I 40 degli Who E non li dimostrano

I 40 degli Who E non li dimostrano I 40 degli Who E non li dimostrano Alessandro Rosa POTREBBERO essere scambiati per dischi di nostalgia. Invece non è sterile e triste rimpianto ciò che anima un gruppetto di titoli che profumano Anni 60. Musica d'ottima fattura, che nasce soprattutto dal divertimento di celebrità del rock, senza più ansie generazionali e ^mercato. Prima di tutto un omaggio per i 40 degb Who: «Then and now» (Polydor, 1 Cd), dalla bella copertina (e gustoso libretto). Provocatori inveterati, eroi dei «mods» e padri naturab dei- punk dei 1976, il quartetto londinese è identificato come il versante rabbioso, inreprensibile e «arty» degb «swinging sixties». Importante anche nel decennio seguente. Quest'altro «quartetto maggiore» del rock inglese - l'esuberanza teatrale della voce Roger Daltrey, la chitarra mulinate di Pete Townshend, il bassista taciturno John Entwistle e il batterista glaciale Keith Moon (entrambi morti per cause del tutto non naturab, così da accendere miti imbecilb) - produsse una sequenza di celebri brani, ideali inni generazionali resistenti al tempo. Il Cd (dalle ottime masterizzazioni) ne riunisce cronologicamente la maggior parte, da «1 can't explain» (1964) a «You better you bet» (1981), passando per «My generation», «Substitute», «Pinball wizard)) o «Wont get fooled again» e la camaleontica «5:15». Contiene anche due inediti, gb slow rock inediti «Real good looking bop e «Old red wine», curiosi ma che non compensano l'assenza di «Join togethera, ((Babà O'Riley», «Pictures of Lily» e (Jm free». Ma sarebbe stato un doppione della migbore antologia della band: «Who's better, Who's best» (1988). Daltrey e Townshed si spendono molto (aiutati dai professionisti di studio Greg Lake, Zak Starkey, John Bundrick) ma giocano ad imitarsi in una festa, lontana giusto 40 anni dai loro eccessi. Bill Wyman invece volle smettere nel '93 di essere un «cattivo» Rolling Stones. Per occuparsi di personab passioni (archeologia, fotografia, scrittura, il ristorante londinese «Sticky Fingers»). Nel '95 però ricasca nel vizio del musicista e crea il primo supergruppo a (geometria variabile» con strumentisti di classe, i Rhythm Kings. Il bassista da allora se le suona e se la gode, restando un fedele, ma giocoso seguace della musica (mera», tanto blues e poi boogie, honky tonk, radici del rock. L'allegra combriccola è sempre numerosa, anche in questo quinto capitolo (Just fora thrìU»(Roadruimer, 1 Cd), con in testa i fedeb Albert Lee, bella voce e chitarra, Axel Z wingenbei^er dai magici tocchi sulla tastiera, la morbida e sanguigna voce di Beverley Skeete. In apertura, inconfondibile, si nota la chitarra di Mark Knopfler. Un passaggio, pepato. Altri 13 brani creano un disco che si apprezza per le sue diverse facce. Grande musica, coinvolgente.