Vancouver, orche fiordi e ghiacciai di Piero Soria

Vancouver, orche fiordi e ghiacciai ALLA SCOPERTA DELLA BRITISH COLUMBIA, TRA SOLITUDINI jIMMENSE E PANORAMI PROFONDI CENTINAIA DI CHILOMETRI Vancouver, orche fiordi e ghiacciai r VER , le,. Piero Soria AD un certo punto San Francisco si svuotò. Artisti, pittori e tutti quei poeti figli di Ferlinghetti se ne andarono. Il Project Artaud, la comune di Mission Street che infiammò di idee e colori una generazione, chiuse e fu trasformata nel deposito delle auto in sosta vietata sequestrate dalla polizia. E la transumanza intellettuale prese due strade: verso Santa Fé e il deserto alla ricerca della new age. E verso Seattle perché la mente continuasse a respirare il salmastro del mare e dei tramonti in un ambiente non ancora corroso dalle mode e dal danaro. Ma 1'«America» arrivò anche lì, annegando quel quarto di paradiso terrestre in un inferno di computer valley e di yuppy arroganti. Fu eoa. che partì l'ultima, definitiva migrazione: per Vancouver, la città più bella, più vivace, più liberal ed intelligente dell'intero continente. Dove ogni razza sta bene con l'altra, dove l'isteria è un'entità sconosciuta, e dov'è piacevole vivere tutto l'anno accarezzati dal tepore che vien dal Pacifico, anche nell'inverno che invece ghiaccia il cuore al resto del Canada e costringe la gente a trasformarsi in talpa, da Montreal a Toronto e Calgary, e a vagare in città sotterranee dove la luce è un sole di neon. Ma Vancouver non è solo una marca franca della mente: è l'allegria dei cafra e dei ristorantini del West-end; è lo stupore delle gallerie d'arte, deii workshop e dello stupendo mercato di Granville Island con i suoi traghettini festosi che scendono direttamente dal centro; è la rada con la più grossa concentrazione al mondo di bastimenti da crociera attraccati ai moli e circondati da idrovolanti che, come libellule bizzose, si librano in continuazione sul mare diretti in ogni dove, in una nazione che, al posto delle strade, ha fiordi; è una Chinatown gialla davvero, il mandarino più studiato del francese in un Paese che dal Quebec in là lo parla come lingua madre. Vancouver è anche, e soprattutto, un affascinante punto dipartenza verso il nulla, verso quelle immense solitudini piene soltanto di natura e di profumo del creato. Lande infinite, popolate da tutto ciò che non è uomo: abetaie e pinete da stordire, lembi di oceano che si insinuano ovunque, voli di aquile dal collo bianco come da noi stormir di rondini. E poi: orche, balene, foche, orsi, alci, caribù. E, appena più a nord, dove la British Columbia incomincia a confondersi con lo Yukon e con l'Alaska, la notte tutto il giorno e il giorno tutta la notte, i bagliori della foresta boreale, alberi nani aggrappati alla luce che si spegne per mesi. E fiumi e laghi e cascate. E neve e ghiacciai. E nuvole basse di nebbia che si sciolgono al calore dei primi raggi. A g LU CO abbarbicate alle vette ed adagiate nelle valli. Chilometri e chilometri senza incontrare anima viva, i pochi villaggi (quasi sempre indiani) come piccole oasi di una dozzina di case avvinghiate ad una pompa di benzina, ad un campeggio dove trovar ostello, ad un drugstore da vecchio west dove si vende di tutto, dalla camicia alla sega elettrica, dalla pasta alle medicine, e all'immancabile saloon: birra, inesaurìbili storie di caccia e di quella volta quanti secoli f a? - in cui si è scesi in città, cinque sei ore di pie up, distanze sempre calcolate in tempo, nessun incrocio e nessun sorpasso a lasciar incerta la media a meno che il ghiaccio non abbia divorato l'asfalto più di quell'altra stagione di gelo tanti inverni prima. La civiltà incomincia a svanire appena fuori Vancouver. E la cosa migliore è portarsi la casa con sé: un piccolo, confortevole camper con le stive piene ed i letti sempre fatti. Poi attraversare lo stretto ed incominciare la risalita verso nord sulla Vancouver Island. abituandosi un po' alla volta alla rarefazione dell'umanità. Tofino, Campbell River, Port Hardy: stelle polari in un universo senza confini, si va da qua a là, non importa quanto ci si impiega, gli occhi sono sempre ammaliati da qualcosa, c'è tutto il tempo per immagazzinare ricordi e sorprese, mai un brivido di paura a causa del niente che ti circonda. Anzi: più la strada si fa solitaria, più t'invade la sensazione romantica di appartenere - in qualche modo - a quella avventurosa schiatta di pionieri a caccia del mondo che si è avventurata da queste parti, l'oro come miraggio. Da Port Hardy c'è un giorno di traghetto per arrivare a Prìnce Rupert, l'ultimo degli avamposti. Tredici ore di acque placide, deserte. Il silenzio rotto, di tanto in tanto, da enormi motoseghe che rasano quarti di montagna, lasciando enormi chieriche bianche nel verde cupo di milioni diboschi. Poi le pale di un Sikorsky che fa la spola dalle dine all'acqua per depositarvi migliaia di tronchi pelati di rami. In attesa che la pancia vuota di una bisarca dei mari, solo castelli di poppa e prua, niente sponde ai lati, ingoi il legname per trascinarlo nei fumosi opifici del sud. Una, due, dieci: sono le sole carovane che incontri, mentre tutto intorno le pinne delle orcb'e e i dorsi delle balene rigano le onde e i fiordi si insinuano come vene nelle foreste a picco sulle maree. Poi, di nuovo terra. I nomi dei rari paesi poco importano, sono flash fuggevoli, le case scorrono in un amen, un ponte, ima curva, un orsetto che attraversa la strada e subito la natura riprende il sopravvento. Stewart: vi ricordate la scena finale di Insommnia con Al Pacino? La casa di tronchi nel lago ed il ghiacciaio che gli scivola dentro? Eccolo lì, sulla sinistra, tempestoso spettacolo di possanza e mistero. E poi Terrace, Bell n e, finalmente l'Alaska Highway, lo Yukon e il fascino ancor più selvatico del Klondike. Ci si abitua facilmente alla gente che non c'è, al senso di pace assoluta da cui ci si sente invadere, al rollio continuo del camper, ai panorami profondi centinaia di chilometri, all'aria pura, quasi stordente, all'amicizia calda ed immediata con qualche viandante come te incontrato per caso verso sera, quando ci si ferma a far arrostire un salmone sul braciere di un campeggio prima di addonnentarsi col sole di mezzanotte. E finalmente si capisce perché, se un brago ha trenta anime, d son trenta vod che ti dicono all'unisono: «Questo è il più bel posto del mondo». In camper attraverso una natura selvaggia e incontaminata, per strada più frequenti gli incontri con orsi, alci e aquile dal collo bianco che con auto di passaggio Orche e balene: vere compagne di viaggio lungo i fiordi (in basso) della British Columbia. Sopra: il Bear Glacier di Stewart. A lato: il porto di Vancouver. (Foto: Margherita Girardi) Camper La miglior scelta è la Fraserway di Bernie Lehmann, un giovane svizzero che parla molto bene l'italiano. Ha migliaia di camper di tutte le dimensioni (modelli e prezzi: www. Fraserway-rv.com). E' possibile affittarlo a Vancouver e poi lasciarlo a Whitehorse in Yukon. Spettacoloso il Motorhome da 20 piedi, oltre sei metri Per orche, orsi e balene Da Tofino, Vancouver Island: programmi e prezzi su www.remotepassages..com: la proprietaria, Kati Martini, parla italiano. Per fiordi Il meglio è un idrovolante che atterri tre-quattro volte. Campbell River: con Island Air (alla floatplane base, Spit Road 2870) ci si aggrega a prezzi contenuti a un charter di cacciatori. li ferry delle meraviglie Quattordici ore di fiordi, aquile e orche da Port Hardy a Prince Rupert sul ferry col camper nella pancia (vvww.bcferries.com). Attenzipne: viaggiare di giorno. Halnes ^C ' ALASKp ^7) BRITISH /;\)|^ Stewart /Sv éPrinceRupert Oceano ^ V COLUMBIA P8CÌfÌ«f--'''-:'-j:S fórtHa»* «^.Campbell Rlver Vancouverlslimd\ ^VANCOUVER itofìno^Os^- , STATI yNfa-r^Seattle,. A g LU CO