Anche la montagna rischia di diventare un «non luogo»

Anche la montagna rischia di diventare un «non luogo» L'OCCHIO S L'ORECCi Giovanni De Luna Anche la montagna rischia di diventare un «non luogo» 1 paesaggio non è natuI ra; sì materializza atI traverso inostri sguarI dì e le nostre percezioni, viene creato da noi. Almeno dal Rinascimento in poi, il paesaggio esiste solo in quanto categoria culturale, e possiamo conoscerne la storia esclusivamente attraverso le sue rappresentazioni, a partire da una sterminata produzione artistica che ebbe ì suoi splendidi esordì con il Leonardo de L'Annunciazione (1472-1473) e il complesso dell'opera di Dùrer. Anche ì paesaggi originari, quelli legati agh elementi primordiali, acqua e pietra, mare e montagna, vivono solo attraverso le immagini e le sensazioni che suscitano: una spontànea e immediata fruizione estetica; un trasporto onirico; uno sprofondamento all'interno dì una perfetta simbiosi con la natura; un'esperienza conoscitiva; un approccio etico alla realtà del nostro pianeta; perfino l'intuizione empatica della «voce della terra», secondo una delle tanti brillanti intuizioni disseminate nel libro che Eugenio Pesci ha dedicato proprio alla storia del paesaggio, La Terra parlante. Questo suo appartenere agh sguardi degli uomini e non alla natura indùce a rielaborare culturalmente gli elementi della sua realtà oggettiva (alberi, piante, cime, scogliere, prati, baie, ecc..) e spesso porta anche a un radicale fraintendimento di quella stessa realtà. Un esempio per tutti è quello richiamato da Pesci a proposito delle Alpi, la cui immagine sì è «sviluppata nel tempo non sulla base di una visione interna, propria della civiltà e dei protagonisti autoctoni di questi luoghi, ma su quella esterna dei frequentatori, intellettuali, viaggiatori, alpinisti, esploratori, cittadini in fuga dalla città»; è nata così la rappresentazione dì una radi¬ cale «alterità» della montagna rispetto alla pianura, dilatando le diversità che indubbiamente ci sono ma che non sono mai state vìssute dalle popolazioni alpestri come condizioni alternative o opposte a quelle esìstenti nelle città e nei borghi del piano. In questa continua rielaborazipne del paesaggio Pesci segnala oggi un inquietante punto dì arrivo: la funzione del paesaggio sta subendo un mutamento radicale rispetto alla sua evoluzione storica ed è sul punto di trasformarsi da «luogo per l'uomo» in «non luogo». . I «non luoghi» della nostra modernità postnovecentesca sono quelli indicati da Marc Auge: spazi anonimi, che replicano le stesse strutture e gli stessi moduli in contesti geografici appiattiti uno sulT altro, in cui trascorriamo gran parte della nostra esistenza; aeroporti, catene al- . berghìere, autostrade, sono «non luoghi» nella misura in cui la loro principale vocazione non è territoriale, non mira a creare identità, simboli, appartenenze, ma solo a facilitare la circolazione, l'andare altrove. Ebbene, secondo Pesci «non luoghi» stanno diventando anche quegli ambienti naturali, alpestri e marini che l'umanità ha sempre identificato come paesaggi originari. Le funivie, con ì relativi servizi di ristoro in quota, appaiono ad esempio come meri luoghi dì transito alpestre, vuoti dì relazionalità, senza memoria storica. Il processo che prevede l'insediamento dì strutture artificiali in contesti alpini mostra quindi ì netti segni di un capovolgimento di | relazione: «Non sono più essi funzionali alla montagna, ma è la montagna funzionale a essi», in un processo che alla fine la trasformerà in uno spazio «senza nostalgìa e senza speranze». Eugenio Pesci La terra parlante Dai paesaggi originari ai non-luoghi alpestri CDA a Vivalda. pp. 238. Gì 2

Persone citate: Eugenio Pesci, Giovanni De Luna, La Terra, Marc Auge, Pesci, Vivalda