Un'immagine dal volume «Il Partenone» di Mary Beard: la danzatrice ungherese Nikolska posa, nel! 929, tra le colonne del tempio (fotodi Nelly's Sougioutzoglou Seraidare, Museo Benakì - Atene) M