«E' un atto di disperazione» «No, sono forti e lo provano»

«E' un atto di disperazione» «No, sono forti e lo provano» 5U ANALISTI AMERICANI DIVISI SULL'OFFENSIVA DEL TERRORE «E' un atto di disperazione» «No, sono forti e lo provano» Ledeen vicino ai repubblicani: «La guerriglia ha subito colpi duri» Korb che lavora per Kerry: «Non sono stranieri, ma ribelli iracheni» analisi jolo Mastrolilli NEW YORK E' l'inizio di una nuova offensiva, per far deragliare il passaggio dei poteri, oppure un atto di disperazione, per rispondere ai colpi inflitti dalla macchina militare americana? Gh esperti di strategia e terrorismo, da una parte e dall'altra degli schieramenti politici, sembrano convinti che la risposta giusta sia la prima, anche se con gradazioni diverse nel giudizio dei risultati ottenuti finora dal Pentagono in Iraq. Secondo Michael Ledeen, studioso dell'Amerìcan Enterprise Institute vicino all'amministrazione, «la guerriglia sta disperatamente cercando di impedire lo sviluppo di una qualsiasi parvenza di libertà in Iraq, e quindi ha lanciato un'offensiva con tutte le sue forze in vista del passaggio dei poteri previsto il 30 giugno». L'elemento della disperazione esiste, ma non è detto che tradisca debolezza. «Se - spiega Ledeen a "La Stampa" - andiamo a vedere cosa è successo negli ultimi tempi sul piano strategico, le forze della coalizione hanno ottenuto dei successi. La rivolta dello sciita al Sadr nel sud è finita, o comunque non ha provocato l'insurrezione generale che si proponeva. A Fallujah, qualùnque cosa si pensi del compromesso raggiunto, i combattimenti non sono più quelli di due mesi fa, e adesso i soldati americani sono a caccia degli uomini di Zarqawi e dei loro rifugi. La stessa strategia indicata dal terrorista giordano nella sua lettera di qualche mese fa, ammesso che fosse davvero sua, è fallita. Lui si proponeva di provocare una guerra civile entro il 30 giugno, e ci ha provato con sunniti, sciiti, curdi e componenti tribali del paese, senza avere successo». Detto questo, secondo Ledeen è difficile interpretare gh attacchi di ieri come un segno di debolezza: «Io penso che Zarqawi sia stato sopravvalutato. Non può esserci lui, dietro a tutte queste azioni. I veri sospettati sono i regimi vicini come Siria, Iran e Arabia Saudita, e finché resteranno al potere non avremo stabilità in Iraq». Lawrence Korb era stato assistente segretario alla Difesa con Reagan, ma ora lavora al Center for American Progress ed è uno dei consiglieri del candidato presidenziale democratico Kerry: «Non c'è' modo - spiega a "La Stampa" - di interpretare questi attacchi come un segno di debo- lezza. Là guerriglia, in pratica, sta dicendo agli americani che possiamo anche sganciare le bombe da 500 chili su Falluja, ma tanto non la sradichiamo. L'obiettivo è boicottare il nuovo governo iracheno e scuotere la fiducia della popolazione nella capacità del nuovo corso di riportare la stabilità. Le azioni si moltiplicheranno in questi giorni, perchè la guerriglia vuole colpire mentre gh americani sono ancora una forza di occupazione, sulla scia della reazione emotiva allo scandalo di Abu Ghraib». Zarqawi è coinvolto, ma non da solo: «Molti terroristi stranieri sono entrati in Iraq dall'ini¬ zio della guerra, ma l'insuirezione ha ancora un carattere interno, altrimenti non potrebbe essere così efficace». Perciò, secondo Korb, la soluzione è una sola: «Bisogna intemazionalizzare il conflitto. Ma per riuscirci gh Stati Uniti devono fare un passo indietro, affinchè il nuovo governo iracheno acquisti credibilità e possa presentarsi alla Nato per chiedere assistenza in nome del proprio popolo. Finché saranno gh americani a gestire l'iniziativa, la comunità intemazionale resterà diffidente, e gh iracheni non acquisteranno fiducia nel loro esecutivo. Invece è Baghdad che deve andare alla Nato e spiegare che a questo punto tutti hanno interesse ad evitare il crollo dell'Iraq». Per Daniel Gouré, vice presidente del Lexington Institute ed ex direttore dell'Office of Strategie Competitiveness neh' ufficio del capo del Pentagono,«è difficile pensare che l'insurrezione stia vincendo, e non sappiamo ancora se questi attacchi rappresentano la fine del suo inizio o l'inizio della sua fine. Negli ultimi tempi, però, la guerriglia ha colpito soprattutto centri di reclutamento, e questo rappresenta in sé una sconfitta, perchè significa che nonostante tutto parecchi, iracheni credono ancora nel nuovo corso». Gourè è convinto che la guerriglia non possa battere gh americani sul piano militare o costringerli al ritiro, «ma la possibilità' di una guerra civile e' ancora alta, per le spaccature fra gli stessi elementi dell'insurrezione, che non sono compatti. Provocandola, i sunniti determinerebbero la loro fine, perchè sarebbero schiacciati dagh scuti. Ma npl frattempo il paese precipiterebbe in uno stato di caos molto sanguinoso». Il governo americano «sta facendo le cose giuste, adesso, ma per recuperare all'enorme numero di errori commessi prima. Se guardiamo i precedenti storici nel Medio Oriente, la guerriglia e' destinata alla sconfitta. Ma come é successo in Algeria e in altri paesi della regione, a schiacciarla dovrà essere il governo iracheno, con iniziative violente che noi americani non possiamo permetterci. La chiave, dunque, sta nella rapidità con cui il nuovo esecutivo assumerà il controllo. Nel frattempo, a meno che non eliminiamo prima tutti gh oppositori, dobbiamo aspettarci almeno tre ondate di attacchi: la prima da ora a luglio; la seconda ad ottobre, in coincidenza con le presidenziali americane, e la terza a fine anno, quando si comincerà la preparazione delle elezioni irachene». Daniel Gouré che ha lavorato per il Pentagono «Il fatto che colpiscano i centri di reclutamento significa che molti giovani credono nel nuovo corso» Medici iracheni portano via il corpo di un uomo dilaniato nell'esplosione di Mossul