Savary, Gran Mago sedotto dalla figlia di Osvaldo Guerrieri
Savary, Gran Mago sedotto dalla figlia ASTI TEATRO, INCONVENIENTI TECNICI E SUCCESSO PER «LA MIA VITA D'ARTISTA» Savary, Gran Mago sedotto dalla figlia Osvaldo Guerrieri inviato a ASTI Il teatro è una festa mobile. Deve pensarla così Jerome Savary. E poiché l'intera sua vita si è svolta dentro al teatro e per il teatro, eccolo issare il gran pavese della festa. «La lete c'est mei», la festa sono io, sembra dire così dal palcoscenico di AstiTeatro, con uno spolverino nero lungo fino ai piedi, un panama in testa, il volto spesso di biacca e una pennellata d'azzurro sulle palpebre. Dopo il debutto parigino, e in un francese intersecato da qualche lampo d'italiano, Savary propone anche da noi «La mia vita d'artista»: confessione in pubblico, denudamento simbolico, tradurre al presente volti e fatti lontani, senza che a 62 anni scocchino i rintocchi del rimpianto. Fin dai tempi del Grand Magic Circus, Savaiy è derisione e clamore. Anche adesso che il Grand Magic Circus è sepolto nella memoria, Savary sembra non voler abbandonare quel sentiero sgargiante dove tutto può diventare music hall. E' in scena con la figlia Nina, una presenza deliziosa che gli fa da spalla e da interlocutrice, e rivela eccellenti doti di cantante jazz. Quando non finge di raccontarsi a lei, Savary la utilizza per incarnare i fantasmi del passato: fantasie vaghe, amori fiutivi o passioni travolgenti. Ma qualcosa lo mette di malumore. I microfoni non funzionano. La prima volta, fa chiudere il sipario e riprende. Ma poi, continuando l'altalena fonica, comincia a pescare dal serbatoio degh anatemi, implora che vadano a comprare un microfono in farmacia, urla che stanno assassinando il suo spettacolo e, quando delTinddente è vittima sua figlia, afferma che stanno assassinando sua figha. Se Dio vuole, a strappi e a riprese lo spettacolo va avanti. Nel secondo tempo, è perfino quasi privo di contrattempi. E Savary può offiire alla platea dell'Alfieri, mai così affollata quest'anno, il resocondo di una vita che, partendo da New York e approdando in Eranda, è in realtà la memoria di una chiamata all'arte, che giunge al successo dopo le solite difficoltà e attese. In che cosa può esibirsi il giovane Savary? Suona discretamente la tromba e la batteria, fa numeri d'illusionismo. In attesa del Teatro, impara le prime verità fondamentah. Per esempio: il solfeggio è razzista, poiché un tasto bianco vale due neri. Ma è nell'incontro con Copi il colpo di fulmine artistico. Con Copi redta in uno spettacolo a due personaggi: un esploratore e un alligatore. Con Copi va a Londra/dove incontra Lindsay Kemp e David Bowie. Conosce anche John Lennon, che gli dice: come fai ad avere un suono così sporco? Noi lo cerchiamo da anni e non lo troviamo. Risposta: voi siete ricchi e avete strumenti ricchi, noi siamo poveri e abbiamo strumentipoveri. E' il '68. La Contestazione anoventa anche i teatri. Gente che in scena non sa neppure tenere un'alabarda urla «A morte Barrault». E il Nostro? Si scandalizza, si capisce. E si accoige che l'arte è una guerra. Tenerezze, piccole magie, una gallina che, al primo rullar di tamburi, salta già dalla batterìa, canzoni melanconiche con un magnifico trio diretto da Gerard Daguerre. E una confezione scintillante, un gusto forte del «pastiche», un senso del gioco che non teme di scaturire da un baule come un castello di fate all'aprirsi di un libro animato. Al centro, Savary: inairestahile e passionale, dolceje aspro come il sigaro che fuma suonando la tromba come Satchmo. Versod^sé non ha indulgenze. Ma quando gùaraà sua figlia, si trasfigura. In quel momento, il Grande Mago diventa l'omino di burro. Jerome Savary in scena ad Asti Teatro con la figlia Mina in «La mia vita d'artista»
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