Per chi suona il ruggito del Buddha di Maurizio Assalto

Per chi suona il ruggito del Buddha T^STTS IN MOSTRA ATORINOI TESORI DELL'ARTE TIBETANA: DEI E DEMONI PER SALVARE GLI UOMINI, UNA SIRENA CHE SEDUCE L'OCCIDENTE D'OGGI Per chi suona il ruggito del Buddha Maurizio Assalto TORINO IL Buddha di rame dorato che accoglie i visitatori, seduto con le gambe incrociate e il busto eretto, nella posizione del loto e del diamante, ha la fronte spaziosa e gli occhi allungati, le palpebre basse che rivelano uno sguardo tutto interiore, imperturbabilmente indifferente al mondo esterno. Proviene dal Tibet centrale, la patria elettiva del buddhismo, ed è vecchio di 800 anni. La serenità, la compostezza, la benevolenza sono i tratti più caratterizzanti associati dagli artisti di ogni tempo alla figura del principe indiano che nel VI sec. a.C. proclamò la sua dottrina salvifica. E sono anche quelli più adatti, oggi, a sedurre un Occidente dilaniato, minacciato dalle conseguenze incontrollabili della tecnica, dalle proprie ferree catene consequenziali. Ma il buddhismo non è soltanto un surrogato di psicoterapia in salsa esotica per un annoiato vippume intemazionale. È qualche cosa di molto più profondo epiù complesso, e anche contraddittorio. Come si può intuire, con tutte le difficoltà del caso, da quella che si propone come la grande mostra torinese dell'estate, «Arte buddhista tibetana. Dèie demoni delTHimalaya», aperta da ieri a Palazzo Bricherasio (fino al 19 settembre, catalogo Electa) e accompagnata in uno spazio apposito dalle fotografie dell'americana Sheila Rock che ha ripercorso «La via del monaco tibetano». La rassegna è curata da Franco Bieca, un professore di chimica teorica folgorato molti anni fa dall'arte orientale, in pensione anticipata dal '96 per potersi meglio dedicare alla sua passione. Ha studiato il sanscrito e il pali, si è laureato in Indologia, «ma non sono buddhista», avverte con implicita presa di distanza dai trend modaioli. Gran parte dei pezzi esposti fanno parte della ricca collezione messa insieme dalla Regione Piemonte, in vista del futuro Museo di Arte Orientale che sarà aperto nel 2006 a Palazzo Mazzonis. A questi si sono aggiunti alcuni prestiti di grande rilievo, fra i quali spiccano i capolavori della Nyinjey Tarn Collection, che il suo anonimo proprietario, un americano residente a Hong Kong, ha affidato in deposito all'Ashmolean Museum di Oxford; 80 statuine di rame, bronzo, argento e oro, databili tra il VI e il xvn secolo, di altissimo valore artistico, esposte in precedenza una sola volta. La resa estetica non è però il principale fine dell'arte buddhista tibetana. Tutto doveva servire a richiamare, illustrare, rafforzare la Dottrina diffusa dal principe Siddharta, in seguito all'esperienza mistica che conobhe all'ombra di un albero ài ficus religiosa, nei pressi dell'odierna Bodh Gaya, e che lo rese il Buddha (IBluminato): è allora che gli uomini hanno conosciuto la via per sfuggire al dolore della yita e raggiungere il Nirvana, la liberazione dal ciclo delle reincarnazioni e dalla catena della causalità. Nelle statue e nelle tempere {thang-lca) esposte a Palazzo Bricherasio le figure dei Buddha (il buddhismo tibetano, o lamaismo, ne ammette una molteplicità, che si manifestano nel corso del tempo e nell'infinità degli universi) e dei hodhisattva (coloro che hanno raggiunto Muminazione ma restano tra i viventi per aiutarli) gli schemi iconografici ritornano con instancabile ripetitività, in un vertiginoso accumularsi di nomi: la posizione del diamante, con le gambe incrociate, su un trono in cui .sono raffigurati i leoni bianchi delle nevi (la voce del Buddha che proclama il Dhanna, la Dottrina, è paragonata nei sacri testi al ruggito del leone), la mano in bhumisporshamudro (posa¬ ta al suolo a invocare la Terra come testimone del diritto all'illuminazione) o in tarjanimudm (indice e mignolo tesi a fare le coma, per scacciare le potenze maligne), e tanti altri gesti rigidamente canonizzati E i lama fondatori di monasteri esibiscono gli attributi tipici del buddhismo vajrayana, variante tibetana del «Grande Veicolo» mahayana dopo l'incontro con il tantrismo: il fa/) a (fulmine-diamante, ma anche simbolo del fallo) e la ghanta (campanella, ma anche organo femminile),! diademi di teschi e di ossa umane. Nelle pratiche tantriche l'amplesso e l'orgasmo sono considerati una via diretta per il superamento della dualità di soggetto e oggetto e per il raggiungimento della buddhità, a cui concorre anche la deliberata infrazione di tutti i tabù legati alla morte. Lo stesso scopo è favorito dalla rappresentazione di demoni e divinità irate, esseri mostruosi die ereditano le prerogative delle divinità prébuddhiste assoggettate alla nuova fede in funzione di Guardiani e Protettori, e in cui si scatena la fantasìa di pittori e scultori. Impressionano soprattutto le raffigurazioni di Mahakala dalla quattro braccia, e dai tre occhi (segni abituali della onnipotenza del divino), e con la capigliatura fiammeggiante e ghirlande di teschi, e la bocca aperta in un urlo terrificante: l'altra faccia della serenità tibetana. Particolare di una thang-ka (tempera su tela) con Tsong-ka-pa e isuoi maestri (Tibet. XVIII-XIX secolo)

Persone citate: Franco Bieca, Gaya, Guardiani, Mazzonis, Sheila Rock, Terra, Tsong

Luoghi citati: Hong Kong, Oxford, Piemonte, Tibet, Torino