Dal summit non esce il successore di Prodi

Dal summit non esce il successore di ProdiL'ATTUALE PRESIDENTE RESTA IN CARICA FINO AD OTTOBRE Dal summit non esce il successore d ProdiP Tutto rinviato forse a luglio, è stato scontro sui nomi di Verhofstadt e Patten corrispondente da BRUXELLES Anche la seconda fumata è stata nera. Per il successore dì Romano Prodi ci vorrà un vertice straordinario. Forse già tra una settimana. Un vertice tutto dedicato soltanto alla questione che rischiava di avvelenare il clima del Consiglio europeo al punto da mettere in pencolo il «sì» alla Costituzione. E quando la presidenza di turno irlandese della Uè ha capito che giocare la partita sui due tavoli poteva significare perderla su entrambi, è arrivata una lapidaria dichiarazione affidata al ministro per gli Affari europei, Dick Roche: «Il tema sarà affrontato in un altro momento». E' stata cosi riconosciuta l'impossibilità di ricucire il consenso attorno a un nome dopo lo scontro Verhofstadt-Patten cominciato giovedì e continuato ancora ieri in una girandola di incontri bilaterali e div veti incrociati. Un rinvio, dunque. Che non crea problemi istituzionali perché l'esecutivo gyddato da Prodi rimarrà in carica fino al 31 ottobre. Per designare il nuovo presidente della Commissione non c'è particolare fretta. La vera scadenza è tra settembre e ottobre quando il nuovo parlamento uscito dalle elezioni dello scorso weekend dovrà dare la sua fiducia al futuro capo dell'esecutivo in modo che possa assumere le sue funzioni il primo novembre senza alcun vuoto di potere. Considerando la sosta estiva che, in agosto, paralizza l'attività politica europea, la scelta deve avvenire entro luglio. Il tempo per il compromesso c'è. La speranza della presidenza irlandese è di chiudere ancora nel suo semestre per incassare comunque un doppio successo. Ma non è detto che sarà possibile. Perché, questa volta, la prudenza consiglierà tutti di non ritrovarsi attorno a un tavolo per darsi battaglia senza nemmeno una convergenza su un nome. Quel nome che i Venticinque, ieri, non sono riusciti a trovare. Anche se i contatti sono stati frenetici. Il primo c'è stato in mattinata tra Silvio Berlusconi, Tony Blair, il portoghese José Manuel Durao Barroso e l'austriaco Wolfgang Schuessel. Gli stessi quattro hanno poi incontrato il maltese Lawrence Gónzi, lo slovacco Nikulas Dzurinda, l'estone Juhan Parts e il greco Costas Karamanlis. Il premier irlandése Bertie Ahem si è riunito con il presidente francese Jacques Chirac e il cancelliere tedesco Gerhard Schroeder per capire se poteva essere superato il duello mortale tra il loro candidato - il premier belga, Guy Verhofstadt - e quello dell'altro «fronte»: l'attuale commissario alle relazioni esterne, Chris Patten. Prima di andare da Ahem, Chirac e Schroeder avevano incontrato Jean-Claude Juncker, il premier lussemburghese che in tanti indicano come il candidato che potrebbe mettere d'accordo tutti. Ma Juncker ha continuato a dire di no. Almeno per adesso. Così il totonomine è ripreso e dal grande frullatore delle ipotesi sono schizzati fuori due nomi. Quelli dello stesso primo ministro portoghese, José Manuel Durao Barroso, e del ministro degli Esteri francese, Michel Bamier, già commissario alle pohtiche regionali della Commissione Prodi. E' stato Andrew Duff - un europarlamentare britannico - a presentarli come «gli unici in grado di raccoghere la maggioranza necessaria». Ma l'impressione di molti osservatori è che anche questi due nomi sono, in realtà, degli «schermi» per poter lavorare in segreto al vero candidato di compromesso da presentare al prossimo vertice straordinario. Michel Bamier è stato anche rappresentante della Commissione nella Convenzione che ha preparato la bozza della Costituzione europea ed è stato richiamato a Parigi da Jacques Chirac per assumere l'incarico di ministro degli Esteri nel nuovo governo Raffarin. José Manuel Durao Barroso guida da due anni un governo di centrodestra, dopo la vittoria sui socialisti di Antonio Guterres che si sono presi adesso la loro rivincita nelle elezioni europee. E questo, tra l'altro, non favorisce l'ipotesi della sua candidatura alla successione di Prodi perché la sua eventuale partenza da Lisbona potrebbe favorire il ricorso ad elezioni politiche anticipate mettendo a rischio l'attuale compagine governativa. Per questo - e non solo nonostante le tante smentite, è il nome di Jean-Claude Junker quello che potrebbe tornare in lizza. Una delle ragioni del suo «no» era dettata dal desiderio di non opporsi direttamente a Guy Verhofstadt. Tra Belgio e Lussemburgo ci sono particolari legami fin dai tempi del Benelux. Adesso che il nome di Verhofstadt è stato bruciato dal gioco dei veti incrociati, Junker non rischia più di essere considerato il «killer» dell' amico premier belga. Ma non era questo l'unico ostacolo e per la fumata bianca bisognerà attendere il prossimo Conclave, [e. s.] Romano Prodi con Jacques Chirac in una pausa dei negoziati sul testo della costituzione europea e sul candidato alla presidenza della Commissione Uè

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