Liberate VERONICA di Maria Latella

Liberate VERONICA L'ITALIA HA BISOGNO DI UNA FIRST LADY? Al VERTICI DELLO STATO CONTINUA UNA TRADIZIONE DI MOGLI O COMPAGNE SENZA VOLTO, CON RARE ECCEZIONI Liberate VERONICA Lucìa Annunziata PARTIRÒ da un suggerimento surreale: la lettura incrociata dell'autobiografìa di Bill Clinton e del libro di Maria Latella su Veronica Lario. Le due fatiche, così imparagonabili, pure si incontrano in almeno un punto: la questione del profilo di una First Lady. E dall'incrocio viene stimolata una domanda solo apparentemente futile: l'Italia ha bisogno di una First Lady? La risposta ovvia è un rotondo no, per un paese dove la sdoppiata funzione fra Capo del Governo e Capo dello Stato, nonché l'elezione indiretta di entrambi (senza dunque quell'appello diretto ai cittadini, come in Usa, dove si forgiano i ruoli di candidato e moghe) non prevede alcuna «Prima Coppia». Ma è anche vero che quasi tutte le riforme in discussione sul tavolo, dal semiprèèidenzialismo al premierato forte, vanno verso^'aqpentuazione del ruolo delleader; ed è dunque in questo senSo affatto futile, come si diceva, porre ai nostri costituzionalisti qualche domanda svi ruolo di ima First Lady. A me sembra che ai vertici delle nostre istituzioni si perpetui un anacronismo, questo sì surreale. Mentre il sistema politico comunque marcia, pur se in i una lenta e contraddittoria trasformazione, dal proporzionale al maggioritario, colorandosi, lungo la strada di un tono - se non di un senso - da maggioritario all'americana, grazie anche alla spinta protagonistica di un leader politico quale Berlusconi, il ruolo delle «mogli» in queste stesse istituzioni rimane imperituramente identico a sé stesso. Creando imo squilibrio, e spésso un disagio, riempito dalle protagoniste con una sorta di soluzione «fai da te», lasciata al buon gusto, alla cultura, alle scelte personali e alle inclinazioni di chi il ruolo in quel momento ricopre. Iniziando dal dopoguerra, le variazioni sul tema non sono state molte. Le prime donne della Repubblica sono senza volto, come le mogli elegantemente assenti dei leader della De, in cui si incarnava il modello dei valori del partito, e di cui il più nobile esempio rimasto nella memoria collettiva è la sofferente riservatezza della Signora Moro. Ma lo stesso stile valeva perla sinistra comunista, attraversata da una forte schizofrenia-fra l'ambizione emancipatoria della linea del partito e il ruolo delle mogli/ compagne. E se il caso lotti ne é il più drammatico esempio, forse il caso più interessante rimane tuttora quello costituito dalla coppia Mafai - Pajetta in cui venne vissuta appieno la tensione, fra parità dei due e il leale passo indietro tenuto da lei, fino alla morte di lui (spero che Miriam non si arrabbi per quel che dico: è una impressione che ho ricavato dai suoi libri, non certo da confidenze di cui è per altro molto avara). Comunque, il modello comunista per eccellenza si è poi definito nella discretissima vita di Berlinguer, che ha lasciato una eredità di discrezione ai suoi fìjgli, e a moltissimi figli di coppie comuniste, allevati in una cultura che alla fine ricongiungeva i comunisti e i democristiani nell'identico solco di una austera e invisibile vita privata. Il Quirinale stesso è stato abitato come un palazzo fantasma per quasi tutti gli anni della nostra Repubblica, fino al periodo recente: molte mogli non vi sono quasi mai entrate, molti presidenti, quali Pertini e Cossiga vi hanno vissuto come sorta di «vedovi»; e Leone, che vi portò la famiglia, pagò probabilmente tra gli altri anche il prezzo di questa «indiscrezione». Né gli anni hanno alterato di molto la situaziofle. Mentre nella società civile, dagli Anni Settanta, il protagonismo delle donne ha cominciato a galoppare, il ruolo delle Fist Lady d'Italia è rimasto congelato in una sorta dì terra dimezzo. La prima donna al Quirinale ad avere una identità percettibile è stata Marianna Scalfaro: per personalità e intehigenza avrebbe avuto una strepitosa carriera di suo se l'avesse scelta, ma come figlia del Presidente Scalfaro ha dovuto coprirsi di strati di ombra, non per questo evitando sospetti di ingerenza e influenza sulle scelte quirinahzie. La stessa signora Franca Ciampi, che più si avvicina, per verve, convinzioni e irrefrenabile personalità a una First Lady, vive (nonostante, o forse proprio, l'amore del pubblico nei suoi confronti) tenendo molto a freno questo ruolo. E il Quirinale attuale, che è il primo ad essersi animato dì vita vera, sostanziale, con i consiglieri del Presidente che vi risiedono in famiglia, la creazione dì staff articolati, e un'innovativa apertura alla società civile, tuttavia non ha mai travalicato la lìnea d'ombra che divide questo attivismo da ogni protagonismo privato. Neanche a Palazzo Chigi le cose sono cambiate: negli ultimi anni ad esempio, tutti i premier, pur così diversi fra loro, si sono adeguati alla regola dell'assenza. La signora Prodi ha sempre mostrato un forte, affettuoso, ma lontano appoggio al marito. E così le mogli dei più giovani ex comunisti, come D'Alema o Veltroni, che si sono fatte un punto d'onore dì rimanere nei confini dei loro interessi extrapolitici anche se, e anzi proprio perché anche loro passate da militanza politica. La Signora Amato ancora oggi non si conosce quasi al di fuori dei circoli ristrettissimi di amici, e della università dove insegna. Le istituzioni hanno imbrigliato persino la simpatica esuberanza di Daniela Fini, anche lei oggi elegantemente imprigionata dai lacci di bei vestiti firmati. L'unica vera eccezione in questa lunga fila sembra quella del breve interregno socialista, con Anna Craxi: ma anche in questo caso, più che di ruolo si trattò di forte esposizione mediatica sulla scia di quella stessa forte esposizione che servì e nutrì l'ambizione al rinnovamento di modelli politici, personah e generali, dì Bettino Craxi. E arriviamo così a Veronica Lario che dell'assenza, come si evince dal libro della Latella, ha addirittura fatto la sua identità. Una scelta che viene percepita come unica e sorprendente. Ma nel panorama che abbiamo delineato in realtà non ha nulla di sorprendente: al contrario, sì inserisce perfettamente nella tradizione italiana. Sorprendente lo è solo in rapporto alla scelta del marito, il premier Berlusconi che ha invece forzato il ruolo del leader in senso fortemente personalizzato e protagonistico, trasformandolo vagamente - anche se non letteralmente - in un modello americano. E con questa precisazione su Veronica, il teorema.sì conclude: la dote maggiormente apprezzata - esso recita - neUe mogli dei polìtici italiani rimane l'assenza. Ma dobbiamo davvero accettare questo teorema? E se fosse, invece dì un teorema politico, solo uno stilema, o peggio un luogo comune? Non dobbiamo invece porci il problema inverso: questa «assenza» è oggi davvero coerente, funzionale al paese e al suo sistema politico? Non è incongruo che proprio ai vertici delle istituzioni permangano, si adottino, si promuovano modelli che non sono più reali nella società? Ha senso, a fronte del protagonismo femminile ormai indiscusso, avere nelle nostre istituzioni donne coperte da una sorta dì invisibile velo? Come ci si può battere, ad esempio, per più donne in politica; come si può additare come virtù nelle donne le professionalità, le capacità dì decisione, la forza di assumersi responsabihtà e avere First Lady che sono apprezzate solo se somighano a nostra nonna? Ovviamente, l'alternativa non è quella dì incoraggiare saghe familiari, protagonismi vuoti, eccessi di potere vicari: questi sono difetti, e sarebbero tali in ogni famigha e per ogni donna, e ancora più devastanti sarehbero dentro le istituzioni, certo. Ma un ruolo delle coppie ai vertici delle istituzioni in cui la donna abbia una sua valorizzazione indipendente, non sarebbe forse un segnale sociale più forte di quello che finora riceviamo? D'altra parte è vero che questo dilemma, come sì evince appunto dal libro e dalla vicenda di Clinton, non è stato risolto nemmeno negli Stati Uniti: e non c'è dubbio che Clinton ha, fra le altre cose, pagato un alto prezzo per l'indipendenza e le ambizioni politiche della moghe. Hillary così vicina a quella Eleonora Roosevelt cui lei spesso dice dì essersi ispirata, ma anche così diversa da non piegarsi al trucco cui dovette ricorrere Eleonora - un governo ombra sulla carrozzella del marito malato - per accedere al potere. Hillary che ora corre da sola. Certo, è una donna discussa; ma per una giovane americana dì oggi chi è il modello più appropriato: questa cocciuta, ambiziosa, tradita e incasinata donna o la mesta signora Carter, o forse quell'inarrivabile, splendida ma infelice Jackie? Insomma, ai nostri costituzionalistì che litigano sulle riforme, amerei chiedere, modestamente, un favore. Sappiamo che la Costituzione non deve occuparsi di questo; ma sappiamo anche che la cosiddetta «consuetudine» istituzionale può essere allargata. Create dunque un posto in futuro per queste signore. Fatele vivere, fatele agire. Create delle istituzioni che anche in questo senso rispettino e rispecchino la società. Liberate le First Lady. E, per intanto, liberate Veronica. Nel nostro Paese si perpetua un anacronismo surreale: mentre il sistema politico comunque evolve le figure muliebri continuano ad avere un ruolo passivo Che cosa suggerisce la lettura incrociata delle memorie di Bill Clinton e della biografia della moglie del premier Le donne condannate a restare al di là di una linea d'ombra DA WASHINGTON A ROMi MyLife (La mia vita) è il titolo dell'autobiograf ia dell'ex presidente americano Bill Clinton uscita nelle librerie americane una settimana fa. La casa editrice Knopf, che ha versato 12 milioni di dollari di a'nticipo e stampato 1,5 milioni di copie iniziali, punta a battere tutti ì record di vendite, compreso quello della moglie di Clinton, Hillary che con Livin Hìstory ha venduto nel 2003 1,7 milioni di copie (in Italia fu pubblicato da Sperling 8i Kupfer con il titolo La mia vita, la mìa storia). Tendenza Veronica è invece il titolo della biografia di Veronica Lario, scirtta dalla giornalista Maria Latella ed edita in questi giorni da Rizzoli. Liberate VERONICA

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