Lo stato d'emergenza divide il governo iracheno

Lo stato d'emergenza divide il governo iracheno L'ADOZIONE DI LEGGI SPECIALI SEMBRA INDISPENSABILE MA RISCHIA DI CREARE UN GRAVE DANNO D'IMMAGINE Lo stato d'emergenza divide il governo iracheno Il premier Allawi: in queste condizioni il voto del gennaio 2005 è a rischio. Raffiche contro due elicotteri italiani nel Sud, nessun ferito reportage Giuseppe Zaccaria inviato a BAGHDAD SULLA Saddoun Street verso le cinque del pomeriggio lo scarso traffico di automobili si blocca: al centro della strada gruppi di poliziotti trascinano verso le loro auto due ragazzini che scalciano, protestano, piangono, chiedono pietà. Stavano per rubare un'auto, pare, e i poliziotti gh sono piombati addosso: adesso uno viene trascinato via per la collottola, l'altro resiste e subisce i colpi di lunghi bastoni. Sembra incredibile che qualcuno a Baghdad sanzioni il furto di automobili, sport nazionale degli ultimi 14 mesi e finora contrastato solo da un'eventuale arma del proprietario, eppure accade. Le cose cominciano a cambiare. Il conto alla rovescia verso il passaggio formale del poteri segna meno tre e la presenza delle forze irachene continua a espandersi facendosi visibile, palpabile, perfino pervasiva, anche se a renderla più evidente contribuisce il fatto che le strade sono vuote e tutti, rintanati dove possono, attendono il temuto «big bang» della resistenza. Potrebbe trattarsi solo di un'esibizione di muscoli come di un annuncio, tutto dipende da quanto accadrà nelle prossime ore: il governo Allawi sta decidendo se la sua gestione può inaugurarsi o meno con la proclamazione dello stato d'emergenza. Sembra che il confronto sia molto acceso, il ministro della Difesa e quello degli Interni vorrebbero fare subito il viso dell'arme e colpire lì dove sarà possibile farlo, il primo ministro Allawi sarebbe dalla loro parte ma teme che l'emergenza finisca col diventare stabile segnando poi la sua intera avventura di governo. Anche se mette le mani avanti: in queste condizioni, dice, le elezioni del gennaio 2005 potrebbero saltare. •«La gente di questo Paese si aspetta misure più forti per poter vivere con maggiore sicurezza», dice Hazim al-Sahaalun, responsabile della Difesa, aggiungendo che «far crescere la democrazia richiede pazienza». Il suo collega Falah al-Naqib, responsabile degli Interni, è sulla medesima linea: «Gh iracheni sono solidali con noi dice - ci chiedono di estirpare il cancro del terrorismo e sanno anche che la polizia non potrà fare da sola». Se le dichiarazioni hanno un senso, questo significa che una grande parte del nuovo governo prevede di affrontare la situazione col pugno duro, in base alla nota teoria del chi picchia per prima ha picchiato due volte. A ostacolare l'annuncio di ima decisione forse già presa concorrono due elementi: la blanda opposizione di Paul Bremer, che non vuole cedere formalmente il potere a gente che domani potrebbe essere dipinta, come una banda di massacratori, e le trattative in corso fra Stati Uniti, Nato e gover¬ no iracheno. Ieri anche l'incontro fra George Bush e i vertici dell' Unione europea si è concluso con un «documento di appoggio al popolo iracheno» che promette collaborazione a patto che tutto quanto avverrà d'ora in poi si svolga «nel pieno rispetto delle Convenzioni di Ginevra». Bisogna stare attenti, dunque. I falchi di un governo nel quale pure non mancano i rapaci hanno messo a punto il progetto di un colpo iniziale e fortissimo, una sorta di «operazione martello» che vedrebbe impegnati tutti as¬ sieme i sessantamila effettivi di esercito. Guardia nazionale e pohzia, con i soldati della coalizione a fare da spettatori e comunque in grado di rispondere a «richieste d'intervento». Sono stati pianificati migliaia di arresti, perquisizioni a tappeto, interrogatori e internamenti di parenti, amici, fiancheggiatori veri o presunti di estremisti islamici e nuclei della resistenza. Si è disegnato un tipo d'intervento difficile da attuare non tanto perché prevede la sospensione di ogni diritto civile, ma perché richiede che questa sospensione venga formalizzata. Non a caso il vicepresidente Ibrahim al-Jafari, responsabile sciitita del partito Dawa, ritiene che «le leggi d'emergenza non siano necessaiie». Insomma, potrebbe trattarsi di un'operazione forse utile ma sicuramente sanguinosa, la cui cifra dipenderebbe interamente dal successo: se i vecchi spioni del «Mukhabarat» richiamati in servizio da lyad Allawi sapranno dove mettere le mani, poche settimane d'inferno potrebbero salvare l'Iraq da una più lunga agonia, se invece il «martello» non dovesse schiacciare tutti la risposta di guemglieri e terroristi si farebbe incontrollabile. Il terorrismo continua a non dare tregua: i morti ieri sono stati almeno 31, fra i quali un soldato americano, gh attentati cinque: a Hilla, Irbil, Baquba, Kirkuk e Baghdad, in genere contro sedi di partito. Anche a Nassiriya ci sono stati problemi. L'altra notte spari di anni leggere hanno preso di mira, senza colpirli, due nostri ehcotteri AB 412 in servizio di pattughamento. Duecento uomini armati hanno occupato il centro della città nella zona del mercato e l'ex govematrice Barbara Contini, che nonostante la fine del mandato continua una vertiginosa attività di rappresentanza, ha dovuto evitare quella zona in una giornata dedicata ai saluti. La guerriglia continua a non dare tregua Cinque attentati in altrettante città con trentuno morti tra i quali un soldato degli Stati Uniti Elicotteri italiani in ricognizione: raffiche di kalashnikov sono state esplose ieri contro due velivoli, senza conseguenze

Luoghi citati: Baghdad, Ginevra, Iraq, Kirkuk, Stati Uniti