Nella valigia indiana, miseria e ovatta di Alessandro Monti

Nella valigia indiana, miseria e ovatta Nella valigia indiana, miseria e ovatta Alessandro Monti 1 o GGI la Valigia delle Indie ci porta due romanzi oltremodo diversi, ambientato il primo, Bombay Time, in un condominio parsi (gh adoratori del fuoco, emigrati in India dalla Pèrsia al tempo dell'invasione musulmana) di Bombay; centrato il secondo, Estasi, sulla vita del mistico Ramakhrisna e sull'iniziazione del discepolo Vivekananda. I due volumi condividono tuttavia una posizione intramezzo, in-between, ne dentro ne fuori come prospettiva rispetto agli argomenti trattati, dato che l'esordiente Thirity Umrigar di Bombay Time vive e fa la giornalista negli Stati Uniti, mentre Sudhir Kaikar, ben conosciuto in Italia, è uno psicanalista freudiano di Delhi. La Umrigar, vissuta a Bombay sino all'età di 21 anni, nutre nei confronti della città un rapporto di amore-odio, molto diverso dall' affetto nostalgico di Rushdie, per esempio. I suoi personaggi borghesi (piccoli industriali, avvocati di grido) vivono come barricati psicologicamente nel loro condominio, illudendosi di essere estranei alla sordida miseria e alla violenza da cui sono circondati. È in questo presunto isolamento che si dipanano le dolenti cronache biografiche dei vari personaggi, cuori in rosso, ossia in deficit emotivo e sentimentale, come è detto nel romanzo. Leggiamo così della vedova Dosamai, dea subdola del pettegolezzo e della discor- dia, o dell'industriale Rusi, fallimentare sia nel lavoro sia nel matrimonio, o dell'altra vedova Themi, a cui il corpo carbonizzato del marito si è transustanziato nell'alito fetido che affligge la donna, o neU'incubo che tormenta Adi, ossessionato dalla visione di ima donna da lui violentata e suicidatasi. La macchina biografica del tempo è messa in moto da un matrimonio, in cui si ritrovano tutti gh abitanti del condominio, che alla fine sembrano ritrovare unità e vincoli solidali in un album fotografico di memoria del passato e di speranza e augurio per l'avvenire. Tuttavia la disperata miseria del mondo estemo irrompe con violenza nell'ovattata atmosfera borghese del matrimonio. E' altamente simbolica la cancellata da cui la turba cenciosa dei poveri scruta con aria famelica e avida la festa dei ricchi; chi è dentro la gabbia, chi è prigioniero in una Bombay disperata, senza futuro nonostante il troppo decantato sviluppo economico dell'India? Benché la scrittrice dica di essere poco familiare con la letteratura indiana, tranne Rushdie, che indica a suo modello, mi sembra evidente il legame con la narrativa parsi di Bombay. Si pensi soprattutto a Rohinton Mistry, con le sue storie di condominio, o di lento degrado della vita quotidiana e senza speranza delle masse diseredate (quasi metà della popolazione). Vorrei anche ricordare Naipaul, India - un milione di rivolte, per l'analisi del ruolo svolto nella società indiana dai piccoli gruppi, in-groups, omogenei per casta, religione o altro. Con Estasi di Sudhir Kakar ci immergiamo invece nelle pratiche di ascesi, non solo e tanto di rinuncia alla vita sociale, sannyasa, ma di empito mistico che induce il fedele a diventare dasya, schiavo del dio, sakhya, amico del dio, padre del dio, vatsalya, o, come fase suprema di vicinanza, amante del dio, madhurya. In tal modo il devoto-asceta diventa egh stesso, anche indossandone le vesti femminile, Sita, la sposa del divino Rama. Le radici di questo annientamento nirgun (lett. «senza qualità», ovvero la trascendenza dal proprio io empirico) si devono cercare nella mistica rinascimentale bhakti e nel movimento di Ramananda: chi fosse interessato a investigare il retroterra di Estasi può leggere il bel libro di Pinuccia Caracchi, Ramananda e lo yoga dei sant (Edizioni dell'Orso, 1999, jjp. 390, «30). Tuttavia Sudir Kakar non si limita a scrivere un trattato nebulóso di mistica indiana, o a trattare dell'argomento con distaccato spirito di analista, anche se questo ultimo aspetto è ben presente. In realtà, il testo o si ispira alla «missione» riformatrice ispirata da Vivekananda (1863-1902), con lo scopo di rigenerare spiritualmente il popolo indiano, in modo da forgiare una nuova identità religiosa e sociale. A tale scopo fondò nel 1897 la Ramakrishna Mission, dal nome del suo maestro o guru, Ram Das Babà nel romanzo, mentre Vivekananda diventa Vivek. Benché Estasi non tratti della carriera «riformatrice» di Vivekananda, vorrei far notare come il,nucleo del suo messaggio si saldi alla perfezione con la visione deUe turbe cenciose e affamate la cui violenza esplode, con esiti devastanti, nel finale di Bombay Time. Scrive infatti Vivekananda, «Il primo e principale compito in India è diffondere l'istruzione e la spiritualità tra le masse. E impossibile per chi è affamato attingere a una dimensione spirituale, a meno che non si provveda al suo sostentamento. Di conseguenza, è nostro dovere primario indicare alle masse nuove possibilità di sostentamento alimentare». EcceUente la traduzione e il glossario, rispettivamente, di Francesca Diano e di Vincenzo Mingiardi, com'è del resto norma per la serie di letteratura indiana curata da Neri Pozza, o^gi senza dubbio la mighore in Italia. In «Bombay Time» l'illusione di essere salvi, in «Estasi» l'empito che induce a farsi schiavi del dio SudhirKakar ThirityUmrigar Bombay Time Marco Tropea, pp. 286, e76 SudhirKakar Estasi Neri Pozza, pp. 237, GIS ROMANZI

Luoghi citati: Bombay, Bombay Time, India, Indie, Italia, Stati Uniti